Don Marco Ceccarelli, Commento IV Domenica Quaresima “B”

IV Domenica Quaresima “B” – 11 Marzo 2018 I Lettura: 2Cr 36,14-16.19-23 II Lettura: Ef 2,4-10 Vangelo: Gv 3,14-21 - Testi di riferimento: Lv 25,2-6; 26,34-35.43; Nm 21,8-9; Dt 21,23; Sap 16,5-7; Is 52,13; Ger 25,12; 29,10; Zc 12,10; Mt 5,16; Mc 12,6; Gv 3,36; 6,40; 8,28; 12,32-36.44-46; 19,37 Rm 5,8; 8,32; 2Cor 5,17.21; Gal 3,13; Fil 2,14-15; Col 1,15-16; 1Pt 2,12; 1Gv 4,9-10; 5,19 1.

Prima lettura. - L’interpretazione della storia. Nella prima lettura odierna si può notare una delle caratteristiche principali della Sacra Scrittura, ossia l’interpretazione – teologica – della storia. Interpretare la storia è sempre stato un interesse degli uomini. Se la storia ha un senso, allora sarebbe molto importante saperlo interpretare, perché la vita umana si sviluppa all’interno di una storia. Nella Scrittura troviamo una teologia della storia che ci mostra come le azioni degli israeliti, in riferimento ai comandi di Dio, abbiano delle conseguenze sulla loro storia. La disobbedienza a Dio ha prodotto per Israele il disastro della distruzione del tempio, della fine del regno e dell’esilio. Israele comincia a leggere gli eventi storici da questo punto di vista. Negli eventi, che ad altri possono sembrare semplicemente come determinati da volontà umane, gli autori biblici comprendono che Dio è presente e attivo. Dio non è assente dalla storia umana. - Il compimento dei sabati. Una di queste interpretazioni riguarda il compimento dei sabati. Il rispetto del riposo sabbatico era una delle norme fondamentali per Israele. L’israelita deve dare riposo a se stesso, agli altri e alla terra. Si può cadere nell’inganno di pensare che la libertà e l’autonomia di cui l’uomo gode sulla terra lo rendano padrone di gestire il mondo come più gli piace. Ma in realtà questo mondo in cui l’uomo vive ha delle leggi che vanno rispettate; e se ciò non avviene le conseguenze ricadranno sull’uomo stesso. E, in ultima analisi, tali leggi sono leggi divine, leggi che il Creatore ha messo nel creato. E ciò vale anche per il riposo sabbatico. Se l’uomo e la terra hanno bisogno di riposare, non si può ignorare questa legge fondamentale senza che prima o poi se ne paghino le conseguenze. La lettura fa riferimento alla norma relativa all’anno sabbatico (Lv 25,2-5). L’inosservanza di questa norma avrà delle conseguenze (Lv 26,33-35). Dunque la prima lettura ci dice, alla luce di questa interpretazione della storia, che l’esilio è la diretta conseguenza del mancato rispetto della legge sul sabato, e allo stesso tempo una specie di rimedio salvifico per tale male. 2. Il Vangelo. - L’innalzamento del figlio dell’uomo (vv. 14-15). • Il discorso di Gesù relativo al serpente innalzato nel deserto rimanda all’episodio in cui Mosè fabbricò un serpente di bronzo e lo pose sopra un’asta, affinché coloro che venivano morsi da un serpente velenoso, e quindi erano condannati a morire, guardando a quel serpente di bonzo, rimanessero in vita (Nm 21,8-9). La cosa era alquanto bizzarra, non solo perché richiedeva un atteggiamento che noi definiremmo quasi magico, ma soprattutto perché si trattava di cercare la salvezza rivolgendosi ad un oggetto che non presentava nulla di salvifico. Il serpente, oltre che essere un animale pericoloso e mortale, era stato da Dio maledetto (Gen 3,14) per avere indotto al peccato i progenitori. Eppure il Signore nel deserto chiede agli israeliti qualcosa che può sembrare come un atto di fede nei confronti di un simbolo di maledizione. E quelli che facevano questo atto di fede – che in realtà era piuttosto nei confronti della parola di Dio trasmessa da Mosè – avevano salva la vita. • Gesù si paragona a questo serpente. Anche lui diventerà oggetto di maledizione perché, come ricorderà san Paolo: «Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge diventando lui stesso maledizione, come sta scritto: “Maledetto chiunque pende dal legno”» (Gal 3,13). Gesù è stato appeso al legno, è stato innalzato su di esso come un oggetto di maledizione. Certamente, anche senza scomodare la citazione di Dt 21,23, non c’era niente di peggio che pendere dal patibolo della croce. La croce era il segno di maledizione per eccellenza. Eppure Dio ha voluto che gli uomini ottenessero la vita avendo fede in questo oggetto di maledizione. Cristo si è fatto peccato per noi perché diventassimo giustizia di Dio (2Cor 5,21). • L’innalzamento del figlio dell’uomo segna la fine del primato del demonio sul mondo. In Gv 12,31-32 Gesù afferma che il suo innalzamento, vale a dire la sua morte in croce, come spiega l’evangelista (Gv 12,33), implica la cacciata del principe di questo mondo. Il principe di questo mondo è colui che si vuole innalzare sopra ogni cosa, compreso Dio. C’è un anticristo che si innalza sopra ogni cosa e addita se stesso come dio (2Ts 2,4). Cristo è venuto ad annientare questa regalità. La croce di Cristo annienta il potere di satana sugli uomini, lo fa precipitare dall’alto (Lc 10,18). Con l’innalzamento di Gesù sulla croce si instaura la regalità di Cristo sul mondo, inizia il regno di Dio. Se il mondo giace sotto il potere del maligno (1Gv 5,19), da questo momento viene gettato fuori. Gesù dice: «Quando innalzerete il figlio dell’uomo allora saprete che io sono» (Gv 8,28). “Io sono” è il nome di Dio. Grazie all’innalzamento di Cristo possiamo riconoscere il vero Dio e non dare più culto al demonio. Tutti gli uomini sono attirati a Gesù; lui è il Dio in mezzo a noi. • “Deve essere innalzato”. L’innalzamento del figlio dell’uomo è un fatto necessario. La morte in croce di Gesù non costituisce semplicemente il tragico epilogo della vita di un profeta coraggioso che è stato disposto ad essere immolato pur di dare testimonianza alla verità. La morte di Cristo, l’immolazione dell’agnello pasquale sul legno della croce, è necessaria per liberare l’uomo dalla condanna a morte, come lo fu l’agnello immolato nella notte della liberazione in Egitto. • Lo sguardo a Gesù. Lo sguardo al serpente innalzato nel deserto corrisponde alla fede nel figlio dell’uomo innalzato. Teniamo presente che le persone crocifisse venivano esposte al pubblico proprio perché la gente le guardasse. La crocifissione era una pena terribile che doveva servire non solo a far soffrire i condannati, ma anche ad incutere terrore nella gente che li vedeva. Allora tali condannati dovevano essere guardati. Ma certamente non lo erano con un atteggiamento di fede. Gesù invece afferma che, quando lui sarà innalzato, se lo si guarderà con fede si avrà la vita. Guardare a Gesù come al serpente innalzato significa credere che la salvezza ci viene da quella morte in croce che apparentemente sembra invece una maledizione. Dopo la morte di Gesù l’evangelista cita Zc 12,10 che dice: «Guarderanno a colui che hanno trafitto» (Gv 19,37). Guardare al trafitto, a colui che è morto sulla croce come l’ultimo dei peccatori, significa credere che il morso velenoso del serpente che ci ha iniettato la morte attraverso il peccato (cfr. 1Cor 15,56) viene annullato dalla morte di Gesù sulla croce. La morte che è entrata nel mondo, attraverso il peccato primordiale causato dal serpente, può essere annullata grazie alla fede in Cristo. Guardare al trafitto significa riconoscere che in lui si manifesta l’amore di Dio. Il veleno del serpente è stato quello di far dubitare gli uomini dell’amore di Dio; la salvezza della croce di Cristo è quella di mostrarci che «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio unigenito» (Gv 3,16). La fede è quindi il mezzo attraverso il quale possiamo avere la vita eterna. E la fede consiste nel riconoscere in Cristo crocifisso colui che ci dà la salvezza, che ci guarisce dalla morte, che ci permette di non morire. Senza la fede questo non è possibile (seconda lettura); senza la fede è impossibile capire che la salvezza ci viene da un crocifisso. La fede è possibile perché la luce è venuta nel mondo (v. 19); occorre allora non rifiutarla, non ostinarsi a voler rimanere nelle tenebre, nei propri errori, nel proprio modo di pensare. Se mi ostino a considerare la croce una maledizione, una tortura, non sarò mai in grado di capire che da un crocifisso mi viene la salvezza. - Per avere la vita (v. 16). La donazione del figlio unigenito, il suo innalzamento sulla croce come un maledetto, ha lo scopo di offrire agli uomini la vita. Ciò significa che c’è una morte che è già presente all’interno di questa esistenza terrena. Se gli uomini hanno bisogno di credere in lui per avere la vita significa che non ce l’hanno. Dio vuole che gli uomini vivano; e non poteva fare di più che dare il suo figlio unigenito a questo scopo. La salvezza consiste dunque nel ricevere questa vita che il figlio offre. La vita che il figlio offre è quella che lui stesso possiede. È una vita che non teme di andare a morire in croce, che non ha paura della morte, perché è una vita che non finisce mai, è una vita eterna, una vita che nessuno può togliere. Eppure questa vita si può rifiutare, rifiutando di credere in lui. Si può rifiutare la luce (vita e luce in Gv sono spesso interscambiabili: cfr. Gv 1,4; 8,12). Si può preferire la tenebra, il peccato, la morte. Il serpente innalzato ci invita a guardare a colui che abbiamo trafitto, riconoscendo la morte che è in noi per essere da lui guariti.

Fonte: http://www.donmarcoceccarelli.it

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