Paolo Curtaz, "In quelle tenebre"

Commento al Vangelo del 25 marzo 2018 – In quelle tenebre
In quelle tenebre
Scende dal Monte degli Ulivi con i suoi.

La strada è ripida e Gerusalemme, di fronte, mostra tutto il suo splendore.

Hanno lasciato Betania alle spalle, al di là della collina, e attraversato Betfage.


Arrivano al Cedron, ora. Alle loro destra il frantoio dell’orto dei genitori di Giovanni Marco, luogo in cui volentieri Gesù si ritira in preghiera, Gat Shevanim.

La gente nei campi lo riconosce, si avvicinano, festanti. Qualcuno prende un ciuchino e lo fa salire.

Ride, il rabbì, divertito. I bambini corrono avanti gridando e agitando i rami d’ulivo appena potati.

Osanna al figlio di Davide!, grida qualcuno. Osanna! Ripetono altri.

La festa cresce mentre salgono verso la porta Aurea.

Eccoti, Maestro. Eccoti.

Non prendi possesso della città cavalcando un bianco destriero preceduto da stendardi.

Un re da burla, che si prende poco sul serio, che prende in giro le nostre aspirazioni di gloria, che rimette al loro posto i nostri titoli e le nostre onorificenze, i nostri successi e le nostre ossessioni.

Osanna a te mio bene, mio cuore, mio re.

Osanna a te che stai andando a consegnarti alla morte per salvarmi.

Osanna.

La grande settimana

Leggeremo il brano della passione di Marco, questa domenica. Un po’ mi spiace perché significa che gran parte del popolo cristiano si perderà il Triduo pasquale. Arriveranno domenica prossima per prendere Pasqua. Un po’ come essere invitati ad un banchetto nuziale e degustare aperitivo… e digestivo.

La Chiesa, invece, rallenta il passo in questi giorni.

Sincronizza il proprio orologio con le ultime ore di Gesù. Così, in questa settimana, mentre andiamo al lavoro potremo pensare allo stato d’animo di Cristo, fare nostri i suoi sentimenti, come direbbe san Paolo. Emozioni, scelte, scoraggiamento, fede… come ci sentiremmo noi in una settimana così cruciale. La settimana in cui tutto si evolve e si conclude, in cui tutto si riassume, in cui tutto fiorisce e cresce.

La settimana in cui Dio muore per amore.

Siateci, se potete. Organizzate il tempo per esserci, per celebrare con la comunità, per pregare insieme. Giovedì e quella cena, prima di una lunga serie, in cui Gesù si fa pane. Quella notte di lunga preghiera nel Getsemani e noi, defilati, a pregare con lui. Quel venerdì mattina drammatico in cui Gesù viene appeso. Quello straziante pomeriggio di disperazione dei discepoli. E il sabato, la lunga notte di attesa, la quiete prima della tempesta. Poi la veglia pasquale, la notte insonne, la notizia. Ma di questo parleremo domenica prossima.

Marco

Ascolteremo comunque la lettura della Passione.

Provate a sedervi ed ascoltare. Con attenzione. Anzi, oso. Riprendete in mano il testo quando arrivate a casa. Leggete con calma, rappresentate la scena, individuate i dettagli.

E riconoscetevi.

Non leggiamo la Passio per emozionarci, così abituati alla morte che ci giunge ogni giorno mentre ceniamo, che vediamo nei nostri film truculenti. Lo facciamo per riconoscerci, perché ci siamo.

Siamo con i discepoli, attoniti e spaesati, vigliacchi e pavidi, incapaci. Eppure scelti dal Maestro per fare con lui esperienza di morte e resurrezione.

Il tradimento di Giuda, il rinnegamento di Pietro, la fuga degli altri, il goffo tentativo di usare la violenza per difenderlo.

Incapaci, inadeguati, inetti, idioti.

Come me. Come noi. Fragili discepoli, marinai inesperti nel condurre la barca della Chiesa. Eppure voluti dal Signore per essere testimoni.

Non i migliori, non gli eroi, ma proprio i meno adatti Dio sceglie per manifestare appieno la sua potenza.

Siamo come la folla che un giorno grida osanna e l’altro grida crocifiggilo!, ondivaghi e manipolabili.

O come il Sinedrio che vuole solo far fuori Gesù che potrebbe incrinare il fragile equilibrio finalmente raggiunto con Roma, niente di troppo personale, quindi.

O come Pilato, irritato da quel popolo riottoso e incomprensibile, da quelle beghe teologiche assurde e inutili. Giustiziere per conta dell’aquila romana, dio in terra capace di determinare chi deve vivere e chi morire.

O come i soldati, gli aguzzini, quasi tutti samaritani, ben contenti di sfogare il loro istinto bestiale sugli inermi.

O come le donne affrante sotto la croce.

O come Giuseppe di Arimatea, che ha da offrire al suo Maestro solo una tomba gelida.

Poi però

Alzate lo sguardo a colui che è stato innalzato.

Che muore come ha chiesto a noi di vivere.

Che ama, straziato, donando tutto di sé.

Che svela Dio.



Siateci, amici.

Perché ci siamo già tutti in quel racconto.

Fonte:http://www.tiraccontolaparola.it



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