P. Marko Ivan Rupnik, Commento III Domenica di Quaresima - Anno B

III Domenica di Quaresima - Anno B
Gv 2,13-25
Congregatio pro Clericis
Nel capitolo precedente, alle nozze di Cana (Gv 2,1-12), Cristo praticamente ha sostituito un rapporto con Dio basato sulla legge con un rapporto d’amore filiale, vissuto e realizzato in Lui. Le sei giare di
pietra e vuote indicano il prosciugamento di una religione che si esaurisce in una legge che non riesce più né a purificare né a dare la vita. Cristo è il vero sposo che con il suo sangue realizza la nuova ed eterna alleanza a Cana presentato con il vino, che già nel Cantico dei Cantici è l’amore.

 Nel brano di oggi Egli fa vedere che il tempio dell’antica alleanza viene sostituito dal suo corpo.

In quell’enorme spianata, dove l’entrata del Tempio ha 17 metri di altezza, Gesù comincia a gridare, picchiando a destra e a sinistra con un piccolo flagello (cf Mal 3). Colpisce i padroni dell’istituzione religiosa più nobile e colpendo loro colpisce anche il potere economico che detenevano facendo del Tempio anche la più grande istituzione finanziaria del Medio Oriente di quel tempo.

Il termine per dire che li scaccia fuori è quell’ekballo altre volte usato nei sinottici quando Cristo scaccia i demoni (cf Mc 1,39; Lc 11,14) e che Giovanni usa anche per dire che il Buon Pastore scaccia fuori tutte le sue pecore (cf Gv 10,4).

Cristo comincia veramente, come Messia, la liberazione della gente dall’oppressione di una istituzione religiosa e di una religione in cui non c’è più niente di ciò che era l’alleanza. Non è venuto per ritoccare e perfezionare l’Antica Alleanza e, dunque, non è venuto a elaborare nel tempio una nuova sfumatura dell’antico culto. Lui chiama il tempio la casa del Padre (cfr. Gv 2,16), come ha fatto sin dall’inizio (cf Lc 2,46-50).

Luca sottolinea che Maria e Giuseppe non capivano ciò che diceva Cristo, come i discepoli non coglievano subito tutta la portata della sua parola che diceva “Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l’avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io” (Gv 14,2-3).

La differenza è grossa: nel Tempio ci sono i fedeli che devono servire Dio e venire per compiere ciò che Dio comanda, mentre nella Casa c’è il Padre che si prende cura dei figli. Questo è il rovesciamento, non più una religione dove si dovrà fare qualcosa per Dio, ma una dimora dove sarà Dio che compirà tutto per l’uomo. Infatti Gesù parla di naos che non è il tempio in generale, ma è propriamente quella parte chiamata santuario, ovvero il sancta sanctorum dove c’è la presenza di Dio, nell’Arca dell’Alleanza, dove c’è la testimonianza. Questo santuario che Gesù sfida a distruggere è il suo corpo (Gv 2,19) e dice che lo farà risorgere, cioè lo rimetterà diritto in piedi, egheiren, come troviamo nell’apparizione alla Maddalena (Gv 20,1-18) e nell’episodio di “Talitha cum” quando prende la ragazza e la alza (cf Mc 5,41).

È evidente dunque che il Tempio è Cristo, il suo corpo. Nella sua pasqua questo corpo muore e resuscita e diventa il corpo con molte dimore. I battezzati veniamo incorporati in questo corpo e allora se lui è il tempio non è più l’uomo che pellegrina verso il tempio come luogo sacro, ma è Dio Padre che nel suo Figlio viene a prenderci e ci porta con sé come membra del suo corpo, affinché davvero dove è lui siamo anche noi. Siccome il suo Corpo è la Chiesa, noi, parte di questa Chiesa, siamo portati verso il Padre. Non solo. Ma siamo già in Cristo risorto davanti al Padre, nel Santuario. Infatti in ogni eucaristia è il sacerdozio di Cristo che ci innalza e viene pronunciata la verità del nostro pellegrinaggio “per Cristo, con Cristo e in Cristo a te Dio Padre…”.

Il corpo umano non è separabile dall’uomo, è l’uomo; e Dio non è venuto a distruggere l’uomo, ma a farlo vivere. Anche se noi in molte cose abbiamo voluto tornare alla legge di Mosè, per Cristo le cose sono veramente diverse. Il corpo umano si compie diventando la casa di Cristo (cf Eb 3,6) e Paolo stesso usa il termine naos per dire che siamo tempio di Dio (1Cor 3,16-17; 2Cor 6,16), cioè siamo solo quella parte dove abita Dio, noi siamo dimora di Dio. Questa è la grande novità rivelata in Cristo, che la sua umanità è veramente manifestazione di Dio, del suo amore. E in Cristo dunque la nostra realtà umana diventa dimora di Dio. Secondo questa visione non ci saranno più santuari né templi, perché è l’uomo, con il suo corpo, con la sua umanità, l’abitazione di Dio sulla terra. Questa è la divino-umanità di Cristo. In Lui si rivela il vero senso della nostra umanità, anche della nostra corporeità. Siamo il santuario della comunione, della vita di Dio. Non si tratta di cercare la perfezione della forma della nostra corporeità e della nostra umanità ma di offrire “i nostri corpi in sacrificio vivente, santo e gradito a Dio” (Rm 12,1).

L’uomo come dimora di Dio non viene dunque inteso come spazio sacro che richiederebbe un particolare atteggiamento religioso perché in lui abita una presenza sacra. La presenza di Dio è la sua vita che è comunionale e che noi percepiamo e accogliamo come vita filiale. Per questo motivo l’uomo è dimora di Dio in quanto attraverso la sua umanità si realizza la vita come comunione dove la relazione d’amore che include l’altro è la vera dimora di Dio nella quale è chiamato a dimorare anche l’uomo, nel Figlio. Questa è la vita come Chiesa.



P. Marko Ivan Rupnik

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