FIGLIE DELLA CHIESA, Lectio IV Domenica di Pasqua

IV Domenica di Pasqua
 Lun, 16 Apr 18  Lectio Divina - Anno B

La IV domenica del tempo di Pasqua è tradizionalmente conosciuta come la Domenica del Buon
Pastore. Prima di fermarci a riflettere sul brano evangelico ritengo opportuno riflettere un po’ sulla simbologia del Pastore che, nella Bibbia, ha una valenza molto significativa. Sono sicura che molti di noi non vedono un pastore da tempo, i giovani, forse, non ne conoscono nemmeno uno. Sono figure che vanno man mano scomparendo nel nostro contesto. Ma chi di noi adulti non è rimasto affascinato o incuriosito da personaggi così solitari, viandanti silenziosi?! Poeti e scrittori si sono spesso cimentati nel dedicare loro delle pagine suggestive. Poesie imparate sui banchi di scuola che hanno catturato l’attenzione di alunni e maestri. Il Pastore è figura affascinante da sempre!
Nell’Oriente antico, come nella civiltà omerica, i re si consideravano volentieri “pastori dei popoli”, ai quali la divinità aveva affidato il servizio di guidare e di curare il “gregge” dei sudditi. La suggestiva metafora del pastore era fortemente radicata nell’esperienza degli “aramei nomadi” quali furono i patriarchi di Israele, e nell’anima di un popolo originariamente dedito alla pastorizia, continuava a provocare risonanze immediate e vivaci. Si spiega così il fatto che, per descrivere la trama di relazioni che legava il Signore al suo popolo, risultava spontaneo il ricorso alla similitudine del buon pastore: “Egli è il nostro Dio, e noi il popolo del suo pascolo, il gregge che egli conduce” (Sal 95,7). Così Dio ha guidato il suo popolo nell’esodo, “come un gregge nel deserto”; così Dio riconduce Israele dall’esilio in Babilonia: “Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce pian piano le pecore madri” (Is 40,11).
L'uso del termine pastore lo incontriamo spesso nella Bibbia particolarmente nell’Antico Testamento che usa il termine ebraico רעה (ra'ah) esso ricorre 173 volte nel senso di "pascere il gregge", ad esempio in Genesi 29,7 ("abbeverate le pecore e portatele al pascolo"). Esso viene pure usato, però in riferimento ad esseri umani, come, per esempio in Geremia 3,15: "Vi darò dei pastori secondo il mio cuore, che vi pasceranno con conoscenza e intelligenza". Dio stesso è chiamato il "Pastore di Israele" e Israele "il gregge del Signore" (Genesi 49,24; Salmo 23, 80:1; Geremia 31,10; Ezechiele 34,11-21).

Il termine pastore è applicato anche ai re ed ai capi del popolo. Una guida ebraica è molte volte definita “pastore del suo gregge”: Mosè e Davide hanno iniziato come veri e propri pastori prima di assumere responsabilità comunitarie. Il pastore dunque non è soltanto chi alleva animali ma è più profondamente un capo. Conoscendo la fragilità del cuore umano Dio assicura tuttavia che il vero pastore è lui stesso e assume su di sé tutte le mansioni che il buon pastore deve svolgere per essere tale: Provvedere al cibo delle sue pecore secondo le loro necessità e difendere il gregge dai nemici. Nel linguaggio figurato dell’antico oriente, il Pastore indica, in maniera popolare, il re e gli altri capi del popolo, specialmente come salvatori e liberatori in senso religioso.
Il titolo di Pastore d’Israele è riservato ad una persona che deve venire. “E tu, Betlemme di Efrata così piccolo per essere tra i capoluoghi di Giudea, da te mi uscirà colui che deve essere il dominatore d’Israele; le sue origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti. Perciò Dio li metterà in potere altrui fino a quando colei che deve partorire partorirà; e il resto dei suoi fratelli ritornerà ai figli d’Israele. Egli starà là e pascerà con la forza del Signore, con la maestà del nome del Signore suo Dio. Abiteranno sicuri perché egli allora sarà grande fino agli estremi confini della terra”.
Nel Nuovo Testamento si usa la parola greca ποιμην (poimēn) ed essa viene normalmente tradotta "pastore". Questa parola è usata 18 volte. Gesù è difatti chiamato "buon Pastore" in Giovanni 10,11 "Io sono il buon pastore; il buon pastore dà la sua vita per le pecore". Gli anziani o vescovi sono incaricati a "pascere il gregge" (la Chiesa) in nome e per conto del solo e vero Pastore, Gesù Cristo (Giovanni 21,25ss; Atti 20:28; 1 Pietro 5,2). Ai tempi del Nuovo Testamento le singole chiese cristiane non erano condotte da un pastore ma da un Collegio di Anziani (presbyteros) (1Timoteo 4,14) detti anche vescovi (letteralmente "sovrintendenti"). Per esempio, in Atti 20,7 Paolo convoca gli "anziani" della chiesa di Efeso per dare loro istruzioni prima della sua partenza: "Da Mileto mandò a Efeso a chiamare gli anziani della chiesa". Durante questo discorso, in Atti 20,28 egli dice loro: "Badate a voi stessi e a tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti vescovi, per pascere la chiesa di Dio, che egli ha acquistata con il proprio sangue. I simboli pastorali, come ricorda il salmo 23,17, sono due: il vincastro ed il bastone.

Lo sfondo biblico illumina la ricca simbologia del pastore. Erede dell’esperienza di Giacobbe/Israel, il popolo della Bibbia può dire: “Dio è stato il mio pastore da quando esisto fino ad oggi” (Gn 48,15). Nell’esodo dall’Egitto e nella peregrinazione nel deserto Israele sperimenta infatti la provvida cura del suo Dio. Pur camminando tra mille difficoltà e in valle oscura, il credente non teme alcun male perché Yhwh è il suo pastore (Sal 23).

Il brano comincia dicendo Io sono il Buon Pastore. Innanzitutto bisogna sottolineare che in Giovanni l’aggettivo tradotto con buono significa in realtà bello, anche se i due termini si equivalgono. L’osservazione è comunque importante, perché permette di ricordare che non si parla qui di bontà come disposizione d’animo di Gesù. Giovanni evidenzia piuttosto la “bellezza” di Gesù, punta a fare percepire lo splendore della verità di Cristo, la bellezza della sua rivelazione, affinché l’uomo ne rimanga affascinato: tende a fare innamorare di Gesù, di ciò che Egli è e di ciò che fa “per te”. La fede si può realizzare soltanto se l’uomo rimane rapito dalla verità di Gesù, soltanto se la bellezza della sua rivelazione lo conquista.
Ma qual è la bellezza di questo pastore, quella che può conquistare il cuore e aprire alla fede? Essa sta nel fatto che lui offre la sua vita per le pecore: lo splendore della gloria di Dio che si manifesta in Gesù è il dono della vita, è la visibilità storica dell’amore di Dio. Questa bellezza attira a sé e permette di aderire a Cristo. Io sono il bel Pastore! A me piace questa traduzione perché ci fa capire che la bellezza del Pastore è il fascino che hanno la sua bontà e il suo coraggio. Capiamo che la bellezza è attrazione, è Dio che crea comunione. Non si tratta tanto di una bellezza fisica, quanto di una bellezza dell’Essere. È il fascino dell’essere o dell’animo umano. È la bellezza della verità. La verità che conosce e percorre sentieri di giustizia e di pace. La bellezza di annunciare e vivere la Parola di Dio. La bellezza di testimoniare Gesù, di mettersi dalla Sua parte anche quando gli altri ci deridono. La bellezza di crescere e maturare nella Sua libertà. Cristo è il bel pastore perché ci conduce verso pascoli fertili, verso ideali raggiungibili, verso sogni da realizzare!

“Esse ascoltano la mia voce ed io le conosco ed esse mi seguono”. Esiste una conoscenza reciproca tra il pastore e il gregge. Risaltano subito due verità su cui occorre meditare e pregare per capire cosa significa questa “conoscenza”. Innanzitutto sono strettamente legate conoscenza e appartenenza. Il pastore conosce le pecore perché gli appartengono, ed esse lo conoscono proprio perché sono sue. La conoscenza e l’appartenenza nel testo greco, ta ìdia significa l’essere “proprio”, e sono sostanzialmente la stessa cosa. Il vero pastore non “possiede” le pecore come fossero oggetti da riciclo che si usano e si gettano via. Queste pecore gli “appartengono”, perché c’è una conoscenza intima reciproca, un’accoglienza elargita dal tempo vissuto insieme
Il primo elemento, è quindi quello della familiarità e intimità. “Le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo, invece, non lo seguiranno” (10,5). Gesù é bello; di questa bellezza abbiamo fatto esperienza al punto da divenirci familiare, ci FIDIAMO e lo SEGUIAMO. Quante volte abbiamo fatto l’esperienza di come sentiamo bella la voce di una persona a noi familiare e cara; quanta tenerezza nel sentirla dopo l’assenza! “Io sono il pastore bello: conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre” (14,-15). Una Voce! il mio Diletto, eccolo viene! Il Cantico dei Cantici è intriso di questa Voce …

Con che cosa ci affascina il bel Pastore, come ci fa suoi? Con un verbo ripetuto cinque volte: “Io do la mia vita … la mia vita per la tua”. “Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio”, il comando che dona significato e spessore alla vita è il dono. Coma fa Gesù e fra Lui e suo Padre c’è una forte intimità che di conseguenza diviene prolungamento di familiarità del Pastore con le sue pecore. Le pecore rispondono all'amore e al servizio di Cristo con una obbedienza perfetta alla sua voce. Il Buon Pastore chiama e le pecore rispondono. Lui le guida ed esse lo seguono. Lui le precede ed essere camminano dietro i suoi passi. In questo ascolto di Cristo verso il Padre e delle pecore verso Cristo si compie il vero ministero del Buon Pastore. Il Bel Pastore si rivela come colui che ci lascia liberi e per il fatto che ci conosce e ci ama, ci vuole nella verità e nell’amore. La libertà è il dono che ogni giorno fa a quanti lo riconoscono e lo seguono! La sequela presuppone una chiamata da parte di Gesù, anzi un possesso da parte di Gesù. Implica da parte del discepolo, il rifiuto di tutti gli altri pastori: Cristo è l’unico ed esclusivo Pastore della nostra vita. La sequela consiste infine nella reciproca conoscenza, nella comunione, non solo comunione di pensieri ma anche di esistenza, di intimità profonda e quotidiana con l’Amore: questo infatti è il ricco senso del verbo conoscere. Tra il Buon Pastore e le pecore vi è una perfetta conoscenza di carità e ascolto. Cristo Gesù ama e ascolta il Padre. Si pone interamente a servizio delle pecore. Le pecore rispondono all'amore e al servizio di Cristo con una obbedienza perfetta alla sua voce. Il Buon Pastore chiama e le pecore rispondono. Lui le guida ed esse lo seguono. Lui le precede ed essere camminano dietro i suoi passi. In questo ascolto di Cristo verso il Padre e delle pecore verso Cristo si compie il vero ministero del Buon Pastore.

Di tutt’altra specie invece è il mercenario. Lui guida le pecore per un vile guadagno. Il mercenario è un calcolatore, uno che pensa al proprio tornaconto. Quando vede venire il lupo fugge, salva la sua vita. Abbandona le pecore a morte certa. Le pecore dal lupo vengono rapite, disperse, dilaniate, uccise. Sant'Ambrogio, a ragione, notava: "Quanti padroni finiscono per avere coloro che rifiutano l'unico Signore!" Gesù è invece pastore buono: ci raccoglie dalla dispersione per guidarci verso un comune destino; e se occorre va a prendere personalmente chi si è smarrito per ricondurlo nell'ovile. Non è un mercenario calcolatore; non pasce se stesso o solo una parte del gregge: Egli è il pastore di ogni uomo la cui unica preoccupazione è di LIBERARCI da ladri, briganti, millantatori, falsi messia e profeti che saccheggiano e portano morte … a differenza di Lui che è venuto come servo e pastore della vita: perché tutti “abbiano la vita in abbondanza”. (Gv 10)

Fonte:figliedellachiesa.org

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