Paolo Curtaz, "Ora lascia"
Commento al Vangelo di domenica 31 dicembre 2017 - Paolo Curtaz
Ora lascia
Dio viene, l’uomo non c’è.
Non c’è l’Imperatore, che non si occupa delle cose di Dio e conta i suoi sudditi come se fossero oggetti.
Non c’ Erode, che teme la venuta di Dio come se fosse un concorrente.
Non ci sono i sacerdoti, tutti presi nel loro piccolo mondo autoreferenziale.
Non c’è la brava gente di Gerusalemme e di Betlemme, travolti dalla dimenticanza.
Dio viene, e qualcuno lo accoglie.
Maria la bella, adolescente incosciente che diventa la porta d’ingresso di Dio nel mondo.
Giuseppe, il sognatore, che mette da parte i suoi progetti per obbedire e assumere gli eventi.
I pastori, gli zingari di Dio, che non si aspettano salvezza.
I Magi, inquieti cercatori che, inseguendo la verità, incontrano Dio.
Ma c’è ancora una figura, quasi marginale, che accoglie Dio.
Un anziano signore di cui poco si parla, nelle nostre liturgie e che, invece, ha un ruolo fondamentale nella nostra riflessione: è Simeone.
Ora lascia
Ecco un altro giusto.
Come Elisabetta e Zaccaria, genitori di Giovanni Battista, come Giuseppe di Arimatea, come il Centurione Cornelio (pagano!). Luca, nella sua opera, identifica alcuni personaggi, definendoli “giusti”. Luca, pagano, diversamente da Matteo con Giuseppe, usa questo termine indicando le persone che, con il proprio comportamento retto, favoriscono la manifestazione del Regno. Non c’è, quindi, un legame immediato con la giustizia di Dio.
Nel caso di Simeone, però, il riferimento a Dio è esplicito e ribadito.
Le poche frasi che ce lo descrivono ci danno un’idea precisa di Simeone.
È un uomo di fede, un uomo di Chiesa, diremmo oggi, uno di quelli che sono sempre presenti, che danno una mano, che partecipano alla messa feriale, che non disdegnano di pulire la chiesa e partecipano a tutte le iniziative della parrocchia.
Ce ne sono ancora di persone come lui, sempre meno, purtroppo.
Persone su cui i parroci fanno affidamento, che li sollevano dalle incombenze quotidiane, che prestano un servizio umile e generoso. Uomini e donne con una grande vita interiore. Come Simeone.
Per ben tre volte Luca cita lo Spirito Santo.
È lo Spirito che rassicura Simeone riguardo alla consolazione di Israele.
È lo Spirito che gli promette di fargli vedere la salvezza prima della morte.
È lo Spirito, quel mattino, che lo fa uscire di casa e salire al Tempio.
La vita di preghiera è una dimensione straordinaria nella vita del credente.
L’unione con lo Spirito, l’abbandono a lui, ci illumina e ci istruisce, ci conduce e ci dona consolazione e speranza.
Ma proprio da queste sottolineature intuiamo una scomoda verità: Simeone è scoraggiato, forse deluso.
Come molti anziani che ho incontrato nella mia vita.
Amarezze
Simeone me lo immagino così: un uomo di fede cresciuto all’ombra del Tempio, ora amareggiato e stanco, deluso e senza consolazione.
Amico lettore, se ti trovi in questa condizione, molto più diffusa di quanto ti immagini, non avere paura: nonostante la fede possiamo essere depressi,
malgrado la nostra generosità possiamo temere la morte,
anche se dimoriamo nello Spirito, possiamo avere dei momenti di scoraggiamento.
La fede non risolve i problemi, li pone in una luce diversa. Al discepolo, il dolore non è evitato.
Egli porta in sé, se vuole, le ragioni per affrontarlo e trasfigurarlo.
Simeone aspetta la fine dei suoi giorni.
Ma è sconsolato: non ha visto la salvezza, non ha assaporato la pienezza di senso.Anche se il Tempio è stato ricostruito e le folle salgono a Gerusalemme,
nonostante le liturgie suntuose e le pompe celebrative,
nel suo cuore alberga l’amarezza.
Finché.
Provincialotti
Finché una mattina, come molte, esce di casa e lì, nel grande atrio del Tempio, li vede.
È una giovane coppia, visibilmente in difficoltà, che non sa dove andare per fare circoncidere il proprio bimbo. Sono centinaia le persone presenti in quel momento, fra fedeli e leviti, c’è un gran viavai nel cortile.
Giuseppe, timidamente, cerca di chiedere a qualcuno, ma non riceve risposte soddisfacenti.
Li vede, Simeone, e capisce.
Quanti li stanno guardando? Uno solo li vede.
Perché il suo cuore è abitato dallo Spirito Santo.
E accade.
Si avvicina, sorride, prende il bambino, lo guarda con tenerezza, lo restituisce alla madre.
E diventa un poeta.
Ora lascia, dice. Si rivolge a Dio, è colmo di gratitudine.
Posso andarmene, sono libero, grazie. Ho visto la salvezza, dice. Ho visto la luce.
Maria e Giuseppe, straniti, lo osservano, ma di cose strane, negli ultimi otto giorni, ne sono successe a sufficienza.
Simeone ha visto la salvezza.
In realtà anche lui, come i pastori, come i Magi, vede un neonato.
Uguale a mille altri, con gli occhi spalancati e pieni di stupore, la faccina raggrinzita e le manine chiuse a pugno.
E lì, in quel bambino, per un attimo, contempla l’infinito.
Simeone ha settant’anni o più, quando incontra Gesù.
Una vita passata ad aspettare Dio.
Poi, per due minuti, incrocia questa coppia e tutto si accende.
Che il Signore conceda a tutti noi di avere quei due minuti.
Due minuti che possono dare senso a tutta una vita, due piccoli minuti che possono aprirci al mistero.
Se, come Simeone, siete delusi dalla vita e amareggiati, se la vita è al tramonto e non vi sembra sia stata granché, se non avete ancora capito cosa ci siete venuto a fare su questa terra, fare come Simeone: dimorate nella preghiera, nella luce dello Spirito, e salite al Tempio.
Gli altri vedranno le cose come sempre, voi no. E sarà un natale pieno di salvezza.
Fonte:http://www.tiraccontolaparola.it/
Ora lascia
Dio viene, l’uomo non c’è.
Non c’è l’Imperatore, che non si occupa delle cose di Dio e conta i suoi sudditi come se fossero oggetti.
Non c’ Erode, che teme la venuta di Dio come se fosse un concorrente.
Non ci sono i sacerdoti, tutti presi nel loro piccolo mondo autoreferenziale.
Non c’è la brava gente di Gerusalemme e di Betlemme, travolti dalla dimenticanza.
Dio viene, e qualcuno lo accoglie.
Maria la bella, adolescente incosciente che diventa la porta d’ingresso di Dio nel mondo.
Giuseppe, il sognatore, che mette da parte i suoi progetti per obbedire e assumere gli eventi.
I pastori, gli zingari di Dio, che non si aspettano salvezza.
I Magi, inquieti cercatori che, inseguendo la verità, incontrano Dio.
Ma c’è ancora una figura, quasi marginale, che accoglie Dio.
Un anziano signore di cui poco si parla, nelle nostre liturgie e che, invece, ha un ruolo fondamentale nella nostra riflessione: è Simeone.
Ora lascia
Ecco un altro giusto.
Come Elisabetta e Zaccaria, genitori di Giovanni Battista, come Giuseppe di Arimatea, come il Centurione Cornelio (pagano!). Luca, nella sua opera, identifica alcuni personaggi, definendoli “giusti”. Luca, pagano, diversamente da Matteo con Giuseppe, usa questo termine indicando le persone che, con il proprio comportamento retto, favoriscono la manifestazione del Regno. Non c’è, quindi, un legame immediato con la giustizia di Dio.
Nel caso di Simeone, però, il riferimento a Dio è esplicito e ribadito.
Le poche frasi che ce lo descrivono ci danno un’idea precisa di Simeone.
È un uomo di fede, un uomo di Chiesa, diremmo oggi, uno di quelli che sono sempre presenti, che danno una mano, che partecipano alla messa feriale, che non disdegnano di pulire la chiesa e partecipano a tutte le iniziative della parrocchia.
Ce ne sono ancora di persone come lui, sempre meno, purtroppo.
Persone su cui i parroci fanno affidamento, che li sollevano dalle incombenze quotidiane, che prestano un servizio umile e generoso. Uomini e donne con una grande vita interiore. Come Simeone.
Per ben tre volte Luca cita lo Spirito Santo.
È lo Spirito che rassicura Simeone riguardo alla consolazione di Israele.
È lo Spirito che gli promette di fargli vedere la salvezza prima della morte.
È lo Spirito, quel mattino, che lo fa uscire di casa e salire al Tempio.
La vita di preghiera è una dimensione straordinaria nella vita del credente.
L’unione con lo Spirito, l’abbandono a lui, ci illumina e ci istruisce, ci conduce e ci dona consolazione e speranza.
Ma proprio da queste sottolineature intuiamo una scomoda verità: Simeone è scoraggiato, forse deluso.
Come molti anziani che ho incontrato nella mia vita.
Amarezze
Simeone me lo immagino così: un uomo di fede cresciuto all’ombra del Tempio, ora amareggiato e stanco, deluso e senza consolazione.
Amico lettore, se ti trovi in questa condizione, molto più diffusa di quanto ti immagini, non avere paura: nonostante la fede possiamo essere depressi,
malgrado la nostra generosità possiamo temere la morte,
anche se dimoriamo nello Spirito, possiamo avere dei momenti di scoraggiamento.
La fede non risolve i problemi, li pone in una luce diversa. Al discepolo, il dolore non è evitato.
Egli porta in sé, se vuole, le ragioni per affrontarlo e trasfigurarlo.
Simeone aspetta la fine dei suoi giorni.
Ma è sconsolato: non ha visto la salvezza, non ha assaporato la pienezza di senso.Anche se il Tempio è stato ricostruito e le folle salgono a Gerusalemme,
nonostante le liturgie suntuose e le pompe celebrative,
nel suo cuore alberga l’amarezza.
Finché.
Provincialotti
Finché una mattina, come molte, esce di casa e lì, nel grande atrio del Tempio, li vede.
È una giovane coppia, visibilmente in difficoltà, che non sa dove andare per fare circoncidere il proprio bimbo. Sono centinaia le persone presenti in quel momento, fra fedeli e leviti, c’è un gran viavai nel cortile.
Giuseppe, timidamente, cerca di chiedere a qualcuno, ma non riceve risposte soddisfacenti.
Li vede, Simeone, e capisce.
Quanti li stanno guardando? Uno solo li vede.
Perché il suo cuore è abitato dallo Spirito Santo.
E accade.
Si avvicina, sorride, prende il bambino, lo guarda con tenerezza, lo restituisce alla madre.
E diventa un poeta.
Ora lascia, dice. Si rivolge a Dio, è colmo di gratitudine.
Posso andarmene, sono libero, grazie. Ho visto la salvezza, dice. Ho visto la luce.
Maria e Giuseppe, straniti, lo osservano, ma di cose strane, negli ultimi otto giorni, ne sono successe a sufficienza.
Simeone ha visto la salvezza.
In realtà anche lui, come i pastori, come i Magi, vede un neonato.
Uguale a mille altri, con gli occhi spalancati e pieni di stupore, la faccina raggrinzita e le manine chiuse a pugno.
E lì, in quel bambino, per un attimo, contempla l’infinito.
Simeone ha settant’anni o più, quando incontra Gesù.
Una vita passata ad aspettare Dio.
Poi, per due minuti, incrocia questa coppia e tutto si accende.
Che il Signore conceda a tutti noi di avere quei due minuti.
Due minuti che possono dare senso a tutta una vita, due piccoli minuti che possono aprirci al mistero.
Se, come Simeone, siete delusi dalla vita e amareggiati, se la vita è al tramonto e non vi sembra sia stata granché, se non avete ancora capito cosa ci siete venuto a fare su questa terra, fare come Simeone: dimorate nella preghiera, nella luce dello Spirito, e salite al Tempio.
Gli altri vedranno le cose come sempre, voi no. E sarà un natale pieno di salvezza.
Fonte:http://www.tiraccontolaparola.it/
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