fr. Massimo Rossi, “Voce di uno che grida nel deserto...”
Commento su Marco 1,1-8
fr. Massimo Rossi
II Domenica di Avvento (Anno B) (10/12/2017)
Visualizza Mc 1,1-8
“Voce di uno che grida nel deserto...”: l'evangelista Marco cita il profeta Isaia, ma modifica la
punteggiatura; così com'è, la citazione è divenuta un proverbio tristemente famoso, per alludere a qualcuno che grida, ma nessuno lo ascolta.
Credo che tutti, ci siamo trovati almeno una volta in una condizione simile: frustrazione, rabbia, delusione, senso di abbandono... Insomma, voce di uno che grida nel deserto.
Ma veniamo al Vangelo.
Come avrete senz'altro intuito dall'incipit, Marco non si perde in preamboli e viene al sodo.
16 capitoli ed è tutto finito. Matteo, di capitoli, ne scrive 28; Luca, 24; Giovanni, 20 o 21, a seconda degli esegeti...
Il progetto teologico di Marco non prevede il racconto della nascita e dell'infanzia di Gesù; il sipario si alza su Giovanni il precursore che sta battezzando sulle rive del Giordano. Di lì a poco, arriverà Gesù, già trentenne, a farsi battezzare dal cugino.
In poche battute, Marco dichiara che Gesù è il Figlio di Dio e che battezzerà con la forza dello Spirito Santo: sul fatto che Gesù sia Figlio di Dio, ok, è il fondamento della nostra fede; sul fatto che Gesù battezzerà in Spirito Santo, c'è qualcosa da dire; Gesù non ha mai battezzato di persona, almeno secondo quanto dicono i Vangeli. Dopo la sua risurrezione, prima di ascendere al cielo, (Gesù) inviò gli Apostoli ad annunciare il Vangelo e a battezzare.
Non si tratta di un'imprecisione dell'Evangelista: Marco intende affermare che la forza di Gesù, assai maggiore di quella di Giovanni e per la quale quest'ultimo non è degno di sciogliergli i sandali, di assumere cioè l'ufficio di Messia, la forza di Gesù consiste nel possedere la pienezza dello Spirito Santo.
Giovanni definisce il Messia in modo lapidario: “sta per venire il più forte”; l'immagine del più forte evoca le antiche speranze messianiche dell'eroe divino che interviene nella storia in maniera efficace e coraggiosa per liberare tutti gli oppressi. Nella primitiva tradizione cristiana, Gesù è presentato come il più forte, che vince l'antico avversario e libera i prigionieri.
Ed è anche in questi termini che Gesù stesso risponderà ai discepoli del Battista, inviati dallo stesso precursore a interrogarlo: “Sei tu colui che deve venire, oppure dobbiamo aspettare un altro?”; e Gesù a loro: “Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete - e cita liberamente Isaia - I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l'udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella, e beato chi non si scandalizza di me” (Mt 11,2-6).
Questa eccezionale dignità di colui che viene dietro fa saltare lo schema tradizionale del rapporto tra maestro e discepolo: Gesù viene dietro Giovanni, non in senso materiale o morale, ma temporale: colui che viene dietro, non segue dietro - nel senso che è discepolo -, ma viene dopo. L'evangelista ci tiene a precisarlo, per smentire o comunque ridimensionare la tesi, secondo la quale, all'inizio, Gesù sarebbe stato discepolo di Giovanni il precursore.
C'è un vero e proprio salto qualitativo tra la missione del profeta-Giovanni e quella del Messia-Gesù: tale salto qualitativo viene espresso da Marco presentando una nuova antitesi: battesimo mediante l'acqua e battesimo mediante lo Spirito Santo.
Marco scrive intorno al 70 e riflette la nascente esperienza cristiana del dono dello Spirito in forza del lavacro battesimale; i profeti - Geremia in particolare - lo avevano annunciato: Dio stesso avrebbe rinnovato il cuore dell'uomo, centro della sua personalità, non solo mediante un rito esterno - battesimo di penitenza istituito da Giovanni -, ma con la forza creatrice dello Spirito - battesimo di Cristo -, forza che comunica una vita nuova.
Questa umanità nuova è caratterizzata dalla solidarietà di colui che riceve lo Spirito, il cristiano, con Colui che è la fonte stessa dello Spirito, il Cristo.
Questa solidarietà è ancor meglio significata ed espressa nel sacramento dell'altare: chi mangia il corpo del Signore, viene trasformato in Lui; al capitolo 6 del quarto Evangelo, Gesù pronuncia il discorso eucaristico, a commento della moltiplicazione dei pani: “Chi mangia di me vivrà per me”; ‘per me' significa ‘in forza di me'.
In altre parole, la partecipazione al sacramento dell'altare dona ai fedeli la virtus di Cristo, la sua energia, il suo coraggio, la sua fede... che sono il frutto dello Spirito Santo, infuso nel battesimo, rinnovato con la confermazione, e alimentato ogni domenica dall'Eucaristia.
Temo che queste riflessioni lascino un po' il tempo che trovano, insomma, interessino poco; obbiezione comune: ciò che conta è il comportamento cristiano nella vita quotidiana, quello che si deve fare, o non fare, per essere cristiani davvero...
È vero che contano le opere, il cristianesimo vissuto giorno dopo giorno; ma dove impariamo ad essere cristiani davvero?...a Messa!...non solo ascoltando le riflessioni del prete - e si spera che dica qualcosa! -, ma partecipando con tutto noi stessi a questo rito che, lo ripeto, ci può cambiare addirittura la vita; e ce la può cambiare in modo irreversibile, così come il pane si trasforma in corpo di Cristo, in maniera irreversibile, e il vino in sangue di Cristo, in maniera altrettanto irreversibile.
Quando il Signore si presentò agli apostoli, nel cenacolo, la sera di Pasqua, si fece riconoscere mostrando le ferite dei chiodi e il costato trafitto; queste ferite restano sul corpo del Risorto: i segni della morte, paradossalmente, sono la prova che Egli è vivo.
La risurrezione non cancella i fatti della Passione, i quali rimangono irreversibilmente impressi nella persona del Verbo incarnato, a garanzia della loro perenne efficacia per tutta l'umanità.
Non si può tornare indietro dal Calvario... E neanche dalla fede!
fr. Massimo Rossi
II Domenica di Avvento (Anno B) (10/12/2017)
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“Voce di uno che grida nel deserto...”: l'evangelista Marco cita il profeta Isaia, ma modifica la
punteggiatura; così com'è, la citazione è divenuta un proverbio tristemente famoso, per alludere a qualcuno che grida, ma nessuno lo ascolta.
Credo che tutti, ci siamo trovati almeno una volta in una condizione simile: frustrazione, rabbia, delusione, senso di abbandono... Insomma, voce di uno che grida nel deserto.
Ma veniamo al Vangelo.
Come avrete senz'altro intuito dall'incipit, Marco non si perde in preamboli e viene al sodo.
16 capitoli ed è tutto finito. Matteo, di capitoli, ne scrive 28; Luca, 24; Giovanni, 20 o 21, a seconda degli esegeti...
Il progetto teologico di Marco non prevede il racconto della nascita e dell'infanzia di Gesù; il sipario si alza su Giovanni il precursore che sta battezzando sulle rive del Giordano. Di lì a poco, arriverà Gesù, già trentenne, a farsi battezzare dal cugino.
In poche battute, Marco dichiara che Gesù è il Figlio di Dio e che battezzerà con la forza dello Spirito Santo: sul fatto che Gesù sia Figlio di Dio, ok, è il fondamento della nostra fede; sul fatto che Gesù battezzerà in Spirito Santo, c'è qualcosa da dire; Gesù non ha mai battezzato di persona, almeno secondo quanto dicono i Vangeli. Dopo la sua risurrezione, prima di ascendere al cielo, (Gesù) inviò gli Apostoli ad annunciare il Vangelo e a battezzare.
Non si tratta di un'imprecisione dell'Evangelista: Marco intende affermare che la forza di Gesù, assai maggiore di quella di Giovanni e per la quale quest'ultimo non è degno di sciogliergli i sandali, di assumere cioè l'ufficio di Messia, la forza di Gesù consiste nel possedere la pienezza dello Spirito Santo.
Giovanni definisce il Messia in modo lapidario: “sta per venire il più forte”; l'immagine del più forte evoca le antiche speranze messianiche dell'eroe divino che interviene nella storia in maniera efficace e coraggiosa per liberare tutti gli oppressi. Nella primitiva tradizione cristiana, Gesù è presentato come il più forte, che vince l'antico avversario e libera i prigionieri.
Ed è anche in questi termini che Gesù stesso risponderà ai discepoli del Battista, inviati dallo stesso precursore a interrogarlo: “Sei tu colui che deve venire, oppure dobbiamo aspettare un altro?”; e Gesù a loro: “Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete - e cita liberamente Isaia - I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l'udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella, e beato chi non si scandalizza di me” (Mt 11,2-6).
Questa eccezionale dignità di colui che viene dietro fa saltare lo schema tradizionale del rapporto tra maestro e discepolo: Gesù viene dietro Giovanni, non in senso materiale o morale, ma temporale: colui che viene dietro, non segue dietro - nel senso che è discepolo -, ma viene dopo. L'evangelista ci tiene a precisarlo, per smentire o comunque ridimensionare la tesi, secondo la quale, all'inizio, Gesù sarebbe stato discepolo di Giovanni il precursore.
C'è un vero e proprio salto qualitativo tra la missione del profeta-Giovanni e quella del Messia-Gesù: tale salto qualitativo viene espresso da Marco presentando una nuova antitesi: battesimo mediante l'acqua e battesimo mediante lo Spirito Santo.
Marco scrive intorno al 70 e riflette la nascente esperienza cristiana del dono dello Spirito in forza del lavacro battesimale; i profeti - Geremia in particolare - lo avevano annunciato: Dio stesso avrebbe rinnovato il cuore dell'uomo, centro della sua personalità, non solo mediante un rito esterno - battesimo di penitenza istituito da Giovanni -, ma con la forza creatrice dello Spirito - battesimo di Cristo -, forza che comunica una vita nuova.
Questa umanità nuova è caratterizzata dalla solidarietà di colui che riceve lo Spirito, il cristiano, con Colui che è la fonte stessa dello Spirito, il Cristo.
Questa solidarietà è ancor meglio significata ed espressa nel sacramento dell'altare: chi mangia il corpo del Signore, viene trasformato in Lui; al capitolo 6 del quarto Evangelo, Gesù pronuncia il discorso eucaristico, a commento della moltiplicazione dei pani: “Chi mangia di me vivrà per me”; ‘per me' significa ‘in forza di me'.
In altre parole, la partecipazione al sacramento dell'altare dona ai fedeli la virtus di Cristo, la sua energia, il suo coraggio, la sua fede... che sono il frutto dello Spirito Santo, infuso nel battesimo, rinnovato con la confermazione, e alimentato ogni domenica dall'Eucaristia.
Temo che queste riflessioni lascino un po' il tempo che trovano, insomma, interessino poco; obbiezione comune: ciò che conta è il comportamento cristiano nella vita quotidiana, quello che si deve fare, o non fare, per essere cristiani davvero...
È vero che contano le opere, il cristianesimo vissuto giorno dopo giorno; ma dove impariamo ad essere cristiani davvero?...a Messa!...non solo ascoltando le riflessioni del prete - e si spera che dica qualcosa! -, ma partecipando con tutto noi stessi a questo rito che, lo ripeto, ci può cambiare addirittura la vita; e ce la può cambiare in modo irreversibile, così come il pane si trasforma in corpo di Cristo, in maniera irreversibile, e il vino in sangue di Cristo, in maniera altrettanto irreversibile.
Quando il Signore si presentò agli apostoli, nel cenacolo, la sera di Pasqua, si fece riconoscere mostrando le ferite dei chiodi e il costato trafitto; queste ferite restano sul corpo del Risorto: i segni della morte, paradossalmente, sono la prova che Egli è vivo.
La risurrezione non cancella i fatti della Passione, i quali rimangono irreversibilmente impressi nella persona del Verbo incarnato, a garanzia della loro perenne efficacia per tutta l'umanità.
Non si può tornare indietro dal Calvario... E neanche dalla fede!
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