padre Gian Franco Scarpitta "I Comandamenti e il vero tempio"

I Comandamenti e il vero tempio
padre Gian Franco Scarpitta  
III Domenica di Quaresima (Anno B) (04/03/2018)

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Il vero rapporto con il Signore è all'origine di ogni comportamento ed è fondamentale per qualsiasi
percorso ci si prefigga. Il punto di partenza è infatti sempre la congeniale relazione con Dio, che si esterna conseguentemente ai nostri rapporti con il prossimo. Ed essa non può che essere sincera, disinteressata, spontanea e pur considerando il valore della misericordia con cui Dio rivela se stesso all'uomo, non può prescindere dal considerare che tuttavia Dio è pur sempre il Signore, l'uomo pur sempre peccatore. In parole povere, è vero che Dio nel suo amore ci usa estrema confidenza manifestando continuamente se stesso e rivelandosi soprattutto nel suo Figlio Verbo Incarnato che percorre per intero la nostra storia per condividere ogni nostra vicenda, tuttavia egli resta pur sempre Dio, l'ineffabile, l'Assoluto che merita il dovuto riconoscimento della sua gloria e della sua grandezza da parte nostra. Che Dio sia dalla parte dell'uomo non pregiudica il fatto che l'uomo possa smentirlo e di fatto vi è pur sempre un Comandamento da non trascurare: “Non nominare il nome di Dio invano.” Appunto di questo parla la prima Lettura, tratta dal libro dell'Esodo, che ci ragguaglia intorno ai Comandamenti comunicati da Dio sul Sinai per mezzo di Mosè. Secondo i commentatori dell'Antico Testamento, essi sono la sintesi delle 613 prescrizioni riportate nei libri della Legge ebraica: in effetti le normative da osservarsi da parte del popolo sono molto più di 10 (Vedi il Levitico e il Deuteronomio), ma l'elencazione che stiamo osservando le compendia tutte. Essi costituiscono le “parole del Signore” (Decalogo) e Gesù, senza per nulla smentirli né manimetterli, ci inviterà a considerarli nell'ottica positiva delle beatitudini, che ne sono una versione rinnovata.

Ciò che attira l'attenzione è il fatto che, ancor prima di dettare i suoi moniti dall'alto, il Signore si presenta al suo popolo come Colui che ha liberato gli Israeliti dalla schiavitù dell'Egitto che quindi si è sempre mostrato munifico nei loro confronti. Conseguentemente il Signore chiede che il popolo non si stanchi di vivere la sua relazione franca, spontanea e sincera con lui, per mezzo di concreti atti di amore nei suoi confronti e nei confronti del prossimo. Essere fedeli a Dio che da sempre accompagna il suo popolo e da sempre lo indirizza dopo averlo liberato e saper incontrare Dio nel nostro prossimo è alla radice di tutti i comandamenti, nella logica della mutua disposizione al dialogo fra Dio e l'uomo che si fonda sull'alleanza.

La proibizione del culto delle immagini sottende al pericolo dell'idolatria. Una volta entrati nella nuova terra dopo oltre 400 anni di vita in Egitto e altri 40 di peregrinazione nel deserto, gli Israeliti entreranno in contatto con popoli dalle consuetudini sconosciute, ciascuno avente la propria religione e il proprio culto totemico e idolatrico. E' possibile quindi che possano affascinarsi di codesti nuovi idoli e feticci e allora, onde ricordare che il Signore è uno solo, Dio raccomanda al suo popolo di non lasciarsi traviare dall'adorazione delle succitate immagini idolatriche. Anche in questo vi è la raccomandazione alla fedeltà all'unico Signore misconoscendo altre divinità devianti, illusorie e fasulle.

Come si diceva in apertura, il rapporto con il Signore deve restare sempre autentico, genuino e non contaminato. E non può non tradursi in concreti atti nei confronti del prossimo per i quali non uccidere, non rubare, astenersi dall'adulterio non è sufficiente. Occorre anche non desiderare e non invidiare le proprietà del prossimo, usare coerenza e non omettere in ogni relazione con gli altri la motivazione fondamentale del nostro rapporto con Dio.

Di zelo per il Signore e per la sua Legge si fa menzione anche nel brano evangelico odierno, che descrive un Gesù del tutto insolito da quello che abitualmente i suoi discepoli esperiscono. Per recuperare la dignità sacrale del tempio profanato dai rivenditori che ne fanno luogo di mercato, Gesù armato di sferza si accanisce con violenza sui banchi e sulle tavole dei rivenditori. A dire il vero, non disdegna la loro attività, legittimamente riconosciuta dalla legge vigente che permette che si distribuiscano capi di bestiame o altri oggetti da offrire a Dio durante il culto sacrificale: piccioni, tortore, vittime animali in genere. Biasima il “mercato”, cioè il traffico illecito e truffaldino che, approfittando della situazione, esercitano i rivenditori. Il mercato era non di rado occasione di truffe e di illeciti commerciali che non si addicevano ad un santuario, pertanto la “spelonca di ladri” dev'essere purificata e ridiventare casa di preghiera.

“Distruggerete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”, esclama a un certo punto Gesù quando viene interpellato. Si riferisce al tempio del suo corpo che verrà martoriato sarà deperito e seppellito per poi risorgere invitto e glorioso ma afferma anche che d'ora in poi il vero “tempio”, cioè il luogo d'incontro fra Dio e il suo popolo sarà proprio Lui, Dio fatto uomo. Nonostante la liceità di chiese e di luoghi di culto, solamente Cristo sarà la nuova dimensione dell'incontro di tutti gli uomini con Dio. E poiché Cristo è la via, la verità e la vita per mezzo del quale si vede anche il Padre, in Lui il rapporto con il Signore sarà sempre autentico e apportatore di verità e soprattutto sarà all'origine di ogni comportamento e ci spronerà al rapporto franco e sincero con gli altri, nella predetta logica dei comandamenti. Nel prossimo si vede infatti Gesù e nell'esercizio della carità operosa nei suoi confronti si rende indubbiamente culto a Dio; come pure il Signore che noi incontriamo nella preghiera e nei sacramenti non si esaurisce ai soli perimetri delle nostre chiese, ma va trovato nei fratelli che ci interpellano nella vita di tutti i giorni e venire incontro alle necessità di poveri e bisognosi è condizione per non disperdere lo stesso culto a cui abbiamo partecipato. Se Cristo è il tempio dell'alleanza definitiva fra Dio e l'uomo, il nostro prossimo è la porta d'ingresso a questo tempio perché vi possiamo rendere il culto adeguato.

Fonte:www.qumran2.net

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