P. Marko Ivan Rupnik, II Domenica di Pasqua – Anno B

II Domenica di Pasqua – Anno B
Gv 20,19-31
Congregatio pro Clericis
L’inizio del vangelo di oggi sembra rimetterci in un clima pre-pasquale nonostante siamo alla fine dell’ottavo giorno, l’ottavo dell’ottavo.

In questo clima di umanità non redenta ma spaventata, impaurita, preoccupata per la propria fine, “venne Gesù a porte chiuse” (Gv 20,19). È importantissimo che si dica venne e non appare, perché fa vedere che davvero è il primo giorno della nuova creazione, dove un corpo, una corporeità umana vive una qualità totalmente nuova, mai conosciuta prima, né immaginata né sognata.

“Venne Gesù” e questo testuale “stette al centro” (Gv 20,19) dice che Lui è al centro del mondo, della storia, di tutti e di tutto. Anche delle loro paure, dei pensieri e ragionamenti in quel momento preciso. Loro non sono ancora riusciti a ricomporre tutta la visione della vita e della storia a partire dal passaggio, dalla pasqua del Signore. Questa è forse la principale sfida della Chiesa anche oggi. Mostrare i segni della sua passione non serve come semplice verifica che è Lui, ma è Lui perché si è offerto fino in fondo, le sue mani sono testimonianza dell’opera che Dio ha compiuto e il suo costato permette uno sguardo per conoscere chi è veramente Dio e dunque anche l’uomo quando vive da figlio di Dio.

Questo è il senso del suo “Shalom” (Gv 20,19) che non è semplicemente un augurio di pace, ma piuttosto la constatazione della loro situazione di vita a partire dalla resurrezione: una pacificazione totale con tutti e tutto, un benessere che riempie la vita di una persona al punto che non percepisce nessuna possibilità di minaccia. Questo loro benessere ha uno stretto legame con ciò che Lui fa, con ciò che Lui è. Fa vedere le cicatrici, da un lato testimonianza della sua consegna, della sua offerta totale, e dall’altro, proprio per questo denuncia del loro venir meno, della loro amicizia menzognera. “Allora tutti lo abbandonarono e fuggirono” (Mc 14,50) proprio come Lui aveva predetto. Storia che ognuno di noi conosce nella vita, sensi di colpa, cose non risolte, il non aver saputo reagire decisamente contro il male, l’essere venuti meno. L’uomo non è in grado di sistemare la sua storia, nessuno lo è. E nessun uomo può aiutarlo, perché la nostra vita affonda al di là di noi stessi e al di là di quelli che ci circondano. Le relazioni sono trinitarie, non sono diadiche, perciò ci vuole sempre il terzo che risolva il dramma delle relazioni.

Tutti hanno giurato che non lo avrebbero abbandonato (cf Mc 14,29-31) ma poi sotto la croce è rimasto solo uno, quello appunto che proprio per questo quando è entrato nella tomba vuota “vide e credette” (Gv 20,8).

Tommaso è stato il primo a dire di essere pronto a morire per lui, quando Gesù vuole andare a Betania da Lazzaro anche se i Giudei lo cercavano per ucciderlo (Gv 11,16) ma sotto la croce non c’era, non ha resistito. Questa è la storia di Tommaso: lui è rimasto al venerdì santo, lui è rimasto che non c’era, lui è rimasto alla sua esperienza del male che è più forte. E doveva vedere l’umanità che va oltre ciò che per lui era il massimo, cioè morire.

Ecco perché è così importante l’incontro con la Vittima pasquale che fa vedere le ferite e dice Shalom, mostra come finisce l’uomo che vive da Dio. Colui che lo ha mandato, il Padre, lo ha raccolto e perciò ora noi possiamo stare bene. Non si torna più indietro, le porte sono chiuse, non si torna indietro. La porta verso la mentalità vecchia, quella del mondo è definitivamente chiusa. La nostra complicità può essere perdonata solo dalla Vittima, da nessun altro.

Per questo motivo Cristo dona di nuovo lo Spirito (cf Gv 20,22). Ci ridà quella vita filiale che ci ha passato quando ha emesso lo Spirito sulla croce, quella vita che non siamo riusciti a cogliere ci viene ridonata per fare quello che ha fatto Lui. “Come il Padre ha mandato me così io mando voi” (Gv 20,21). Ci manda a perdonare i peccati, a rimandare indietro, ad allontanare il passato del buio di ognuno, perché tutte le volte che in Giovanni si parla di perdonare i peccati significa allontanare una cosa, separare da un passato, separarsi da un luogo, separarsi da un oggetto. Dunque non tornate indietro né voi né quelli che voi incontrerete. Quelli che sono dentro questo luogo, questo mio Corpo, liberateli dal passato, da una vita che si fa nel buio, con le opere sbagliate, con la mentalità sbagliata. Allontanate questo, liberateli da questo (cf Gv 20,23). In Cristo anche il passato sbagliato e di peccato si trasfigura nella luce, perché amato. Questa è la missione alla quale la Chiesa non si può sottrarre e che nessun altro può assumere.

Perciò è di Tommaso la più grande confessione di fede: questo uomo è il mio Signore e il mio Dio. Questo uomo con queste ferite, questo uomo al quale io non ero in grado di essere fedele, questo è il Dio fedele, questo è il mio Signore.

Questa è la fede che vince il mondo (cf 1Gv 5,4). La fede che ci fa più attenti a ciò che dice il Signore e a Colui che lo ha mandato che alla nostra esperienza del male. Qui praticamente si snoda il dramma spirituale di ognuno, credere alla propria esperienza del male o alla fedeltà di Colui che ti ha amato, che ti ha mandato, che fa di sé un dono che va oltre la tomba, oltre la porta chiusa. È una nuova creazione, una nuova storia.

La porta rimane chiusa e noi non la vogliamo aprire, noi vogliamo vivere dentro la vita nuova alla quale siamo stati generati dal costato di Cristo.



P. Marko Ivan Rupnik
Fonte:http://www.clerus.va

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