JUAN J. BARTOLOME sdb, Lectio "Sacra Famiglia"

31 dicembre 2017   - Sacra Famiglia  |  Letture - Omelie
LECTIO DIVINA: Lc 2,41-52

Luca non narra un episodio dove si coniuga la sottomissione filiale di Gesù ai suoi genitori a
Nazareth e la assoluta obbedienza al padre nel tempio di Gerusalemme. L'attitudine di Gesù non è compresa da sua madre, che vediamo principalmente angustiata per la perdita di suo figlio e, dopo, sorpresa per la indipendenza di un bambino che si sta facendo adulto. Quanto più cresce Gesù, tanto meno lo sente come figlio suo. Maria vede crescere il figlio di Dio. La vicinanza di Dio, avvertita da parte dei genitori di Gesù, non provocò loro incomprensioni: davanti ai loro occhi si stava facendo, nello stesso tempo, uomo e figlio di Dio.
Il fatto è sommamente istruttivo. Dal punto di vista della sua famiglia, Gesù lo si perde perché deve interessarsi delle cose di Dio. Dal punto di vista di Gesù, i suoi genitori devono accettare una decisione che consisterà nella rinuncia alla patria potestà. L'armonia regna sulla famiglia quando tutti accettano le loro rispettive funzioni; il rispetto reciproco è la base della famiglia che vuole seguire il volere di Dio.

41 I genitori di Gesù andava ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua.
42 Quando Gesù ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l'usanza e
43 quando fu finita, ritornarono; ma il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, all'insaputa dei loro genitori.
44 Questi, credendo che era nella carovana, fecero un giorno di cammino e poi cominciarono a cercarlo tra i parenti ed i conoscenti; 45e non avendolo trovato, tornarono a Gerusalemme in cerca di lui.
46 Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, li ascoltava e faceva domande; 47 tutti coloro che lo udivano, si stupivano per la sua intelligenza e le sue risposte.
48 Al vederlo, restarono stupiti, e sua madre gli disse:
"Figlio, perché ci hai fatto questo? Tuo padre ed io ti abbiamo cercato angosciati".
49 Gli rispose:
"Perché mi cercavate? Non sapete che io devo occuparmi delle cose del Padre mio"?
50 Ma essi non capivano cosa volesse dire.
51 Tornò con loro a Nazareth stando loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore.
52 E Gesù cresceva in sapienza, in età e in grazia davanti a Dio ed agli uomini.

I. LEGGERE: Capire quello che dice il testo e come lo dice

Luca è l'unico evangelista che racconta qualcosa riguardante l'adolescenza di Gesù. L'episodio della perdita e del ritrovamento di Gesù nel tempio di Gerusalemme (Lc 2,41-52) chiude la relazione della sua infanzia. Per l'evangelista il fatto è più che un semplice episodio, è il preambolo della missione personale di Gesù. In realtà, un risultato così poteva essere normalmente trascurato. I genitori di Gesù non vedevano niente di speciale nel loro figlio…fino al giorno in cui si perse. Oltre l'aneddoto di uno smarrimento causale si avverte la minaccia di una sua definitiva perdita: pubblicamente Gesù smette di essere il figlio di Maria e di Giuseppe per dichiararsi figlio di Dio. Con questo arriva al suo finale naturale una relazione che iniziò con un infante in braccio a Maria (Lc 2,12-16), passando per il bambino (Lc.2,17 27-40) e figlio (Lc 2,43) e che termina per essere figlio di Dio(Lc 2,49).
Come nell'episodio precedente (Lc 2,21-39), il tempio è il luogo centrale della rivelazione del mistero personale di Gesù. La struttura presenta lo stesso modello: saliva a Gerusalemme (Lc 2,42; cf 2,22) rivelazione di Gesù (Lc 2,46-47; cf 2,30-31), commento sopra sua madre (Lc 2,48; cf 2,39), ritorno a Nazareth (Lc 2,51; cf 2,39). Al centro dell'episodio e la sua chiave di comprensione, sta nella doppia domanda di Gesù a sua madre (Lc 2,48). Maria non riesce a capire né il fatto della perdita né la ragione che adduce suo figlio (Lc 2,50). Però nella risposta di Gesù gli rivela quanto sopra si è andato raccontando del bambino, con la differenza che adesso è lui che si definisce: essere figlio di un altro Padre e a Lui si dona.
Dentro il rapporto dell'infanzia, l'episodio è il suo finale raggiunto. Quantunque lo si presenti come apprendista, Gesù parla per la prima volta, appena raggiunta la maggiore età, come figlio di Dio, con piena coscienza della sua missione.
Quello che annunciò l'angelo (Lc 2,1-20) e vide Simeone (Lc 2,21-22), è confermato con la crescita dallo stesso Gesù (Lc 2,41-51) la sua saggezza umana può crescere ancora (Lc 2,52) però già conosce la cosa fondamentale, cioè che Dio è suo Padre (Lc 2,48). Non è indifferente quale sia il tempo e il luogo della proclamazione, prima di sottomettersi alla legge di Dio, Gesù si riconosce suo figlio e si occupa delle sue cose. Del suo focolare, la casa di suo Padre.

II. MEDITARE: APPLICARE QUELLO CHE DICE IL TESTO ALLA VITA

Il mistero della natività, che stiamo celebrando in questi giorni, ci è presentato oggi sotto un nuovo aspetto. Dio con noi ha voluto farsi uomo come noi. E come ciascuno di noi alla nascita, fu accolto nel seno della sua famiglia come figlio. La festa della Sacra Famiglia è, perciò, la conseguenza logica dell'incarnazione di Dio in cui crediamo. Più che modello di vita, la famiglia di Nazareth si presenta a noi, nella quotidianità, come la volontà di vicinanza del Dio cristiano, il quale ha voluto, in effetti, essere a noi tanto familiare, che si fece figlio di una coppia, per di più che questa non era all'inizio molto disposta a desiderarlo. Maria essendo vergine, non era preparata per essere madre. Arrivare ad essere la famiglia di Dio fu una sorpresa per i genitori di Gesù. E tutto ciò perché Dio volle essere figlio di uomini, come ognuno di noi. Dio volle essere un uomo normale ed avere una famiglia dove imparare ad essere uomo. Essa fu la sua forma per convertirsi in un Dio familiare.
Dovremmo sorprenderci un poco della volontà di Dio di venire nel nostro mondo nel seno di una famiglia. Tanto grandi furono le sue voglie di contare su una famiglia propria, che lo obbligò alla convivenza con chi aveva eletto come padre suo. Bisogna prenderlo seriamente, se desideriamo osservare il mistero della natività, questo desiderio di Dio di incarnarsi tra noi e vivere in un mondo che minaccia in mille modi la famiglia. Per un credente in Cristo Gesù, Dio con noi, deve risultare evidente che una società con un cuore che non ama la famiglia, non può essere considerata cristiana: non è nostra una cultura una idea, una politica, un interesse, che non si pongono al servizio della famiglia. E, per disgrazia, non sempre sono gli altri i nemici della nostra vita familiare. Spesso siamo noi stessi i più efficaci demolitori della nostra famiglia, quando non la promuoviamo, non la curiamo ogni giorno, la disprezziamo o non ci impegniamo a mantenerla unita. Il cristiano ha buone ragioni per dissociarsi a qualunque progetto, proprio o altrui, che debilita la vita della famiglia. Tali ragioni non le abbiamo inventate noi, ce le ha date Dio facendosi uomo e diventando figlio di Maria e di Giuseppe. Non sono perciò dei semplici valori tradizionali o interessi per conservare quello che si considera un bene naturale, ma deve trasformarsi per i cristiani in un uomo profondamente familiare. Il cristiano non è mero conservatore dei valori tradizionali, ma anche un credente nel Dio di Gesù. E questo ci è venuto incontro attraverso una famiglia: la famiglia del presepe fu il segno dato ai pastori per incontrare la salvezza e la stella guidò i pagani a lei, conducendo così i più lontani all'incontro con Dio. Il presepe ci accoglie e nel presepe incontriamo Dio, dove la famiglia vive unita per Dio, il nostro Dio. Solo lui.
Non è casuale che ci costa tanto sacrificio per incontrarlo, quando noi, come tanti nostri contemporanei, ci impegniamo a cercarlo dove non può stare, lontano dalla vita della famiglia. Torniamo alla vita familiare, torniamo a tenere la famiglia come impegno di lavoro, come meta della vita, come sacrificio offerto a Dio. Il Dio cristiano è un Dio familiare perché ha scelto la famiglia, la sua e la nostra, come luogo della sua presenza nel nostro mondo. Lo fece nella prima natività e questa che ci ricorda è l'ultima. Essendo cattivi i genitori e non buoni i figli, non possiamo illuderci di essere buoni credenti in Dio che si fece uomo, facendosi figlio obbediente di giovani sposi.
Con questo non dobbiamo farci eccessive illusioni. Se non incontriamo Dio nel seno della famiglia, non diventa facile la convivenza con Lui. La narrazione evangelica lo ricorda: la famiglia di Maria e Giuseppe con Gesù, il Dio incarnato, non le risparmiò incomprensioni e dolori, come lo sono i dolori inevitabili in ogni famiglia. Il fatto è che in qualunque figlio, in qualunque famiglia, Gesù è sempre differente, estraneo lontano dalle nostre piccole preoccupazioni e occupato sempre a dare soddisfazione al Padre suo. E' significativo che Maria, la madre eletta da Dio, sia passata dalla esperienza di perdere momentaneamente suo figlio, questo figlio che era realmente di Dio. Non ci commuove che Maria sia passata per questa esperienza, quando noi per disgrazia tante volte continuiamo a perdere Gesù e penare per non sapere dove o come recuperarlo? E quando lo incontrò, dovette riconoscere che questo figlio non era più suo, non stava più a sua disposizione, che si poteva escludere da allora in avanti con questa madre con questa famiglia di Dio, dove noi ci dovremmo sentire immedesimati: quante volte anche noi abbiamo perso il Dio che credevamo vicino, familiare, quante volte lo abbiamo allontanato!
Quel Dio familiare non è un Dio di facile convivenza. Perché deve esserlo Lui se non lo siamo noi?
Però sa che Dio appartiene alla sua famiglia, lo cerca come Maria; fino ad incontrarlo. E lo incontra nel tempio: in quel posto dove sta Dio per definizione, lì sta il nostro Dio familiare. L'aver perso alcune volte Dio, l'averlo estraniato nel seno della famiglia, e l'averlo allontanato, è il miglior inizio per la sua ricerca: impariamo da Maria. Più ci separiamo dai nostri, più possiamo perderlo senza renderci conto, quasi senza avvertirlo, solo perché siamo più preoccupati di portare avanti i nostri piani piuttosto che occuparci dei piani del Padre di Gesù.
Apprendiamo da Maria anche a dolerci della sua assenza e ad affannarci per incontrarlo. Solo se manca quello che prima si possedeva adesso si apprezza come bene. E avere perso Dio e sentirlo, ci rivela il male che si vive senza di Lui, quanto ci duole la sua assenza. Sapendolo perso è già una forma, imperfetta però sincera di amarlo. E' la ragione più profonda per metterci a cercarlo.
Se non ci duole la sua separazione, se non rischiamo a domandare di Lui a quanti incontriamo nel nostro cammino, sapremo che lo amiamo tanto da non vergognarci per averlo perso e stare a cercarlo. Dobbiamo tenerlo tra di noi, nella famiglia, sarà la miglior prova di quello che desideriamo veramente. Maria è l'esempio della madre di Dio, anche perché lo cercò addolorata.
Forse sarà questo il cammino che noi abbiamo, è l'unico che ci rimane, per ritornare a volere Dio nella nostra famiglia. Non lo sprechiamo: guidiamo la nostra vita familiare, di modo che possa stare ad aspettare il Dio della natività. E se per dimenticanza abbiamo perso di vista Dio, lanciamoci alla sua ricerca: quando lo recupereremo, come Maria, lo rispetteremo di più e lo ameremo meglio. Un Dio che possiamo smarrire merita maggiore attenzione. Se Maria lo dovette apprendere, Perché non lo facciamo anche noi

Juan Jose BARTOLOME SDB

Fonte:www.donbosco-torino.it/

Commenti

Post più popolari