fr. Massimo Rossi, "Cristo Re dell'universo "
Commento su Matteo 25,31-46
fr. Massimo Rossi
XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) - Cristo Re (26/11/2017)
Visualizza Mt 25,31-46
Eccoci alla fine dell'anno liturgico. La prossima domenica inizia l'Avvento e con esso un nuovo anno,
all'insegna dell'attesa e della vigilanza. Di questo avremo modo di parlare diffusamente durante le quattro settimane che precedono il Natale.
Ora soffermiamoci sul mistero di Cristo Re dell'universo e sul Vangelo del giudizio finale.
Io mi chiedo il senso di questa pagina di Matteo scelta per celebrare la solennità odierna: ormai conosciamo quali sono le caratteristiche della regalità di Cristo: il trono è la croce, la corona è un fascio di spine, il potere consiste in una disarmata e disarmante immobilità. Questo è il nostro Re, come lo presentò alla folla Ponzio Pilato, dalla terrazza del palazzo del governatore: un re nudo, un re privo di forze, un re rifiutato dai sudditi, un re condannato e ucciso dai sommi sacerdoti e dai capi del popolo, in ossequio alla Legge antica, nella certezza di compiere un atto gradito a Dio.
Ora, ripeto, qual è il senso di un Vangelo come questo, letto oggi?
È vero, l'incipit rende bene l'idea: il Figlio dell'uomo è un monarca fatto e finito, circonfuso di gloria, con tanto di corte angelica, e trono. C'è di più: secondo l'autore ispirato, il Cristo non è sovrano di un popolo soltanto, ma di tutti i popoli.
Colpo di scena: all'improvviso, il re di tutti i popoli, diventa l'affamato, l'assetato, lo straniero, colui che non ha neppure uno straccio da mettersi addosso e, per giunta, pure malato...
Prevedibile lo stupore di quei giusti raccolti alla destra del Figlio dell'uomo: “Signore, quando mai... e ti abbiamo servito?”: lo stesso dicasi per gli ingiusti, che stanno a sinistra: “Signore, quando mai... e non ti abbiamo servito?”: la distanza che un sovrano deve porre tra sé e i sudditi Cristo l'ha azzerata, in virtù della Sua passione, morte e risurrezione.
La parabola non è affatto una metafora: sulla croce, Gesù fu veramente affamato, assettato, morente, nudo. Sappiamo che la Legge ebraica non annoverava la crocifissione tra le pene capitali: lapidazione sì; crocifissione no.... Secondo il diritto penale romano, invece, la croce era prevista per i crimini più efferati, commessi dagli stranieri. Dunque la sorte del Maestro di Nazareth è quella di uno straniero, ripudiato dal popolo e cacciato a morire fuori dalla città santa; proprio come si racconta nella parabola dei vignaioli omicidi; trascinarono il figlio del padrone fuori dalla vigna e lo uccisero... “La pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d'angolo; dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri!”, dichiara Gesù, citando il Salmo 117, nella polemica contro i farisei...
Ciò che è logico per Dio non lo è per gli uomini; non è un dogma, ma un principio di metodo: non dobbiamo solo credere alla Parola di Gesù senza discutere; è necessario metterla in pratica, in questo caso, cambiando mentalità nei confronti degli ultimi, degli emarginati, dei perdenti...
Un maestro di spirito, del quale non ricordo il nome - chiedo venia! -, scrive: “In che modo guardi un povero? come guardi il povero, allo stesso modo guarda Dio! Se proverai vergogna nei confronti di Dio, allora hai di che vergognarti anche di fronte al povero!”.
L'unità di misura dell'amore per Dio è l'amore del prossimo: “Se non sapete amare colui che vedete, come potrete amare chi non vedete?”; l'unità di misura dell'amore per il prossimo è l'amore di sé: “Amerai il prossimo tuo come te stesso”.
La fede cristiana innalza molto l'asticella della carità, facendone il paradigma della perfezione.
La pagina di Vangelo che avete appena ascoltato si trova al capitolo 25; subito dopo inizia il racconto della Passione. Secondo il progetto del primo evangelista, questa pagina costituisce l'ultimo insegnamento di Gesù, il suo testamento spirituale.
Più che un affresco dai toni inquietanti e dal vago sapore intimidatorio su ciò che accadrà alla fine del mondo, la parabola è un decalogo su quello che dobbiamo fare nella vita presente, per poterci presentare al cospetto di Dio con il cuore in pace e la coscienza tranquilla.
La grande novità del Vangelo è tutta qui: prima di Cristo la salvezza era poco più che una teoria, meglio, un dogma da credersi a scatola chiusa, senza discutere; taluni, come i Farisei ci credevano, altri, come i Sadducei, no.
La secolare convinzione che, se stai bravo qui, verrai premiato qui e dopo la morte, mentre, se stai cattivo, ti accade di tutto di più qui e anche nell'aldilà, (questa secolare convinzione) era già andata in crisi un paio di secoli prima di Cristo, con il libro di Giobbe.
La vicenda di Gesù ci ha finalmente rivelato quale relazione intercorre tra il nostro comportamento e i Novissimi - spero che ve li ricordiate dai lontani anni del catechismo di prima comunione... -; ora sappiamo che cosa pensare e che cosa fare, per vivere secondo Dio, essere felici e infine entrare nella vita eterna, quando arriverà la nostra ora.
Non posso concludere questa riflessione senza sottolineare ancora la solidarietà tra Gesù e i poveri.
Non è una solidarietà di tipo ideologico, o politico: il Figlio di Dio ha scelto per sé la condizione di povertà, fin dal suo ingresso nel mondo: ci rifletteremo dalla prossima settimana; nel Vangelo delle Beatitudini (cfr. Mt 5), il Maestro lo ribadisce; nel Magnificat, la Madre di Dio lo canta...
Facile cadere nella retorica di maniera... tanto, noi siamo al sicuro, per quanto ci si possa sentire al sicuro, con sti chiari di luna...
I veri poveri (del Vangelo) non siamo noi, i poveri sono gli altri: arrivano dal mare, affollano i campi profughi, ci assediano ai crocicchi delle strade, alle porte della chiesa, ai semafori... sono insistenti, magari poco puliti; qualche volta - raramente - sono anche pericolosi...
Ce lo ripetiamo sottovoce, talvolta addirittura lo gridiamo: “Noi non siamo come loro!” e con questa convinzione, prendiamo le distanze e ci sentiamo meglio...
Non diamo troppo per scontato di non poter far proprio nulla per loro! forse qualcosa di più di quanto già facciamo, o non facciamo, possiamo farlo... anche poco.
Sono tanti, è vero... Ma siamo tanti anche noi!
Fonte:www.qumran2.net
fr. Massimo Rossi
XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) - Cristo Re (26/11/2017)
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Eccoci alla fine dell'anno liturgico. La prossima domenica inizia l'Avvento e con esso un nuovo anno,
all'insegna dell'attesa e della vigilanza. Di questo avremo modo di parlare diffusamente durante le quattro settimane che precedono il Natale.
Ora soffermiamoci sul mistero di Cristo Re dell'universo e sul Vangelo del giudizio finale.
Io mi chiedo il senso di questa pagina di Matteo scelta per celebrare la solennità odierna: ormai conosciamo quali sono le caratteristiche della regalità di Cristo: il trono è la croce, la corona è un fascio di spine, il potere consiste in una disarmata e disarmante immobilità. Questo è il nostro Re, come lo presentò alla folla Ponzio Pilato, dalla terrazza del palazzo del governatore: un re nudo, un re privo di forze, un re rifiutato dai sudditi, un re condannato e ucciso dai sommi sacerdoti e dai capi del popolo, in ossequio alla Legge antica, nella certezza di compiere un atto gradito a Dio.
Ora, ripeto, qual è il senso di un Vangelo come questo, letto oggi?
È vero, l'incipit rende bene l'idea: il Figlio dell'uomo è un monarca fatto e finito, circonfuso di gloria, con tanto di corte angelica, e trono. C'è di più: secondo l'autore ispirato, il Cristo non è sovrano di un popolo soltanto, ma di tutti i popoli.
Colpo di scena: all'improvviso, il re di tutti i popoli, diventa l'affamato, l'assetato, lo straniero, colui che non ha neppure uno straccio da mettersi addosso e, per giunta, pure malato...
Prevedibile lo stupore di quei giusti raccolti alla destra del Figlio dell'uomo: “Signore, quando mai... e ti abbiamo servito?”: lo stesso dicasi per gli ingiusti, che stanno a sinistra: “Signore, quando mai... e non ti abbiamo servito?”: la distanza che un sovrano deve porre tra sé e i sudditi Cristo l'ha azzerata, in virtù della Sua passione, morte e risurrezione.
La parabola non è affatto una metafora: sulla croce, Gesù fu veramente affamato, assettato, morente, nudo. Sappiamo che la Legge ebraica non annoverava la crocifissione tra le pene capitali: lapidazione sì; crocifissione no.... Secondo il diritto penale romano, invece, la croce era prevista per i crimini più efferati, commessi dagli stranieri. Dunque la sorte del Maestro di Nazareth è quella di uno straniero, ripudiato dal popolo e cacciato a morire fuori dalla città santa; proprio come si racconta nella parabola dei vignaioli omicidi; trascinarono il figlio del padrone fuori dalla vigna e lo uccisero... “La pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d'angolo; dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri!”, dichiara Gesù, citando il Salmo 117, nella polemica contro i farisei...
Ciò che è logico per Dio non lo è per gli uomini; non è un dogma, ma un principio di metodo: non dobbiamo solo credere alla Parola di Gesù senza discutere; è necessario metterla in pratica, in questo caso, cambiando mentalità nei confronti degli ultimi, degli emarginati, dei perdenti...
Un maestro di spirito, del quale non ricordo il nome - chiedo venia! -, scrive: “In che modo guardi un povero? come guardi il povero, allo stesso modo guarda Dio! Se proverai vergogna nei confronti di Dio, allora hai di che vergognarti anche di fronte al povero!”.
L'unità di misura dell'amore per Dio è l'amore del prossimo: “Se non sapete amare colui che vedete, come potrete amare chi non vedete?”; l'unità di misura dell'amore per il prossimo è l'amore di sé: “Amerai il prossimo tuo come te stesso”.
La fede cristiana innalza molto l'asticella della carità, facendone il paradigma della perfezione.
La pagina di Vangelo che avete appena ascoltato si trova al capitolo 25; subito dopo inizia il racconto della Passione. Secondo il progetto del primo evangelista, questa pagina costituisce l'ultimo insegnamento di Gesù, il suo testamento spirituale.
Più che un affresco dai toni inquietanti e dal vago sapore intimidatorio su ciò che accadrà alla fine del mondo, la parabola è un decalogo su quello che dobbiamo fare nella vita presente, per poterci presentare al cospetto di Dio con il cuore in pace e la coscienza tranquilla.
La grande novità del Vangelo è tutta qui: prima di Cristo la salvezza era poco più che una teoria, meglio, un dogma da credersi a scatola chiusa, senza discutere; taluni, come i Farisei ci credevano, altri, come i Sadducei, no.
La secolare convinzione che, se stai bravo qui, verrai premiato qui e dopo la morte, mentre, se stai cattivo, ti accade di tutto di più qui e anche nell'aldilà, (questa secolare convinzione) era già andata in crisi un paio di secoli prima di Cristo, con il libro di Giobbe.
La vicenda di Gesù ci ha finalmente rivelato quale relazione intercorre tra il nostro comportamento e i Novissimi - spero che ve li ricordiate dai lontani anni del catechismo di prima comunione... -; ora sappiamo che cosa pensare e che cosa fare, per vivere secondo Dio, essere felici e infine entrare nella vita eterna, quando arriverà la nostra ora.
Non posso concludere questa riflessione senza sottolineare ancora la solidarietà tra Gesù e i poveri.
Non è una solidarietà di tipo ideologico, o politico: il Figlio di Dio ha scelto per sé la condizione di povertà, fin dal suo ingresso nel mondo: ci rifletteremo dalla prossima settimana; nel Vangelo delle Beatitudini (cfr. Mt 5), il Maestro lo ribadisce; nel Magnificat, la Madre di Dio lo canta...
Facile cadere nella retorica di maniera... tanto, noi siamo al sicuro, per quanto ci si possa sentire al sicuro, con sti chiari di luna...
I veri poveri (del Vangelo) non siamo noi, i poveri sono gli altri: arrivano dal mare, affollano i campi profughi, ci assediano ai crocicchi delle strade, alle porte della chiesa, ai semafori... sono insistenti, magari poco puliti; qualche volta - raramente - sono anche pericolosi...
Ce lo ripetiamo sottovoce, talvolta addirittura lo gridiamo: “Noi non siamo come loro!” e con questa convinzione, prendiamo le distanze e ci sentiamo meglio...
Non diamo troppo per scontato di non poter far proprio nulla per loro! forse qualcosa di più di quanto già facciamo, o non facciamo, possiamo farlo... anche poco.
Sono tanti, è vero... Ma siamo tanti anche noi!
Fonte:www.qumran2.net
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