Paolo Curtaz, "Un nuovo inizio"IIAvvento

Commento al Vangelo di domenica 10 Dicembre 2017 - Paolo Curtaz
Un nuovo inizio

Inizio del Vangelo di Gesù Cristo.
Così, d’impeto, scrive il giovane Marco alla comunità di Roma. La prima frase del primo vangelo
scritto già rivela la fine del film. Uno spoiler che farebbe rabbrividire gli amanti delle fiction (Curtaz fra questi). Eppure Marco non teme. Perché il suo incipit asciutto e fulminante, come un pugno nello stomaco se non fossimo vaccinati da due millenni di catechismi devoti e santini, di stucchevoli visioni cattoliche, se non avessimo asfaltato lo stupore con la noia e la banalità, afferma qualcosa di inaudito.
Quel Gesù di Nazareth, il figlio del falegname, il giovane galileo viandante, il profeta improvvisato. Quel tale giudicato pazzo e indemoniato dai censori religiosi del tempo, quel mite e creativo uomo di Dio considerato un pericolo per l’ordine pubblico. Quel tizio che frequentava con grande scandalo pubblici peccatori, quel festaiolo, quello lì, così poco devoto, poco religioso, poco rispettoso dell’autorità e dei precetti, proprio lui, è il Cristo.
L’Unto. Il Messia. L’Atteso. Colui che può salvarci dall’abisso di abitudine e buon senso in cui siamo sprofondati, dall’inutile buonismo natalizio che accarezza le emozioni anestetizzando l’anima.
Sì, lui.

Niente di nuovo
Il bello è che lo sappiamo.
Sappiamo che è così. Sappiamo che il Natale che ci prepariamo a vivere è l’inaudito che si ripete, l’invito all’accoglienza di un Dio che chiede ancora di nascere nelle nostre quotidianità.
Sappiamo chi è lui, cosa ha detto, cosa ha fatto, chi è.
Sappiamo cosa fare per vivere, cos’è la storia, cos’è la nostra storia. Sappiamo.
E nulla cambia. Rassegnati alla vita. Foss’anche alla vita devota.
Ma Marco insiste. L’annuncio si ripete. Il cammino si dipana e si approfondisce, come una spirale che torna sempre sullo stesso punto ma più in alto o più in dentro, se volete. E scrive.
Inizio del Vangelo.
È una nuova Genesi, una nuova Creazione, un nuovo inizio.
Non un trattato di teologia o una raccolta di detti al modo dei rabbini, ma un racconto. Marco lo ha intitolato vangelo, cioè buone notizie come erano chiamati i racconti delle gesta degli imperatori a partire da Cesare Ottaviano Augusto, il figlio adottivo di Giulio Cesare, il primo a pacificare l’intero Impero Romano.
È una buona notizia: quel Gesù è il Cristo.
Qui, adesso, oggi.

Sveglia!
Niente scuse allora. Svegliamoci. Svegliati.
Smettila di stare seduto a lamentarti. Smettila di credere di credere. Smettila di prepararti al Natale come se quelle lucine riuscissero a colmare il tuo cuore. Smettila di adeguarti, abituarti, rassegnarti, preoccuparti.
E lavora.
Come raccomanda Isaia ai deportati in Babilonia. Lui, probabilmente un profeta nato in esilio, che non ha mai visto Gerusalemme. Lui che osa sognare in un posto di schiavi rassegnati, come quello in cui ci è dato di vivere. Lui che invita tutti a rimboccarsi le maniche.
A spianare i colli dell’arroganza e della violenza di pensiero e di parole. A disarmarci smettendola di pensare che tutti ce l’hanno con noi.
A colmare i crateri delle nostre insicurezze, delle nostre paure, delle nostre nevrosi.
E lo fa consolando. Una consolazione che non è compatimento, pena, ma forza irruente, energia, scuotimento.
Come raccomanda Giovanni il battezzatore.

La voce che grida
È figlio di un sacerdote ma fa il profeta.
Ha frequentato Gerusalemme, si è rifugiato nel deserto.
Tutti chiedono sacrifici nel rinato tempio. Lui propone la conversione.
E fa scendere la gente attraverso il deserto di Giuda fino al Giordano, in un nuovo Esodo.
Non propone le abluzioni rituali ma un vero e proprio battesimo di immersione. Un simbolo di un cambiamento di vita radicale.
Giovanni il Battista non fa sconti: se vuoi un nuovo inizio, se vuoi buone notizie devi prepararti a qualcosa di forte, di più forte. Specialmente se già credente. Devi osare.
L’unico modo che abbiamo per fare di questo Natale una qualche rinascita è convertirci.
Ah, solo!
E ascoltare i profeti che ci invitano a preparare le strade. Dio viene quando meno ce lo aspettiamo. Viene come non ce lo immaginiamo. E non sappiamo dove e come. Ma viene.
Se ci trova.

Sandali
Giovanni è il protagonista di questo avvento. Un grande, il più grande.
Potrebbe prendersi per il Messia, tutti pensano che lo sia.
Potrebbe prendersi per Dio, cosa che molti, ancora oggi, fanno.
Ma sa che non è lui la luce. Lo ha scoperto, lo ha capito, lo ha accettato trovando il suo posto, la sua collocazione nel grande disegno di Dio. Nessun delirio di onnipotenza, nessuna narcisismo patologico.
Pensa di avere capito tutto. Dovrà ancora fare molta strada su percorsi che non si immagina.
Il suo messaggio è chiaro: non è degno di slacciare i sandali di chi viene. Alcuni studiosi vedono in quel riferimento il gesto che l’avente diritto a sposare la vedova senza figli, secondo la legge del levirato, compiva se rinunciava al suo diritto. Il nuovo pretendente gli sfilava il sandalo. Come se Giovanni dicesse: io non ho nessuna pretesa di rubare la sposa, Israele, al pretendente, il Messia.

Grida, Giovanni. E la folla accorre.
Anche se ha il tempio e i riti e i sacerdoti.
Ma la folla ha bisogno di una Parola che sferza e nutre, scuote ed incoraggia, converte e mette in crisi.
Gridano i profeti, ancora oggi, e ci invitano a stare desti, a svegliarci.
Ancora viene Dio.
Non si stanca di noi.

Fonte:http://www.tiraccontolaparola.it/


Commenti

Post più popolari