P. Marko Ivan Rupnik Solennità Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo
Solennità Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo
Mt25,31-46
Congregatio pro Clericis
Per entrare nel brano di oggi dobbiamo ricordare e collocarci nel contesto della fine del vangelo prima che cominci la passione. Il capitolo 24 finisce con “pianto e stridore di denti” (Mt 24,51) e porte chiuse per il servo, che viene buttato fuori.
È raccontata agli scribi, ai capi e ai sommi sacerdoti, dunque ai responsabili.
Il capitolo 25 si apre con la parabola delle vergini sapienti e stolte e si conclude con una porta chiusa e un “non vi conosco” (Mt 25,12) che suona sinistro. Qui si rivolge al popolo dell’antica alleanza, agli ebrei, al popolo eletto. A quelli che conoscevano e potevano aspettare ed attendere il Messia. Questo è il giudizio su quelli che lo attendevano: chi attende, veglia e accoglie, chi invece pensa che è già salvato finisce male. Questo è anche il monito per noi che attendiamo la sua seconda venuta. Cosa vuol dire per la nostra vita e la nostra mentalità la visuale escatologica?
La parabola dei talenti è raccontata per i battezzati, per i cristiani: questo è il giudizio su di noi, su quelli che abbiamo ricevuto i beni del Regno. E anche qui c’è la gioia del Signore (Mt 25, 21.23) o lo stridore di denti.
E quelli che non credono? Ecco il Giudizio. Noi lo abbiamo chiamato universale, ma non è proprio così. È una scena di grande gloria, di potenza; il Figlio dell’uomo - cioè il titolo messianico di Cristo - l’uomo secondo Dio, l’uomo a pienezza di Dio (cfr. Col 1,19), questo è Cristo, circondato di gloria, potenza e splendore. E intorno tutti popoli.
Qui è chiaro che non è per tutti gli uomini questo giudizio: perché rigorosamente nel vangelo si usa laos per il popolo di Israele ed etnè per i popoli pagani. E qui viene esplicitamente detto che “si sono presentati davanti a questo uomo a misura di Dio tutti i popoli pagani”. Perciò è logico che dicano: ma quando mai ti abbiamo visto? Perché non lo conoscono. È ovvio: questo è il giudizio per quelli che non conoscono Cristo. Per quelli che non fanno parte del suo corpo. E quale sarà questo giudizio?
Vedere se nella vita si è agito secondo una compassione che rimane anche dopo il peccato nell’umanità. Se l’io segue l'impulso di una volontà che sorge dalla sua natura ferita e dunque cerca di salvare se stesso autoaffermandosi oppure dà lo spazio al movimento che sorge in lui come compassione verso i suoi simili. Ma la cosa sorprendente è che Dio nella persona del suo Figlio si identifica con gli uomini provati. L’affamato, l’assetato, il nudo, il prigioniero....
Matteo che cerca di separare attraverso tutto il vangelo, ora che è il momento supera il giudizio perché lo colloca in una visione, che fa vedere l’unità inseparabile di Dio e dell’uomo. È la pagina della divino umanità in Matteo.
Lo splendore, la gloria e la potenza è identificata con chi ha sete, chi ha fame, chi è in prigione, cioè un malfattore, chi è malato, chi non si può muovere. Questa è una lieta e buona notizia! Dio e l’uomo non si separano più.
Ciò che rende l’uomo trascendente non è la metafisica che lui stesso elabora. Ma il semplice vestito che presti ad una persona, un semplice gesto di carità. E noi lo sappiamo molto bene, Paolo lo dice: “Lui da ricco che era si fece povero per arricchirci tutti” (2Cor 8,9). Per noi il Giudizio sarà quello dei talenti che però include questo che tocca ad ognuno. Noi ricevendo i doni del Regno a partire dalla fede, dallo Spirito Santo sappiamo che tutte queste realtà della fede operano nella carità (ci Gal 5,6). E sappiamo molto bene che niente giova se non c’è la carità (cf Gv 15,12; 1Cor 13,3). E abbiamo molto chiaro che noi non siamo una religione del libro e della legge, ma che tutta la dottrina dipende dalla carità (cf Mt 22,37-40).
Noi conosciamo molto bene una nuova esistenza, quella della comunione. Non è questione di una qualche teoria ascetica ma di essere quel lievito e sale di comunione, di una umanità che sa che la vita di uno è legata alla vita dell’altro. Questa è quella trasparenza di vita che si rende presente come bellezza a quelli che non hanno conosciuto Cristo, che non hanno avuto la grazia del Battesimo.
Questo è il giudizio che ci aspetta. Perché chi è toccato dall’amore è toccato da Dio e prima o poi si inginocchierà davanti al Suo volto, che sarà il volto di uno che lo ha amato.
P. Marko Ivan Rupnik
Fonte:http://www.clerus.va
Mt25,31-46
Congregatio pro Clericis
Per entrare nel brano di oggi dobbiamo ricordare e collocarci nel contesto della fine del vangelo prima che cominci la passione. Il capitolo 24 finisce con “pianto e stridore di denti” (Mt 24,51) e porte chiuse per il servo, che viene buttato fuori.
È raccontata agli scribi, ai capi e ai sommi sacerdoti, dunque ai responsabili.
Il capitolo 25 si apre con la parabola delle vergini sapienti e stolte e si conclude con una porta chiusa e un “non vi conosco” (Mt 25,12) che suona sinistro. Qui si rivolge al popolo dell’antica alleanza, agli ebrei, al popolo eletto. A quelli che conoscevano e potevano aspettare ed attendere il Messia. Questo è il giudizio su quelli che lo attendevano: chi attende, veglia e accoglie, chi invece pensa che è già salvato finisce male. Questo è anche il monito per noi che attendiamo la sua seconda venuta. Cosa vuol dire per la nostra vita e la nostra mentalità la visuale escatologica?
La parabola dei talenti è raccontata per i battezzati, per i cristiani: questo è il giudizio su di noi, su quelli che abbiamo ricevuto i beni del Regno. E anche qui c’è la gioia del Signore (Mt 25, 21.23) o lo stridore di denti.
E quelli che non credono? Ecco il Giudizio. Noi lo abbiamo chiamato universale, ma non è proprio così. È una scena di grande gloria, di potenza; il Figlio dell’uomo - cioè il titolo messianico di Cristo - l’uomo secondo Dio, l’uomo a pienezza di Dio (cfr. Col 1,19), questo è Cristo, circondato di gloria, potenza e splendore. E intorno tutti popoli.
Qui è chiaro che non è per tutti gli uomini questo giudizio: perché rigorosamente nel vangelo si usa laos per il popolo di Israele ed etnè per i popoli pagani. E qui viene esplicitamente detto che “si sono presentati davanti a questo uomo a misura di Dio tutti i popoli pagani”. Perciò è logico che dicano: ma quando mai ti abbiamo visto? Perché non lo conoscono. È ovvio: questo è il giudizio per quelli che non conoscono Cristo. Per quelli che non fanno parte del suo corpo. E quale sarà questo giudizio?
Vedere se nella vita si è agito secondo una compassione che rimane anche dopo il peccato nell’umanità. Se l’io segue l'impulso di una volontà che sorge dalla sua natura ferita e dunque cerca di salvare se stesso autoaffermandosi oppure dà lo spazio al movimento che sorge in lui come compassione verso i suoi simili. Ma la cosa sorprendente è che Dio nella persona del suo Figlio si identifica con gli uomini provati. L’affamato, l’assetato, il nudo, il prigioniero....
Matteo che cerca di separare attraverso tutto il vangelo, ora che è il momento supera il giudizio perché lo colloca in una visione, che fa vedere l’unità inseparabile di Dio e dell’uomo. È la pagina della divino umanità in Matteo.
Lo splendore, la gloria e la potenza è identificata con chi ha sete, chi ha fame, chi è in prigione, cioè un malfattore, chi è malato, chi non si può muovere. Questa è una lieta e buona notizia! Dio e l’uomo non si separano più.
Ciò che rende l’uomo trascendente non è la metafisica che lui stesso elabora. Ma il semplice vestito che presti ad una persona, un semplice gesto di carità. E noi lo sappiamo molto bene, Paolo lo dice: “Lui da ricco che era si fece povero per arricchirci tutti” (2Cor 8,9). Per noi il Giudizio sarà quello dei talenti che però include questo che tocca ad ognuno. Noi ricevendo i doni del Regno a partire dalla fede, dallo Spirito Santo sappiamo che tutte queste realtà della fede operano nella carità (ci Gal 5,6). E sappiamo molto bene che niente giova se non c’è la carità (cf Gv 15,12; 1Cor 13,3). E abbiamo molto chiaro che noi non siamo una religione del libro e della legge, ma che tutta la dottrina dipende dalla carità (cf Mt 22,37-40).
Noi conosciamo molto bene una nuova esistenza, quella della comunione. Non è questione di una qualche teoria ascetica ma di essere quel lievito e sale di comunione, di una umanità che sa che la vita di uno è legata alla vita dell’altro. Questa è quella trasparenza di vita che si rende presente come bellezza a quelli che non hanno conosciuto Cristo, che non hanno avuto la grazia del Battesimo.
Questo è il giudizio che ci aspetta. Perché chi è toccato dall’amore è toccato da Dio e prima o poi si inginocchierà davanti al Suo volto, che sarà il volto di uno che lo ha amato.
P. Marko Ivan Rupnik
Fonte:http://www.clerus.va
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