Abbazia Santa Maria di Pulsano, Lectio DOMENICA «DELLE PRIME VOCAZIONI»
DOMENICA «DELLE PRIME VOCAZIONI»
II Domenica del Tempo per l’Anno B
Gv 1,35-42; 1 Sam 3,3b-10.19; Sal 39; 1 Cor 6,13c-15a.17-20
Dopo la festa del Battesimo di Gesù si entra nel tempo liturgico ordinario, ma come altre volte
avevamo sottolineato che tempo ordinario non significa un tempo minore o secondario è altrettanto vero che le letture di oggi ci sono consegnate per ricordarci che nessun momento della nostra vita, della vita del mondo, deve essere ritenuto banale, privo di senso e di valore.
Dio che chiama non ha bisogno di spazi particolari per farsi sentire; continuamente nell’ordinarietà della nostra vita ci invita a seguirlo. Tutti i fedeli sono chiamati «oggi qui» dal Signore, ad «andare e a vedere» nelle fede e nella sequela di carità verso Lui, fino all’Eucarestia domenicale, dove mangiando il Pane della Parola divina e partecipando ai Divini Misteri si diventa la Chiesa Sposa e Madre.
Antifona d’Ingresso Sal 65,4
Tutta la terra ti adori, o Dio, e inneggi a te:
inneggi al tuo nome, o Altissimo.
Il salmista canta al Signore la gioia riconoscente per i prodigi che ha operato ed invita tutta la terra, cioè tutti i suoi abitanti ad adorare il Signore prostrandosi ad adorarlo. Tutti gli abitanti della terra sono poi invitati ad unirsi all’assemblea del popolo di Dio, Israele, a cantare inni, i salmi, canto tipico dei fedeli del Signore, acclamando il suo Nome divino indicibile. Si noti l’insistenza sul canto dei Salmi, presi come modello della fede che deve espandersi tra le nazioni pagane e così spesso trascurati nelle nostre assemblee non solo nei canti ma anche nella preghiera.
Canto all’Evangelo Gv 1,41.17b
Alleluia, alleluia.
«Abbiamo trovato il Messia»:
la grazia e la verità vennero per mezzo di lui.
Alleluia.
È l’annuncio che Andrea fa al fratello Simone per informarlo di aver trovato il Messia atteso. Lo stesso annuncio risuona ancora oggi per noi e per tutti i fedeli poiché dal Signore si riceve tutto: il dono dello Spirito Santo, primo dono, poi la Grazia e la Verità
Oggi è la terza manifestazione di Gesù dopo l’Epifania e il Battesimo: Gesù è il Messia che adempie il piano della salvezza e chiama per la sequela del Regno.
Le narrazioni di «vocazioni» sono senza dubbio da annoverare fra le pagine più toccanti e dense della Bibbia. Esse sono numerose nella Scrittura e tutte molto suggestive; si pensi ad es. alla essenzialità del racconto della chiamata di Abramo (Gen 12), al tono maestoso dei racconti della vocazione di Mose (Es 3) e di Isaia (Is 6), al tocco palpitante di quello della vocazione di Geremia (Ger 1), ecc..
La prima lettura di oggi è costituita esattamente da una narrazione di vocazione profetica, ma questa volta di tono molto intimo e tranquillo: quella di Samuele, personaggio di solito poco ricordato ma che ebbe grande rilevanza nella storia d’Israele: fra l’altro guidò il passaggio dall’organizzazione tribale a quella monarchica. Nella semplicità dello schema narrativo, con la triplice esatta ripetizione della chiamata e della risposta, il racconto tende a sottolineare la completa disponibilità di Samuele alla vocazione divina e alla sua fedele obbedienza nell’attività successiva.
Il brano del quarto evangelo che narra la vocazione dei primi discepoli di Gesù è riportato anche dai tre sinottici. Il racconto di Giovanni diverge profondamente dall’analoga narrazione dei sinottici; l’unica espressione giovannea che ha riscontro nel testo sinottico, è quella riguardante Andrea, fratello di Simone (cf. Gv 1,40; Mc 1,16; Mt 4,18) e la vocazione degli stessi. Dalla scarsa corrispondenza delle narrazioni sembra che Giovanni racconti dei fatti ignoti ai sinottici, in una prospettiva teologica propria. Non deve apparire strana questa Domenica II del Ciclo B, che inserisce una pericope di Giovanni.
L’intera officiatura si coglie bene dal Versetto del Salmo responsorio: il Signore battezzato dal Padre con lo Spirito Santo entra nel suo ministero messianico «per fare la Volontà» paterna.
Nel salmo l’Orante comprende che nel Libro sacro era segnata la sua sorte (v. 8), e si offrì al Signore, alla sua Volontà, scoprendo che la Legge santa permea per intero il suo cuore, la sua esistenza (v. 9).
Tutto questo adesso risuona come celebrazione del Signore, fatto conoscere per i suoi benefici a tutta la comunità.
Al versetto responsorio, vv. 8a e 9a, che fa cantare la volontà dell’Orante («il vocato») di presentarsi al Signore per fare la sua Volontà, va fatta una nota necessaria. Infatti i vv. 7-9 del Salmo sono citati, per applicarli a Cristo come offerta al Padre, anche da Ebr 10,5-7, ma preso solo dal testo greco dei LXX, risalente al 3° secolo a. C., che è il testo originale ispirato per il N. T. e per la Chiesa dei Padri. Dove però il v. 7 del Salmo dice che il Signore all’Orante «preparò il corpo», affinché diventasse l’offerta sacrificale, mentre il testo ebraico, stranamente penetrato nel Salterio della Vulgata, che è pregeronimiano, conosce la lezione dell’ebraico, secondo cui che il Signore gli «aprì l’orecchio» all’ascolto (è un’immagine profetica, vedi sul Servo del Signore, Is 50,4). Così del medesimo versetto si hanno due versioni del tutto differenti e incoerenti; le versioni ufficiali spesso riportano gravi imperizie, come il presente assurdo. Qui il Salterio, per ovviare, dovrebbe essere adeguato ovviamente all’epistola agli Ebrei.
Esaminiamo il brano
v. 35 «Il giorno dopo»: La seconda testimonianza del Battista a Gesù, proclamato agnello di Dio, avviene il terzo giorno dalla confessione pubblica del precursore di non essere il Messia.
Il primo giorno infatti abbiamo la testimonianza negativa di Giovanni, dinanzi alla delegazione gerosolimitana (Gv 1,19-28) e nel secondo giorno avviene la prima testimonianza positiva a Gesù (1,29-34) dove Lo aveva indicato sotto due aspetti conseguenti: «Ecco l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo», ossia il Servo sofferente, Colui sul quale lo Spirito inviato da Dio dimora (vv. 32 e 33), poiché sul Servo il Signore pose il suo Spirito (Is 42,1);.
«due dei suoi discepoli»: l’autore ci informa in maniera esplicita che il Battista aveva dei discepoli.
v. 36 - «fissando lo sguardo»: il verbo gr. emblépsas oltre al semplice guardare con attenzione, fissare, indica l’atto di guardare dentro, quasi penetrando nell’intimo dell’animo dell’osservato.
Il Battista fissa Gesù come come farà questi con Simone e con il ricco, da lui amato (Mc 10,21).
Giovanni contempla «Gesù che passa» che non è un passare qualunque, di un Gesù frettoloso che corre chissà dove. Giovanni è Profeta e scruta le Realtà divine, e “sa” perché Gesù “passa”: perché è Colui che viene, che cerca i suoi discepoli. Nei 4 Evangeli infatti, in unanimità da notare, quando il Signore chiama gli uomini al suo seguito per il necessaria discepolato, si hanno sempre e solo 3 verbi: «passa - guarda - chiama». Si vedano le prime vocazioni, di Pietro e di Andrea, e di Giacomo e Giovanni in Mt 4,18-22; il parallelo secondario in Mc 1,16-20; quella di Levi - Matteo in Lc 5,27-28. Colui che viene passa, guarda e chiama un’unica volta. Lo avevano compreso i Padri, che contemplavano questo tratto con terrore: «Io ho paura di Gesù che passa e non ritorna» (S. Agostino).
«Ecco l’agnello di Dio»: la ripetizione della solenne proclamazione da parte del Battista non ha solo la funzione di sottolineare l’importanza di questo titolo messianico (il sistema sacrificale era talmente familiare agli ebrei che le parole del Battista non necessitavano di nessuna spiegazione), ma di preparare e favorire la vocazione dei suoi due discepoli.
Giovanni ai due discepoli ancora anonimi “indica” Gesù come il Servo sofferente, con la «formula di rivelazione» o «formula del prodigio divino»: «Ecco l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo» (Gv 1,36b). Parla così come al «2° giorno», e rimanda così in modo esplicito ancora una volta al Servo sofferente di Is 53,7-8.
v. 37 - «udirono»: anche qui il vocabolo gr. ḗkousan indica non soltanto la percezione del suono materiale delle parole, ma la comprensione del significato, come dimostrerà il loro contesto immediato. L’Evangelista annota in modo lapidario: «E ascoltarono lui che parlava, i due discepoli, e seguirono Gesù».
Due verbi fondanti: «ascoltare” e “seguire”.
L’ascoltare biblico significa “obbedire”. Giovanni maestro ha persuaso i suoi discepoli, e questi obbediscono alla sua volontà di affidarli all’Agnello di Dio: Inoltre, «seguirono Gesù» indica la sequela ultima, quella definitiva, dei discepoli nuovi, seguire ormai per sempre un altro Maestro, quello divino.
I due Lo seguono anche materialmente, in modo discreto e timido, il Signore «si volta» ad essi e chiede: «Che cercate?»
v. 38 - «voltatosi»: Gesù si volta indietro quasi a vedere se le parole del Battista hanno avuto qualche effetto. La scena è trattata con una vivacità e un verismo tali, che suppone una testimonianza oculare.
«e visto»: nella folla che non ha una particolare direzione nei suoi movimenti, quei due sono chiaramente individuabili, poiché si dirigono verso di lui, che si ferma ad attenderli.
«cosa cercate»: lett zēteîte può indicare cercare e volere, è un aramaismo che possiamo tradurre meglio con bramare, desiderare.
La prima parola che Gesù pronuncia nell’evangelo di Giovanni è una domanda che pone a bruciapelo ai due che lo stanno seguendo: che cosa cercate. È questa una domanda importante che tende a scavare per mettere in luce le intenzioni più intime; l’evangelista la sceglie con cura e la riproporrà ancora due volte nel corso del suo racconto:
1. all’inizio della sua passione, Gesù chiede per due volte a coloro che sono venuti ad arrestarlo nel giardino: «Chi cercate» (18,4.7);
2. la stessa domanda ripete il Risorto al mattino di Pasqua, quando vuole scuotere la Maddalena piangente: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?» (20,15).
La richiesta non è banale; anzi nel modo di procedere dell’evangelista Giovanni è molto seria. È la domanda che va al cuore dell’intenzione e mira a svelare la reale disponibilità della persona: si può infatti cercare Gesù per accoglierlo come il Messia ma anche per arrestarlo come un delinquente; lo si può cercare come un morto da compiangere o come il Vivente da cui essere salvati.
Nell’A. T. «cercare Dio» è il massimo tema spirituale. La soluzione teologica è paradossale. Occorre comunque «cercare Dio», pur sapendo che è impossibile “trovarlo”. Poiché, come, dove, quando, perché “trovarlo” se è il Trascendente? è il dramma della Sposa, che esclama con tristezza dell’amore: «Lo cercai, ma non Lo trovai» (Ct 5,6). Ma allora la “ricerca” consiste precisamente in quello che avviene alla Sposa: lasciarsi trovare da Lui.
«Rabbì»: I due discepoli da buoni Ebrei sanno tutto questo, e in un certo senso aggirano l’ostacolo. Non dicono: Ti cercammo, eccoci, Ti trovammo finalmente. Invece dicono: «Rabbí, Maestro, dove dimori?»
(Gv 1,38b). Rabbî, plurale Rabban, alla lettera significa «grande (rab) mio», termine che si usa per persone venerate, anzitutto i maestri della santa Legge, i rabbini. Ma si usa anche per il Signore, e proprio in Giovanni la Maddalena che riconosce il Risorto Lo interpella con un’acclamazione d’amore:
“Rabbouni!”, che significa «Signore mio!» (Gv 20,16), proprio come Tommaso acclamerà con tensione grande: «Signore mio e Dio mio!» (Gv 20,28).
«dove abiti?»: anche la risposta dei discepoli non è una banale richiesta dell’indirizzo; ma piuttosto «qualè la tua posizione e la tua consistenza?». Il verbo greco méneis (=rimanere) utilizzato è molto importante nel linguaggio teologico di Giovanni. Potremmo tradurre letteralmente: «Dove rimani?»; la risposta Gesù la darà in seguito (leggi ad es. il discorso sulla vera vite; in Gv 15,4: «rimanete in me e io i voi») quando i discepoli fatta l’esperienza di stare con lui lo accoglieranno nella loro vita, nel loro cuore.
v. 39 - «venite e vedete»: imp. presente positivo; l’invito di Gesù interpreta il desiderio dei due.
«rimasero con lui»: Questo contatto personale con Gesù è di grande importanza nella vita dei discepoli perchè è da ciò che nasce la fede nel Messia.
«l’ora decima»: nei LXX le 4 pomeridiane, questa precisazione cronologica è un probabile indizio che l’evangelista fu testimone degli eventi ma può avere anche un significato simbolico. Il 4° evangelista spesso si diletta di precisare il tempo degli avvenimenti importanti ai quali probabilmente prese parte:
ora sesta la samaritana al pozzo (4,6);
ora settima la febbre lascia il figlio del funzionario regio (4,52);
ecc..
Circa le 4 del pomeriggio sono ora e giorno fortunati e felici. Di certo i due ascoltarono il Signore, e anche, secondo le leggi ineludibili dell’ospitalità orientale antica, mangiarono con Lui e il giorno è venerdì, come sembra probabile, i due rimasero da Gesù anche il sabato: si suppone che la conversazione sia stata abbastanza lunga da far arrivare il crepuscolo, quando cominciava il sabato e quindi i due non potevano probabilmente tornare a casa, distante più del cammino permesso in sabato.
Le parole del Signore, è più che evidente, sono rivolte ai discepoli di allora, e di tutti i tempi, e dell’eternità Allora con esse il Signore apre una prospettiva immane, unitaria nell’intenzione e negli effetti.
Tutti siamo chiamati «oggi qui per noi», ad «andare e a vedere» nella fede e nella sequela di carità verso Lui, fino alla Mensa domenicale, dove mangiando il Pane della Parola divina e partecipando ai Divini Misteri si diventa la Chiesa Sposa e Madre, la comunione del corpo nuziale del Signore: e allora «gustiamo e vediamo che soave è il Signore» (Sal 33,9).
Ma infine, dove porta il «venite e vedete»? Il Signore che allora chiamò «ad andare e a vedere» i primi suoi discepoli e che ancora chiama «ad andare e a vedere» i suoi discepoli di tutti i tempi, dove stà “adesso”, dopo che è Risorto per la Potenza dello Spirito Santo, e nella medesima Potenza è assunto nella gloria del Padre?
Chiama tutti per l’ultima convocazione «ad andare e a vedere» in eterno: ossia fa in modo che «diventati simili a Lui, Lo vedremo come è» (1 Gv 3,2).
v. 40 «uno dei due...»: finalmente Giovanni fa conoscere i nomi dei due primi discepoli così stranamente chiamati: Andrea fratello di Simone Pietro e un altro. Questi sono i primi due discepoli, che:
1. “ascoltarono- obbedirono Giovanni [il Precursore e Profeta e Battista]
2. e Lo seguirono.
v. 41 - «incontrò per primo»: il vocabolo gr. heurískei non significa incontrare per caso, ma trovare ciò che si cerca; indica perciò un incontro intenzionale (cfr. Mt 7,7; Mc 14,55; Lc 6,7; 11,24; Gv 7,34.36; At 13,6, 28; 27,6; Rm 7,21; 2 Cor 12,20; Ap 20,15).
Presi per intero dal Signore, Andrea a sua volta và e con gesto di carità fraterna “cerca” anzitutto il proprio fratello, Simone, e gli comunica la grande notizia: “Noi trovammo il Messia”. Qui questo termine ebraico antico che è tradotto da Giovanni in greco, ed esplicitato: “il Cristo”, “l’Unto di Dio” tanto atteso.
«Simone»: in ebraico Šim’on significa “docile all’ascolto”. Andrea infatti lo conduce a Gesù, e Simone “il docile” si lascia condurre. Dallo Spirito Santo dopo la Pentecoste si lascerà condurre a proclamare alle folle in attesa Cristo Signore Risorto (At 2,1-4, e 13-36), e a battezzarle (At 2,38). Anche da anziano si lascerà condurre alla morte per glorificare Dio, secondo la tremenda profezia del Signore Risorto (Gv 21,18-19).
Gesù riceve dunque anche Simone, il terzo discepolo. Era passato, adesso lo guarda e lo chiama.
In aramaico galilaico, la lingua usuale che Gesù parla: «Tu [sei] Simone, figlio di Iona, tu ti chiamerai Kepa». E segue l’interpretazione: Ke’pà’ (Kefa) significa infatti Roccia, Pietra, Pietro. Il rimando esegetico certo è a Mt 16,18, quando il Signore con Pétros, “la Pietra”, insomma con Pietro edificherà la “sua Chiesa”. Ma qui deve impressionare il fatto evidente: la mutazione del nome di una persona, e l’imposizione di un altro nome.
Pietro è accettato da Gesù perché ormai, per elezione divina imperscrutabile, ormai lo ha fatto definitivamente “suo” e quindi sulla persona di Pietro, in tutto quello che Pietro è e che sarà, Gesù vanta il diritto totale come Signore e Creatore, che crea un uomo nuovo, per plasmarlo piano piano per il suo Disegno.
Simone, “il docile”, accetta di essere la “Pietra” contro cui si scateneranno fino alla fine le terrificanti forze dell’inferno. Pietro ancora non sa tutto questo. Ma anche quando con la sua morte glorificò Dio (Gv 21,19), quelle forze non prevalsero.
Vediamo anche gli altri testi eucologici:
Colletta
Dio onnipotente ed eterno,
che governi il cielo e la terra,
ascolta con bontà le preghiere del tuo popolo
e dona ai nostri giorni la tua pace.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...
Oppure:
O Dio, che riveli i segni della tua presenza nella Chiesa,
nella liturgia e nei fratelli,
fa’ che non lasciamo cadere a vuoto nessuna tua parola,
per riconoscere il tuo progetto di salvezza
e divenire apostoli e profeti del tuo regno.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...
Mentre la I colletta è generica e quindi “usabile” in ogni occasione la II richiama quell’ascolto della Parola che è lo stare, il rimanere nel Signore fondamento di ogni sequela e conoscenza.
Antifona alla Comunione Sal 22,5
Dinnanzi a me hai preparato una mensa
e il mio calice trabocca.
Prima della comunione i fedeli in processione cantano (per intero!) il salmo 22(23) sul Pastore divino e fedele che prepara il Cibo per i suoi, che dona la conoscenza della divina Carità e la fede in essa, e così guida l’intera esistenza dei fedeli. Tali Doni si ricevono dunque anzitutto e soprattutto con l’Evangelo di oggi, che si realizza nei Misteri dell’altare, ai quali il gregge del Pastore, che è anche il suo corpo nuziale, la Chiesa, partecipa per giungere alle divine Realtà offerte dalla Rivelazione di misericordia.
Abbazia Santa Maria di Pulsano
Fonte:http://www.catechistaduepuntozero.it/
II Domenica del Tempo per l’Anno B
Gv 1,35-42; 1 Sam 3,3b-10.19; Sal 39; 1 Cor 6,13c-15a.17-20
Dopo la festa del Battesimo di Gesù si entra nel tempo liturgico ordinario, ma come altre volte
avevamo sottolineato che tempo ordinario non significa un tempo minore o secondario è altrettanto vero che le letture di oggi ci sono consegnate per ricordarci che nessun momento della nostra vita, della vita del mondo, deve essere ritenuto banale, privo di senso e di valore.
Dio che chiama non ha bisogno di spazi particolari per farsi sentire; continuamente nell’ordinarietà della nostra vita ci invita a seguirlo. Tutti i fedeli sono chiamati «oggi qui» dal Signore, ad «andare e a vedere» nelle fede e nella sequela di carità verso Lui, fino all’Eucarestia domenicale, dove mangiando il Pane della Parola divina e partecipando ai Divini Misteri si diventa la Chiesa Sposa e Madre.
Antifona d’Ingresso Sal 65,4
Tutta la terra ti adori, o Dio, e inneggi a te:
inneggi al tuo nome, o Altissimo.
Il salmista canta al Signore la gioia riconoscente per i prodigi che ha operato ed invita tutta la terra, cioè tutti i suoi abitanti ad adorare il Signore prostrandosi ad adorarlo. Tutti gli abitanti della terra sono poi invitati ad unirsi all’assemblea del popolo di Dio, Israele, a cantare inni, i salmi, canto tipico dei fedeli del Signore, acclamando il suo Nome divino indicibile. Si noti l’insistenza sul canto dei Salmi, presi come modello della fede che deve espandersi tra le nazioni pagane e così spesso trascurati nelle nostre assemblee non solo nei canti ma anche nella preghiera.
Canto all’Evangelo Gv 1,41.17b
Alleluia, alleluia.
«Abbiamo trovato il Messia»:
la grazia e la verità vennero per mezzo di lui.
Alleluia.
È l’annuncio che Andrea fa al fratello Simone per informarlo di aver trovato il Messia atteso. Lo stesso annuncio risuona ancora oggi per noi e per tutti i fedeli poiché dal Signore si riceve tutto: il dono dello Spirito Santo, primo dono, poi la Grazia e la Verità
Oggi è la terza manifestazione di Gesù dopo l’Epifania e il Battesimo: Gesù è il Messia che adempie il piano della salvezza e chiama per la sequela del Regno.
Le narrazioni di «vocazioni» sono senza dubbio da annoverare fra le pagine più toccanti e dense della Bibbia. Esse sono numerose nella Scrittura e tutte molto suggestive; si pensi ad es. alla essenzialità del racconto della chiamata di Abramo (Gen 12), al tono maestoso dei racconti della vocazione di Mose (Es 3) e di Isaia (Is 6), al tocco palpitante di quello della vocazione di Geremia (Ger 1), ecc..
La prima lettura di oggi è costituita esattamente da una narrazione di vocazione profetica, ma questa volta di tono molto intimo e tranquillo: quella di Samuele, personaggio di solito poco ricordato ma che ebbe grande rilevanza nella storia d’Israele: fra l’altro guidò il passaggio dall’organizzazione tribale a quella monarchica. Nella semplicità dello schema narrativo, con la triplice esatta ripetizione della chiamata e della risposta, il racconto tende a sottolineare la completa disponibilità di Samuele alla vocazione divina e alla sua fedele obbedienza nell’attività successiva.
Il brano del quarto evangelo che narra la vocazione dei primi discepoli di Gesù è riportato anche dai tre sinottici. Il racconto di Giovanni diverge profondamente dall’analoga narrazione dei sinottici; l’unica espressione giovannea che ha riscontro nel testo sinottico, è quella riguardante Andrea, fratello di Simone (cf. Gv 1,40; Mc 1,16; Mt 4,18) e la vocazione degli stessi. Dalla scarsa corrispondenza delle narrazioni sembra che Giovanni racconti dei fatti ignoti ai sinottici, in una prospettiva teologica propria. Non deve apparire strana questa Domenica II del Ciclo B, che inserisce una pericope di Giovanni.
L’intera officiatura si coglie bene dal Versetto del Salmo responsorio: il Signore battezzato dal Padre con lo Spirito Santo entra nel suo ministero messianico «per fare la Volontà» paterna.
Nel salmo l’Orante comprende che nel Libro sacro era segnata la sua sorte (v. 8), e si offrì al Signore, alla sua Volontà, scoprendo che la Legge santa permea per intero il suo cuore, la sua esistenza (v. 9).
Tutto questo adesso risuona come celebrazione del Signore, fatto conoscere per i suoi benefici a tutta la comunità.
Al versetto responsorio, vv. 8a e 9a, che fa cantare la volontà dell’Orante («il vocato») di presentarsi al Signore per fare la sua Volontà, va fatta una nota necessaria. Infatti i vv. 7-9 del Salmo sono citati, per applicarli a Cristo come offerta al Padre, anche da Ebr 10,5-7, ma preso solo dal testo greco dei LXX, risalente al 3° secolo a. C., che è il testo originale ispirato per il N. T. e per la Chiesa dei Padri. Dove però il v. 7 del Salmo dice che il Signore all’Orante «preparò il corpo», affinché diventasse l’offerta sacrificale, mentre il testo ebraico, stranamente penetrato nel Salterio della Vulgata, che è pregeronimiano, conosce la lezione dell’ebraico, secondo cui che il Signore gli «aprì l’orecchio» all’ascolto (è un’immagine profetica, vedi sul Servo del Signore, Is 50,4). Così del medesimo versetto si hanno due versioni del tutto differenti e incoerenti; le versioni ufficiali spesso riportano gravi imperizie, come il presente assurdo. Qui il Salterio, per ovviare, dovrebbe essere adeguato ovviamente all’epistola agli Ebrei.
Esaminiamo il brano
v. 35 «Il giorno dopo»: La seconda testimonianza del Battista a Gesù, proclamato agnello di Dio, avviene il terzo giorno dalla confessione pubblica del precursore di non essere il Messia.
Il primo giorno infatti abbiamo la testimonianza negativa di Giovanni, dinanzi alla delegazione gerosolimitana (Gv 1,19-28) e nel secondo giorno avviene la prima testimonianza positiva a Gesù (1,29-34) dove Lo aveva indicato sotto due aspetti conseguenti: «Ecco l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo», ossia il Servo sofferente, Colui sul quale lo Spirito inviato da Dio dimora (vv. 32 e 33), poiché sul Servo il Signore pose il suo Spirito (Is 42,1);.
«due dei suoi discepoli»: l’autore ci informa in maniera esplicita che il Battista aveva dei discepoli.
v. 36 - «fissando lo sguardo»: il verbo gr. emblépsas oltre al semplice guardare con attenzione, fissare, indica l’atto di guardare dentro, quasi penetrando nell’intimo dell’animo dell’osservato.
Il Battista fissa Gesù come come farà questi con Simone e con il ricco, da lui amato (Mc 10,21).
Giovanni contempla «Gesù che passa» che non è un passare qualunque, di un Gesù frettoloso che corre chissà dove. Giovanni è Profeta e scruta le Realtà divine, e “sa” perché Gesù “passa”: perché è Colui che viene, che cerca i suoi discepoli. Nei 4 Evangeli infatti, in unanimità da notare, quando il Signore chiama gli uomini al suo seguito per il necessaria discepolato, si hanno sempre e solo 3 verbi: «passa - guarda - chiama». Si vedano le prime vocazioni, di Pietro e di Andrea, e di Giacomo e Giovanni in Mt 4,18-22; il parallelo secondario in Mc 1,16-20; quella di Levi - Matteo in Lc 5,27-28. Colui che viene passa, guarda e chiama un’unica volta. Lo avevano compreso i Padri, che contemplavano questo tratto con terrore: «Io ho paura di Gesù che passa e non ritorna» (S. Agostino).
«Ecco l’agnello di Dio»: la ripetizione della solenne proclamazione da parte del Battista non ha solo la funzione di sottolineare l’importanza di questo titolo messianico (il sistema sacrificale era talmente familiare agli ebrei che le parole del Battista non necessitavano di nessuna spiegazione), ma di preparare e favorire la vocazione dei suoi due discepoli.
Giovanni ai due discepoli ancora anonimi “indica” Gesù come il Servo sofferente, con la «formula di rivelazione» o «formula del prodigio divino»: «Ecco l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo» (Gv 1,36b). Parla così come al «2° giorno», e rimanda così in modo esplicito ancora una volta al Servo sofferente di Is 53,7-8.
v. 37 - «udirono»: anche qui il vocabolo gr. ḗkousan indica non soltanto la percezione del suono materiale delle parole, ma la comprensione del significato, come dimostrerà il loro contesto immediato. L’Evangelista annota in modo lapidario: «E ascoltarono lui che parlava, i due discepoli, e seguirono Gesù».
Due verbi fondanti: «ascoltare” e “seguire”.
L’ascoltare biblico significa “obbedire”. Giovanni maestro ha persuaso i suoi discepoli, e questi obbediscono alla sua volontà di affidarli all’Agnello di Dio: Inoltre, «seguirono Gesù» indica la sequela ultima, quella definitiva, dei discepoli nuovi, seguire ormai per sempre un altro Maestro, quello divino.
I due Lo seguono anche materialmente, in modo discreto e timido, il Signore «si volta» ad essi e chiede: «Che cercate?»
v. 38 - «voltatosi»: Gesù si volta indietro quasi a vedere se le parole del Battista hanno avuto qualche effetto. La scena è trattata con una vivacità e un verismo tali, che suppone una testimonianza oculare.
«e visto»: nella folla che non ha una particolare direzione nei suoi movimenti, quei due sono chiaramente individuabili, poiché si dirigono verso di lui, che si ferma ad attenderli.
«cosa cercate»: lett zēteîte può indicare cercare e volere, è un aramaismo che possiamo tradurre meglio con bramare, desiderare.
La prima parola che Gesù pronuncia nell’evangelo di Giovanni è una domanda che pone a bruciapelo ai due che lo stanno seguendo: che cosa cercate. È questa una domanda importante che tende a scavare per mettere in luce le intenzioni più intime; l’evangelista la sceglie con cura e la riproporrà ancora due volte nel corso del suo racconto:
1. all’inizio della sua passione, Gesù chiede per due volte a coloro che sono venuti ad arrestarlo nel giardino: «Chi cercate» (18,4.7);
2. la stessa domanda ripete il Risorto al mattino di Pasqua, quando vuole scuotere la Maddalena piangente: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?» (20,15).
La richiesta non è banale; anzi nel modo di procedere dell’evangelista Giovanni è molto seria. È la domanda che va al cuore dell’intenzione e mira a svelare la reale disponibilità della persona: si può infatti cercare Gesù per accoglierlo come il Messia ma anche per arrestarlo come un delinquente; lo si può cercare come un morto da compiangere o come il Vivente da cui essere salvati.
Nell’A. T. «cercare Dio» è il massimo tema spirituale. La soluzione teologica è paradossale. Occorre comunque «cercare Dio», pur sapendo che è impossibile “trovarlo”. Poiché, come, dove, quando, perché “trovarlo” se è il Trascendente? è il dramma della Sposa, che esclama con tristezza dell’amore: «Lo cercai, ma non Lo trovai» (Ct 5,6). Ma allora la “ricerca” consiste precisamente in quello che avviene alla Sposa: lasciarsi trovare da Lui.
«Rabbì»: I due discepoli da buoni Ebrei sanno tutto questo, e in un certo senso aggirano l’ostacolo. Non dicono: Ti cercammo, eccoci, Ti trovammo finalmente. Invece dicono: «Rabbí, Maestro, dove dimori?»
(Gv 1,38b). Rabbî, plurale Rabban, alla lettera significa «grande (rab) mio», termine che si usa per persone venerate, anzitutto i maestri della santa Legge, i rabbini. Ma si usa anche per il Signore, e proprio in Giovanni la Maddalena che riconosce il Risorto Lo interpella con un’acclamazione d’amore:
“Rabbouni!”, che significa «Signore mio!» (Gv 20,16), proprio come Tommaso acclamerà con tensione grande: «Signore mio e Dio mio!» (Gv 20,28).
«dove abiti?»: anche la risposta dei discepoli non è una banale richiesta dell’indirizzo; ma piuttosto «qualè la tua posizione e la tua consistenza?». Il verbo greco méneis (=rimanere) utilizzato è molto importante nel linguaggio teologico di Giovanni. Potremmo tradurre letteralmente: «Dove rimani?»; la risposta Gesù la darà in seguito (leggi ad es. il discorso sulla vera vite; in Gv 15,4: «rimanete in me e io i voi») quando i discepoli fatta l’esperienza di stare con lui lo accoglieranno nella loro vita, nel loro cuore.
v. 39 - «venite e vedete»: imp. presente positivo; l’invito di Gesù interpreta il desiderio dei due.
«rimasero con lui»: Questo contatto personale con Gesù è di grande importanza nella vita dei discepoli perchè è da ciò che nasce la fede nel Messia.
«l’ora decima»: nei LXX le 4 pomeridiane, questa precisazione cronologica è un probabile indizio che l’evangelista fu testimone degli eventi ma può avere anche un significato simbolico. Il 4° evangelista spesso si diletta di precisare il tempo degli avvenimenti importanti ai quali probabilmente prese parte:
ora sesta la samaritana al pozzo (4,6);
ora settima la febbre lascia il figlio del funzionario regio (4,52);
ecc..
Circa le 4 del pomeriggio sono ora e giorno fortunati e felici. Di certo i due ascoltarono il Signore, e anche, secondo le leggi ineludibili dell’ospitalità orientale antica, mangiarono con Lui e il giorno è venerdì, come sembra probabile, i due rimasero da Gesù anche il sabato: si suppone che la conversazione sia stata abbastanza lunga da far arrivare il crepuscolo, quando cominciava il sabato e quindi i due non potevano probabilmente tornare a casa, distante più del cammino permesso in sabato.
Le parole del Signore, è più che evidente, sono rivolte ai discepoli di allora, e di tutti i tempi, e dell’eternità Allora con esse il Signore apre una prospettiva immane, unitaria nell’intenzione e negli effetti.
Tutti siamo chiamati «oggi qui per noi», ad «andare e a vedere» nella fede e nella sequela di carità verso Lui, fino alla Mensa domenicale, dove mangiando il Pane della Parola divina e partecipando ai Divini Misteri si diventa la Chiesa Sposa e Madre, la comunione del corpo nuziale del Signore: e allora «gustiamo e vediamo che soave è il Signore» (Sal 33,9).
Ma infine, dove porta il «venite e vedete»? Il Signore che allora chiamò «ad andare e a vedere» i primi suoi discepoli e che ancora chiama «ad andare e a vedere» i suoi discepoli di tutti i tempi, dove stà “adesso”, dopo che è Risorto per la Potenza dello Spirito Santo, e nella medesima Potenza è assunto nella gloria del Padre?
Chiama tutti per l’ultima convocazione «ad andare e a vedere» in eterno: ossia fa in modo che «diventati simili a Lui, Lo vedremo come è» (1 Gv 3,2).
v. 40 «uno dei due...»: finalmente Giovanni fa conoscere i nomi dei due primi discepoli così stranamente chiamati: Andrea fratello di Simone Pietro e un altro. Questi sono i primi due discepoli, che:
1. “ascoltarono- obbedirono Giovanni [il Precursore e Profeta e Battista]
2. e Lo seguirono.
v. 41 - «incontrò per primo»: il vocabolo gr. heurískei non significa incontrare per caso, ma trovare ciò che si cerca; indica perciò un incontro intenzionale (cfr. Mt 7,7; Mc 14,55; Lc 6,7; 11,24; Gv 7,34.36; At 13,6, 28; 27,6; Rm 7,21; 2 Cor 12,20; Ap 20,15).
Presi per intero dal Signore, Andrea a sua volta và e con gesto di carità fraterna “cerca” anzitutto il proprio fratello, Simone, e gli comunica la grande notizia: “Noi trovammo il Messia”. Qui questo termine ebraico antico che è tradotto da Giovanni in greco, ed esplicitato: “il Cristo”, “l’Unto di Dio” tanto atteso.
«Simone»: in ebraico Šim’on significa “docile all’ascolto”. Andrea infatti lo conduce a Gesù, e Simone “il docile” si lascia condurre. Dallo Spirito Santo dopo la Pentecoste si lascerà condurre a proclamare alle folle in attesa Cristo Signore Risorto (At 2,1-4, e 13-36), e a battezzarle (At 2,38). Anche da anziano si lascerà condurre alla morte per glorificare Dio, secondo la tremenda profezia del Signore Risorto (Gv 21,18-19).
Gesù riceve dunque anche Simone, il terzo discepolo. Era passato, adesso lo guarda e lo chiama.
In aramaico galilaico, la lingua usuale che Gesù parla: «Tu [sei] Simone, figlio di Iona, tu ti chiamerai Kepa». E segue l’interpretazione: Ke’pà’ (Kefa) significa infatti Roccia, Pietra, Pietro. Il rimando esegetico certo è a Mt 16,18, quando il Signore con Pétros, “la Pietra”, insomma con Pietro edificherà la “sua Chiesa”. Ma qui deve impressionare il fatto evidente: la mutazione del nome di una persona, e l’imposizione di un altro nome.
Pietro è accettato da Gesù perché ormai, per elezione divina imperscrutabile, ormai lo ha fatto definitivamente “suo” e quindi sulla persona di Pietro, in tutto quello che Pietro è e che sarà, Gesù vanta il diritto totale come Signore e Creatore, che crea un uomo nuovo, per plasmarlo piano piano per il suo Disegno.
Simone, “il docile”, accetta di essere la “Pietra” contro cui si scateneranno fino alla fine le terrificanti forze dell’inferno. Pietro ancora non sa tutto questo. Ma anche quando con la sua morte glorificò Dio (Gv 21,19), quelle forze non prevalsero.
Vediamo anche gli altri testi eucologici:
Colletta
Dio onnipotente ed eterno,
che governi il cielo e la terra,
ascolta con bontà le preghiere del tuo popolo
e dona ai nostri giorni la tua pace.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...
Oppure:
O Dio, che riveli i segni della tua presenza nella Chiesa,
nella liturgia e nei fratelli,
fa’ che non lasciamo cadere a vuoto nessuna tua parola,
per riconoscere il tuo progetto di salvezza
e divenire apostoli e profeti del tuo regno.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...
Mentre la I colletta è generica e quindi “usabile” in ogni occasione la II richiama quell’ascolto della Parola che è lo stare, il rimanere nel Signore fondamento di ogni sequela e conoscenza.
Antifona alla Comunione Sal 22,5
Dinnanzi a me hai preparato una mensa
e il mio calice trabocca.
Prima della comunione i fedeli in processione cantano (per intero!) il salmo 22(23) sul Pastore divino e fedele che prepara il Cibo per i suoi, che dona la conoscenza della divina Carità e la fede in essa, e così guida l’intera esistenza dei fedeli. Tali Doni si ricevono dunque anzitutto e soprattutto con l’Evangelo di oggi, che si realizza nei Misteri dell’altare, ai quali il gregge del Pastore, che è anche il suo corpo nuziale, la Chiesa, partecipa per giungere alle divine Realtà offerte dalla Rivelazione di misericordia.
Abbazia Santa Maria di Pulsano
Fonte:http://www.catechistaduepuntozero.it/
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