don Maurizio Prandi, "La relazione con Dio"
La relazione con Dio
don Maurizio Prandi
IV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)
Visualizza Mc 1,21-28
La prima lettura di questa domenica, pur nel segno della continuità con le domeniche passate, (nelle quali il tema della Vocazione raccoglieva il senso di tutto l'ascolto) introduce un nuovo spunto di
riflessione che la seconda lettura e il vangelo anche sviluppano: ciò che davvero conta nella nostra vita di credenti è la relazione con Dio. Il compito del profeta, (prima lettura), è annunciare non una propria parola, ma la parola di Dio e questo è possibile solamente nell'ambito di una relazione. L'invito della seconda lettura è a preoccuparsi delle cose del Signore, sia nel matrimonio sia nella scelta della verginità. Il vangelo ci dice che è sempre possibile "raccontarsela", ovvero avere una vita divisa tra il desiderio di incontrare Dio e il chiudersi nelle proprie cose, nel non voler cambiare mai.
Il contesto della prima lettura non è poi così distante dalla realtà di oggi: quello che abbiamo ascoltato è il cuore di passaggio più ampio dedicato alla contrapposizione tra gli indovini che le persone (stranieri) consultano e i profeti, inviati invece da Dio (al popolo d'Israele). Dio chiede di scegliere, non c'è alternativa tra lui e gli indovini, non c'è nemmeno possibilità di convivenza: soltanto la Parola di Dio accompagna, non divide, illumina il cammino. Quante sono le voci che risuonano oggi, a quante voci diamo credito o danno credito le persone più semplici, sprovvedute; il cristiano, in forza del battesimo ricevuto, è anche profeta, persona che ascolta la voce di Dio e fattosi compagno di strada dei suoi fratelli li aiuta a scrollarsi di dosso e a far cadere tutto quello che da Dio non viene ma è solo superstizione. Dio ci aiuta in questo scrivendo, insieme all'uomo, la storia della salvezza. Credo sia molto importante, in questo senso, il versetto 16 e 17 della prima lettura (Avrai così quanto hai chiesto al Signore, tuo Dio, sull'Oreb, il giorno dell'assemblea, dicendo: "Che io non oda più la voce del Signore, mio Dio, e non veda più questo grande fuoco, perché non muoia. Il Signore mi rispose: ") che si riferiscono ad un episodio in cui il popolo si era molto spaventato e benché udisse la voce dall'involucro del fuoco, ebbe paura di morire. Al Signore è piaciuto quello che il popolo ha chiesto. Mi pare molto bello tutto questo: Dio non vuole comunicare con noi attraverso segni della natura, che incutano spavento, ma mediante uomini suscitati di mezzo ai loro fratelli. Attraverso loro il Signore li vuole abituare alla sua presenza in modo che ascoltandolo nella voce umana dei profeti, lo accolgano nella sua stessa voce di Dio divenuto uomo. La storia della salvezza è davvero la storia di Dio con l'uomo!
Per quello che riguarda la seconda lettura, non credo che Paolo voglia dire che ci sono vocazioni più importanti di altre, perché sarebbe in contraddizione con quanto è scritto nel libro della Genesi (lasceranno il padre e la madre e saranno una sola carne). Credo sia necessario soffermarsi sul desiderio di Paolo: voglio che siate senza preoccupazioni, ovvero la necessità di non pre-occupare, cioè occupare prima la mente e il cuore, e su quel come possa piacere che in greco non significa un generico gradimento all'altro, ma implica una totale donazione di sé all'amato. In questo senso allora credo che qua ci sia un richiamo, per tutti, consacrati e sposati, alla responsabilità di questa donazione totale di sé e se alla condizione verginale l'apostolo assegna un ruolo di testimonianza altissimo, vuol dire che altissima diventa anche la responsabilità.
Faccio alcune sottolineature per quello che riguarda il brano di vangelo (ispirato in parte da una omelia di mons. Paglia dell'anno 2006).
Andarono a Cafarnao e, entrato proprio di sabato nella sinagoga, Gesù, insegnava. Marco scrive che Gesù entrato in città "subito" si reca nella sinagoga a predicare. Peccato che la traduzione proposta dal nuovo lezionario perde per strada questo "subito". Potremmo dire che si mette immediatamente all'opera, senza esitazioni e con il preciso intento di insegnare alla città la sapienza di Dio. Del resto, per questo era venuto. Il Vangelo è lievito di una vita nuova per tutti, non è riservato solo ad alcuni e neppure deve restare ai margini della vita. Le città degli uomini ne hanno bisogno. Qui credo importante sottolineare che il verbo è all'imperfetto: "insegnava" ci dice che è un'operazione mai conclusa, che Gesù instancabilmente insegnava e ancora continua a farlo.
Ed erano stupiti del suo insegnamento, perché insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi. Cafarnao era piena di scribi, di dottori, di teologi, ma nessuno parlava con quella autorità con cui parlava Gesù, ossia con parole che suonavano decisive per la vita delle persone, e che richiedevano scelte impegnative. Non si poteva restare indifferenti al suo insegnamento: gli ascoltatori era come costretti ad una scelta. I numerosi scribi, che pure non mancavano di parole, ma alla fine non lasciavano nessun segno, non entravano nel cuore, non illuminavano nessun cammino: perché? Perché il loro sapere era soltanto un sapere libresco. L'autorità (meglio sarebbe tradurre con autorevolezza) non è frutto di un corso di studi, ma di una vita che fa scelte ben precise e quelle fatte da Gesù fino ad ora nel vangelo di Marco evidentemente persuadono la gente.
Allora un uomo che era nella sinagoga, posseduto da uno spirito immondo, si mise a gridare: «Che c'entri con noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci! Io so chi tu sei: il santo di Dio». Mi piace qui soffermarmi su questo termine: spirito immondo. Era un uomo malato, un uomo diviso, un uomo forse più vicino a me di quanto io sia disposto ad immaginare, perché conosce Gesù e allo stesso tempo lo tiene a distanza, si domanda cosa c'entri la vita di Gesù con la sua, non vuole avere niente a che fare con lui. Credo davvero che ci sono momenti nella vita nei quali non abbiamo niente a che fare con lui. Momenti nei quali siamo distanti da lui e dal vangelo. Questo accade, scrive mons. Paglia, ogni volta che si impedisce al Vangelo di cambiare il cuore o comunque di dire parole autorevoli sui comportamenti. La divisione emerge quando Gesù parla: ha questo potere la Parola di Dio, quella degli scribi non aveva questa forza.
E Gesù lo sgridò: «Taci! Esci da quell'uomo». E lo spirito immondo, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. Il versetto ci dice qualcosa circa la dolorosa fatica del cambiamento. Non è a buon prezzo, provoca dolore e sofferenza. Forse è per questo che sono così chiuso alla Parola di Dio e faccio tanta resistenza, perché non è una Parola facile, tranquilla, superficiale; al contrario penetra ed inizia un processo di verità che, ripeto, è doloroso. Chiediamo questo dono allora, per noi e per le nostre comunità: il dono di un cuore indiviso che si specchi nel cuore del Signore Gesù e sia seme di unione in ogni comunità parrocchiale.
Fonte:www.qumran2.net
don Maurizio Prandi
IV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)
Visualizza Mc 1,21-28
La prima lettura di questa domenica, pur nel segno della continuità con le domeniche passate, (nelle quali il tema della Vocazione raccoglieva il senso di tutto l'ascolto) introduce un nuovo spunto di
riflessione che la seconda lettura e il vangelo anche sviluppano: ciò che davvero conta nella nostra vita di credenti è la relazione con Dio. Il compito del profeta, (prima lettura), è annunciare non una propria parola, ma la parola di Dio e questo è possibile solamente nell'ambito di una relazione. L'invito della seconda lettura è a preoccuparsi delle cose del Signore, sia nel matrimonio sia nella scelta della verginità. Il vangelo ci dice che è sempre possibile "raccontarsela", ovvero avere una vita divisa tra il desiderio di incontrare Dio e il chiudersi nelle proprie cose, nel non voler cambiare mai.
Il contesto della prima lettura non è poi così distante dalla realtà di oggi: quello che abbiamo ascoltato è il cuore di passaggio più ampio dedicato alla contrapposizione tra gli indovini che le persone (stranieri) consultano e i profeti, inviati invece da Dio (al popolo d'Israele). Dio chiede di scegliere, non c'è alternativa tra lui e gli indovini, non c'è nemmeno possibilità di convivenza: soltanto la Parola di Dio accompagna, non divide, illumina il cammino. Quante sono le voci che risuonano oggi, a quante voci diamo credito o danno credito le persone più semplici, sprovvedute; il cristiano, in forza del battesimo ricevuto, è anche profeta, persona che ascolta la voce di Dio e fattosi compagno di strada dei suoi fratelli li aiuta a scrollarsi di dosso e a far cadere tutto quello che da Dio non viene ma è solo superstizione. Dio ci aiuta in questo scrivendo, insieme all'uomo, la storia della salvezza. Credo sia molto importante, in questo senso, il versetto 16 e 17 della prima lettura (Avrai così quanto hai chiesto al Signore, tuo Dio, sull'Oreb, il giorno dell'assemblea, dicendo: "Che io non oda più la voce del Signore, mio Dio, e non veda più questo grande fuoco, perché non muoia. Il Signore mi rispose: ") che si riferiscono ad un episodio in cui il popolo si era molto spaventato e benché udisse la voce dall'involucro del fuoco, ebbe paura di morire. Al Signore è piaciuto quello che il popolo ha chiesto. Mi pare molto bello tutto questo: Dio non vuole comunicare con noi attraverso segni della natura, che incutano spavento, ma mediante uomini suscitati di mezzo ai loro fratelli. Attraverso loro il Signore li vuole abituare alla sua presenza in modo che ascoltandolo nella voce umana dei profeti, lo accolgano nella sua stessa voce di Dio divenuto uomo. La storia della salvezza è davvero la storia di Dio con l'uomo!
Per quello che riguarda la seconda lettura, non credo che Paolo voglia dire che ci sono vocazioni più importanti di altre, perché sarebbe in contraddizione con quanto è scritto nel libro della Genesi (lasceranno il padre e la madre e saranno una sola carne). Credo sia necessario soffermarsi sul desiderio di Paolo: voglio che siate senza preoccupazioni, ovvero la necessità di non pre-occupare, cioè occupare prima la mente e il cuore, e su quel come possa piacere che in greco non significa un generico gradimento all'altro, ma implica una totale donazione di sé all'amato. In questo senso allora credo che qua ci sia un richiamo, per tutti, consacrati e sposati, alla responsabilità di questa donazione totale di sé e se alla condizione verginale l'apostolo assegna un ruolo di testimonianza altissimo, vuol dire che altissima diventa anche la responsabilità.
Faccio alcune sottolineature per quello che riguarda il brano di vangelo (ispirato in parte da una omelia di mons. Paglia dell'anno 2006).
Andarono a Cafarnao e, entrato proprio di sabato nella sinagoga, Gesù, insegnava. Marco scrive che Gesù entrato in città "subito" si reca nella sinagoga a predicare. Peccato che la traduzione proposta dal nuovo lezionario perde per strada questo "subito". Potremmo dire che si mette immediatamente all'opera, senza esitazioni e con il preciso intento di insegnare alla città la sapienza di Dio. Del resto, per questo era venuto. Il Vangelo è lievito di una vita nuova per tutti, non è riservato solo ad alcuni e neppure deve restare ai margini della vita. Le città degli uomini ne hanno bisogno. Qui credo importante sottolineare che il verbo è all'imperfetto: "insegnava" ci dice che è un'operazione mai conclusa, che Gesù instancabilmente insegnava e ancora continua a farlo.
Ed erano stupiti del suo insegnamento, perché insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi. Cafarnao era piena di scribi, di dottori, di teologi, ma nessuno parlava con quella autorità con cui parlava Gesù, ossia con parole che suonavano decisive per la vita delle persone, e che richiedevano scelte impegnative. Non si poteva restare indifferenti al suo insegnamento: gli ascoltatori era come costretti ad una scelta. I numerosi scribi, che pure non mancavano di parole, ma alla fine non lasciavano nessun segno, non entravano nel cuore, non illuminavano nessun cammino: perché? Perché il loro sapere era soltanto un sapere libresco. L'autorità (meglio sarebbe tradurre con autorevolezza) non è frutto di un corso di studi, ma di una vita che fa scelte ben precise e quelle fatte da Gesù fino ad ora nel vangelo di Marco evidentemente persuadono la gente.
Allora un uomo che era nella sinagoga, posseduto da uno spirito immondo, si mise a gridare: «Che c'entri con noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci! Io so chi tu sei: il santo di Dio». Mi piace qui soffermarmi su questo termine: spirito immondo. Era un uomo malato, un uomo diviso, un uomo forse più vicino a me di quanto io sia disposto ad immaginare, perché conosce Gesù e allo stesso tempo lo tiene a distanza, si domanda cosa c'entri la vita di Gesù con la sua, non vuole avere niente a che fare con lui. Credo davvero che ci sono momenti nella vita nei quali non abbiamo niente a che fare con lui. Momenti nei quali siamo distanti da lui e dal vangelo. Questo accade, scrive mons. Paglia, ogni volta che si impedisce al Vangelo di cambiare il cuore o comunque di dire parole autorevoli sui comportamenti. La divisione emerge quando Gesù parla: ha questo potere la Parola di Dio, quella degli scribi non aveva questa forza.
E Gesù lo sgridò: «Taci! Esci da quell'uomo». E lo spirito immondo, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. Il versetto ci dice qualcosa circa la dolorosa fatica del cambiamento. Non è a buon prezzo, provoca dolore e sofferenza. Forse è per questo che sono così chiuso alla Parola di Dio e faccio tanta resistenza, perché non è una Parola facile, tranquilla, superficiale; al contrario penetra ed inizia un processo di verità che, ripeto, è doloroso. Chiediamo questo dono allora, per noi e per le nostre comunità: il dono di un cuore indiviso che si specchi nel cuore del Signore Gesù e sia seme di unione in ogni comunità parrocchiale.
Fonte:www.qumran2.net
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