Dal trattato sui «Vantaggi della pazienza» di san Cipriano,"Ciò che non vediamo, speriamo"


Dal trattato sui «Vantaggi della pazienza» di san Cipriano, vescovo e martire
(Nn. 13. 15; CSEL 3, 406-408)
Ciò che non vediamo, speriamo

    «Chi persevererà sino alla fine sarà salvo» (Mt 10, 22; 24, 13): questo è comando salutare del
nostro Signore e Maestro. E ancora: «Se rimarrete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli, conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8, 31-32).
    Bisogna perciò avere pazienza e perseverare, fratelli carissimi, perché, ammessi alla speranza della verità e della libertà, possiamo davvero arrivare alla verità e alla libertà. Il fatto stesso di essere cristiani è questione di fede e di speranza; ma perché la speranza e la fede possano arrivare a portare frutto, è necessaria la pazienza.
    Noi non miriamo infatti alla gloria presente, ma alla futura, secondo quanto ammonisce l'apostolo Paolo, quando dice: «Nella speranza noi siamo stati salvati. Ora ciò che si spera, se visto, non è più speranza: infatti ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo? Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza» (Rm 8, 24-25). L'attesa e la pazienza sono necessarie perché portiamo a compimento quello che abbiamo cominciato a essere e raggiungiamo quello che speriamo e crediamo perché Dio ce lo rivela.
    In un altro passo lo stesso Apostolo, rivolgendosi ai giusti e a coloro che con le buone opere e mettendo a frutto i doni ricevuti si procurano tesori per il cielo, insegna loro a essere pazienti dicendo: «Pertanto, poiché ne abbiamo l'occasione, operiamo il bene verso tutti, soprattutto verso i fratelli nella fede. E non stanchiamoci di fare il bene, e a suo tempo mieteremo» (Gal 6, 9-10).
    Egli ammonisce tutti a non venir meno nell'operare per mancanza di pazienza; nessuno, distolto e vinto dalle tentazioni, desista nel bel mezzo del cammino della lode e della gloria, e rovini così le azioni precedentemente compiute, perché non porta a compimento quelle incominciate.
    Infine l'Apostolo, parlando della carità, le unisce anche la sopportazione e la pazienza. «La carità, dice, è paziente; è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, ... non si adira non tiene conto del male ricevuto. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (1 Cor 13, 4-5). Egli ci fa vedere così che essa può perseverare tenacemente per il fatto che sa sopportare tutto.
    E altrove: «Sopportandovi a vicenda con amore cercando di conservare l'unità dello Spirito con il vincolo della pace» (Ef 4, 2). Con ciò ha voluto dimostrare che non si può conservare né l'unità né la pace se i fratelli non si sostengono vicendevolmente con la mutua sopportazione e non serbano il vincolo della concordia con l'aiuto della pazienza.

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