dom Luigi Gioia"Non un idillio"
Non un idillio
dom Luigi Gioia
Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe (Anno B) (31/12/2017)
Vangelo: Gn 15,1-6.21,1-3; Sal 105,1-2.3-4.5-6.8-9; Eb 11,8.11-12.17-19;
Visualizza Lc 2,22-40
E' legittimo chiedersi se Giuseppe, Maria e Gesù possano davvero essere proposti come modello per le famiglie. Sappiamo molto poco della loro vita familiare, le rappresentazioni che ce ne facciamo
sono molto idealizzate e tutta la dimensione sessuale sembra completamente evacuata dalla loro relazione, tenuto conto della nascita verginale di Gesù e della tradizione che considera la relazione tra Maria e Giuseppe come casta, malgrado il fatto che il nuovo testamento parli dei fratelli di Gesù.
In realtà, la celebrazione odierna non è tanto volta ad offrire un modello familiare, quanto a prolungare il tema del tempo di Natale e a contribuire al suo scopo di farci contemplare fino a che punto realmente il Figlio di Dio sia diventato uno di noi, abbia abbracciato la condizione umana. Sappiamo che il ministero di insegnamento, di guarigione e di istituzione della comunità degli apostoli di Gesù lo ha occupato per soli tre anni. Ha trascorso 10 volte più tempo semplicemente a lavorare, amare, mangiare, bere, dormire, giocare, vivere in famiglia come ogni altra persona umana.
E' nato come ognuno di noi, incapace di parlare, cieco, bisognoso di tutto. E' potuto crescere perché noi, attraverso Maria e Giuseppe, lo abbiamo nutrito, gli abbiamo insegnato a camminare, a parlare. Da noi ha imparato il suo mestiere, quello di falegname; da noi ha imparato a leggere e interpretare la Scrittura. E' impressionante pensare che prima di istruirci e chiamarci al suo seguito Gesù si sia lasciato istruire da noi, si sia reso dipendente rispetto alle sue creature, abbia obbedito ad esse.
Non dobbiamo rappresentarci la venuta di Dio in Gesù come quella di una meteora che piomba dal cielo, ma come un seme che è depositato nella terra della nostra umanità, si nutre di essa, nasce e cresce in essa e ad un certo punto, solo dopo essersi pienamente unita ad essa, la trasfigura, la fa risorgere e ascendere al cielo, la fa entrare nella vita della Trinità.
Non sappiamo nulla o quasi dell'infanzia e della giovinezza di Gesù, ma non dobbiamo rappresentarcela come un continuo idillio, dove tutto è puro, incontaminato. La famiglia di Gesù -e qui parliamo non solo dei suoi genitori, ma anche di quelli che il Vangelo chiama suoi fratelli, cioè della sua parentela- era conformista, disapprovava l'originalità di Gesù, era possessiva a suo riguardo e Gesù deve sicuramente aver sofferto di questa incomprensione.
Il Vangelo ci mostra proprio la madre e i fratelli di Gesù considerarlo come fuori di sé (Mc 3,21). Fra coloro che non capiscono Gesù vi è anche Maria sua madre. Maria e i fratelli di Gesù non vogliono essere suoi discepoli, ma suoi proprietari; non vogliono seguirlo, ma stando fuori mandano a chiamarlo (Mc 3,31). In questo riconosciamo la nostra esperienza della famiglia umana come il luogo delle nostre più grandi gioie ma spesso anche delle nostre sofferenze più dolorose e durature.
Se vogliamo che la nostra celebrazione della famiglia di Gesù sia autentica, allora, dobbiamo riconoscere che in essa Gesù ha vissuto le nostre stesse esperienze e che rispetto ad essa anche lui ha dovuto ad un certo punto lasciare suo padre e sua madre (Gn 2,24) per scoprire la sua identità e la sua missione. Lo vediamo quando Gesù rifiuta di incontrare sua madre e i suoi fratelli e proclamare che solo coloro che siedono intorno a lui (Mc 3,34), che lo seguono e lo ascoltano, sono i suoi veri parenti: Girando lo sguardo su quelli che erano seduti attorno a lui, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre» (Mc 3,34-35).
Questi ultimi decenni sono stati caratterizzati da una legittima preoccupazione per il disgregarsi del tessuto familiare della nostra società, ma anche da un forte idealismo e a volte una certa chiusura ideologica nel modo di presentare il punto di vista cristiano sulla sessualità, la procreazione, le crisi matrimoniali, l'orientazione sessuale dei coniugi e via dicendo. C'è un rifiuto palese di accettare la realtà, un divario crescente tra quello che vive la gente e un discorso morale che non sa mettersi in ascolto della vita concreta, una incapacità di tener conto della necessità di superare il modello familiare patriarcale e di prendere seriamente in considerazione l'emancipazione della donna. E purtroppo il riferimento come modello alla famiglia di Gesù che chiamiamo ‘sacra' non ha aiutato a colmare questo divario.
Per accedere a questo realismo possiamo ispirarci al quadro che ci presenta la prima lettura, quando ci parla della relazione tra Abramo e Sara. E' una selezione di passaggi del libro della Genesi nella quale sembra che la loro vicenda familiare e la nascita di Isacco siano avvenute pacificamente e senza drammi. In realtà sappiamo che Abramo ebbe un figlio prima da una sua schiava, che Sara trattò quest'ultima così duramente da farla fuggire e desiderare la morte, senza contare l'episodio nel quale per sfuggire alla morte Abramo presenta Sara al faraone non come sua moglie ma come sua sorella e lascia che sia aggiunta al suo harem. Sono episodi estremi, che fortunatamente non si incontrano nella vita di tutte le famiglie, ma che simboleggiano eloquentemente l'intreccio di amore e gelosia, fedeltà e debolezza, dono di sé e possessività che caratterizzano questo aspetto fondamentale della nostra umanità.
Il Signore viene a redimerlo, a salvarlo con il suo amore a benedirlo e fortificarlo con la sua fedeltà, ma a condizione di accettare che questo processo è complesso, dura una vita, è fatto di alti e bassi, e non funziona per tutte le famiglie allo stesso modo e con lo stesso successo. Per la famiglia come per ogni altra realtà umana allora occorre sempre tornare alla consolante frase di Gesù: Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori (Mt 9,12-13).
Fonte:www.qumran2.net
dom Luigi Gioia
Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe (Anno B) (31/12/2017)
Vangelo: Gn 15,1-6.21,1-3; Sal 105,1-2.3-4.5-6.8-9; Eb 11,8.11-12.17-19;
Visualizza Lc 2,22-40
E' legittimo chiedersi se Giuseppe, Maria e Gesù possano davvero essere proposti come modello per le famiglie. Sappiamo molto poco della loro vita familiare, le rappresentazioni che ce ne facciamo
sono molto idealizzate e tutta la dimensione sessuale sembra completamente evacuata dalla loro relazione, tenuto conto della nascita verginale di Gesù e della tradizione che considera la relazione tra Maria e Giuseppe come casta, malgrado il fatto che il nuovo testamento parli dei fratelli di Gesù.
In realtà, la celebrazione odierna non è tanto volta ad offrire un modello familiare, quanto a prolungare il tema del tempo di Natale e a contribuire al suo scopo di farci contemplare fino a che punto realmente il Figlio di Dio sia diventato uno di noi, abbia abbracciato la condizione umana. Sappiamo che il ministero di insegnamento, di guarigione e di istituzione della comunità degli apostoli di Gesù lo ha occupato per soli tre anni. Ha trascorso 10 volte più tempo semplicemente a lavorare, amare, mangiare, bere, dormire, giocare, vivere in famiglia come ogni altra persona umana.
E' nato come ognuno di noi, incapace di parlare, cieco, bisognoso di tutto. E' potuto crescere perché noi, attraverso Maria e Giuseppe, lo abbiamo nutrito, gli abbiamo insegnato a camminare, a parlare. Da noi ha imparato il suo mestiere, quello di falegname; da noi ha imparato a leggere e interpretare la Scrittura. E' impressionante pensare che prima di istruirci e chiamarci al suo seguito Gesù si sia lasciato istruire da noi, si sia reso dipendente rispetto alle sue creature, abbia obbedito ad esse.
Non dobbiamo rappresentarci la venuta di Dio in Gesù come quella di una meteora che piomba dal cielo, ma come un seme che è depositato nella terra della nostra umanità, si nutre di essa, nasce e cresce in essa e ad un certo punto, solo dopo essersi pienamente unita ad essa, la trasfigura, la fa risorgere e ascendere al cielo, la fa entrare nella vita della Trinità.
Non sappiamo nulla o quasi dell'infanzia e della giovinezza di Gesù, ma non dobbiamo rappresentarcela come un continuo idillio, dove tutto è puro, incontaminato. La famiglia di Gesù -e qui parliamo non solo dei suoi genitori, ma anche di quelli che il Vangelo chiama suoi fratelli, cioè della sua parentela- era conformista, disapprovava l'originalità di Gesù, era possessiva a suo riguardo e Gesù deve sicuramente aver sofferto di questa incomprensione.
Il Vangelo ci mostra proprio la madre e i fratelli di Gesù considerarlo come fuori di sé (Mc 3,21). Fra coloro che non capiscono Gesù vi è anche Maria sua madre. Maria e i fratelli di Gesù non vogliono essere suoi discepoli, ma suoi proprietari; non vogliono seguirlo, ma stando fuori mandano a chiamarlo (Mc 3,31). In questo riconosciamo la nostra esperienza della famiglia umana come il luogo delle nostre più grandi gioie ma spesso anche delle nostre sofferenze più dolorose e durature.
Se vogliamo che la nostra celebrazione della famiglia di Gesù sia autentica, allora, dobbiamo riconoscere che in essa Gesù ha vissuto le nostre stesse esperienze e che rispetto ad essa anche lui ha dovuto ad un certo punto lasciare suo padre e sua madre (Gn 2,24) per scoprire la sua identità e la sua missione. Lo vediamo quando Gesù rifiuta di incontrare sua madre e i suoi fratelli e proclamare che solo coloro che siedono intorno a lui (Mc 3,34), che lo seguono e lo ascoltano, sono i suoi veri parenti: Girando lo sguardo su quelli che erano seduti attorno a lui, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre» (Mc 3,34-35).
Questi ultimi decenni sono stati caratterizzati da una legittima preoccupazione per il disgregarsi del tessuto familiare della nostra società, ma anche da un forte idealismo e a volte una certa chiusura ideologica nel modo di presentare il punto di vista cristiano sulla sessualità, la procreazione, le crisi matrimoniali, l'orientazione sessuale dei coniugi e via dicendo. C'è un rifiuto palese di accettare la realtà, un divario crescente tra quello che vive la gente e un discorso morale che non sa mettersi in ascolto della vita concreta, una incapacità di tener conto della necessità di superare il modello familiare patriarcale e di prendere seriamente in considerazione l'emancipazione della donna. E purtroppo il riferimento come modello alla famiglia di Gesù che chiamiamo ‘sacra' non ha aiutato a colmare questo divario.
Per accedere a questo realismo possiamo ispirarci al quadro che ci presenta la prima lettura, quando ci parla della relazione tra Abramo e Sara. E' una selezione di passaggi del libro della Genesi nella quale sembra che la loro vicenda familiare e la nascita di Isacco siano avvenute pacificamente e senza drammi. In realtà sappiamo che Abramo ebbe un figlio prima da una sua schiava, che Sara trattò quest'ultima così duramente da farla fuggire e desiderare la morte, senza contare l'episodio nel quale per sfuggire alla morte Abramo presenta Sara al faraone non come sua moglie ma come sua sorella e lascia che sia aggiunta al suo harem. Sono episodi estremi, che fortunatamente non si incontrano nella vita di tutte le famiglie, ma che simboleggiano eloquentemente l'intreccio di amore e gelosia, fedeltà e debolezza, dono di sé e possessività che caratterizzano questo aspetto fondamentale della nostra umanità.
Il Signore viene a redimerlo, a salvarlo con il suo amore a benedirlo e fortificarlo con la sua fedeltà, ma a condizione di accettare che questo processo è complesso, dura una vita, è fatto di alti e bassi, e non funziona per tutte le famiglie allo stesso modo e con lo stesso successo. Per la famiglia come per ogni altra realtà umana allora occorre sempre tornare alla consolante frase di Gesù: Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori (Mt 9,12-13).
Fonte:www.qumran2.net
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