padre Gian Franco Scarpitta "Appartenere a Cristo nella forma totalizzante"

 Appartenere a Cristo nella forma totalizzante
padre Gian Franco Scarpitta  
V Domenica di Pasqua (Anno B) (29/04/2018)


  Visualizza Gv 15,1-8
Nella pastorale dei sacramenti ci si accorge che molto spesso si ricorre al Battesimo o alla liturgia di Prima Comunione per soddisfare delle pure consuetudini antesignane o per l'impulso della festa al ristorante. Il Sacramento della Confermazione nella maggior parte dei casi si riceve nell'imminenza del Matrimonio o addirittura quando sia indispensabile per “fare da padrini” a bambini o a cresimandi imminenti. A mio giudizio noi non insisteremo mai abbastanza su un concetto fondamentale: l'appartenenza a Gesù nella forma totalizzante. Entrare a far parte della Chiesa non equivale cioè inserirsi in un'associazione di volontariato, sia pure molto lodevole, o fare parte di un qualsiasi gruppo di carattere associativo quale un club o una società nella quale si può entrare per uscire in qualsiasi momento, ma vuol dire assumere uno “status”, una dimensione di vita, immettersi in un nuovo percorso esistenziale. Chi fa parte della Chiesa assume insomma una nuova configurazione nel proprio essere prima ancora che nell'agire, che comporta l'acquisizione di un percorso formativo che va accettato senza riserve e assunto senza rimpianti. In parole povere, entrare a fare parte della Chiesa attraverso il Battesimo e gli altri Sacramenti dell'Iniziazione vuol dire essere incorporati a Gesù Cristo, essere e sentirsi inequivocabilmente parte di lui, compartecipi della sua identità e della sua missione.

Con il Battesimo infatti, purificati e rigenerati a nuova vita una volta avuta eliminata la pecchia originale che tutti ci caratterizza, siamo innestati a Cristo e veniamo a formare con Lui un solo Corpo. Il primo di tutti i Sacramenti ci rende infatti membra di Cristo, a lui innestati. Membra del Corpo di cui Cristo è il Capo, cioè membra effettive della Chiesa (Ef 5, 28 - 30). Con il Battesimo veniamo ad essere quindi sostanzialmente inseriti in Cristo, resi partecipi della sua missione e della sua completa realtà e di conseguenza non possiamo che sentire di appartenere a Lui. “Io sono la Vite, voi i tralci”, esclama Gesù stesso nella pagina odierna del Vangelo. Il cristiano di fatto non è tale se non avverte di essere un tutt'uno con Colui che lo ha coinvolto e continuamente lo avvince, rendendolo partecipe del suo mistero, soprattutto della sua morte e resurrezione, e rendendolo latore della sua opera di redenzione.

Non si può essere isolati da Gesù Cristo, così come nessun ramo può svincolarsi dalla pianta, pena la perdita della sua linfa vitale. Ogni tralcio della vite che pretenda di crescere e di svilupparsi indipendentemente dalla pianta da cui trae la linfa, l'acqua e i sali minerali, è destinato a seccare e ad essere reciso. Così il cristiano che voglia esulare dal suo Maestro: è destinato a perire e a non avere consistenza in se stesso: “Senza di me non potete far niente”.

Scegliere Cristo comporta incentrare l'intera esistenza su di lui, richiede l'abbandono delle personali preferenze, dei convincimenti assolutamente personali e delle concezioni esclusivamente soggettive, per assumere quelle propriamente Sue. “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”(Mt 16, 24) è il perentorio monito di Gesù, che non ammette eccezioni e che sottende alla difficoltà che comporta l'essere cristiani: seguire Gesù non è fra le cose più semplici della nostra vita, comporta sacrifici, rinunce, la fuga dalla proprie esclusive convinzioni, l'abbandono delle pretese di autosufficienza e il dover assumere aspettative ben differenti da quelle nostrane. Tutto questo comporta una sorta di “croce”, cioè di sfida contro se stessi e di prontezza a dover marciare controcorrente in un contesto mondano del tutto ostile. Il che suppone per l'appunto non semplicemente di mettersi in fila indiana per camminare dietro a Gesù come dietro a un leader, ma assumere Gesù nella nostra vita globale, cioè appartenere a lui e sentirci innestati a lui appunto come il tralcio alla vite. Nessuno di conseguenza può legittimamente definirsi cristiano vivendo una fede avulsa e approssimativa, peggio ancora soggettiva e frammentaria. Occorre piuttosto che ci si converta, cioè che si assuma coscienza della presa di posizione da intraprendere, reimpostando la propria vita secondo nuovi parametri.

Come si legge nel libro degli Atti degli Apostoli dal cap 9 in poi, Paolo a un certo punto sente di dover appartenere a Gesù Cristo, in seguito alla chiamata personale che Questi gli fa sulla via di Damasco. Comprende che il suo stato di vita non è rassicurante neppure per se stesso e non frugifera fondamentalmente alcun vantaggio. A che scopo e con quale intenzione reale perseguitare Gesù Cristo nella persona dei suoi seguaci che lui ha sempre fatto arrestare, incatenare e uccidere? Quale soddisfazione avrà mai apportato in Paolo l'aver approvato che Stefano fosse stato lapidato? A quale approdo lo ha condotto, in fin dei conti, il fanatismo spietato in difesa della dottrina giudaica estremista alla quale era stato formato? Questi probabilmente sono stati gli interrogativi che hanno intrattenuto il feroce persecutore di Tarso mentre, sulla via di Damasco, si trovava a conferire con Gesù Cristo, che ora lo stava interpellando. Gesù gli compare in una visione straordinaria e gli domanda: “Saulo, perché mi perseguiti?” Perché recalcitri? Ti ostini a non voler accettare l'evidenza della verità? Alzati piuttosto, prosegui il tuo cammino verso Damasco e là ti sarà detto quello che devi fare. Lo invita insomma ad orientare il suo connaturale zelo per la propugnazione della fede in Cristo, non più nella persecuzione. Superato l'imbarazzo iniziale nel trovarselo davanti, i discepoli di Gesù penderanno sempre dalle sue labbra, soprattutto quando rivelerà il suo zelo verso la conversione dei Gentili. I suoi viaggi per le chiese dell'Asia Minore dove di volta in volta scrive le sue epistole edificanti alle comunità resteranno memorabili in tutta la storia della Chiesa. Paolo è stato raggiunto da Gesù Cristo e si sente di appartenere totalmente a lui. Considera ogni altra cosa “spazzatura al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui”(Fl 3, 9).

Come tralcio unito alla vite, Paolo è consapevole di che “il suo vivere è Cristo” e che nulla potrà mai operare scisso da lui.

Appartenere a Cristo nella Chiesa, oltre che determinare impegni e difficoltà nella costanza e nella determinazione, guadagna tuttavia delle certezze e delle garanzie di vita al presente e al futuro. Ad esempio la certezza di poter risorgere con lui tutte le volte che ci radichiamo nella sua morte di croce; ottenere lo stesso suo traguardo di gloria e di condecorazione dopo aver persistito nella lotta senza fine che è la testimonianza cristiana. Conseguire insomma la vita piena in luogo della morte perenne.

Forse dovremmo considerare che la scelta di Gesù Cristo, nel nostro sistema opulento e secolarizzato, è un fatto di coraggio e di decisione, che non va visto tuttavia nell'ottica della vergogna e nell'idea di un'inadeguatezza ai nostri tempi: va esternata con orgoglio e con entusiasmo tipici di chi a Cristo si è convertito e adesso lo vive e lo testimonia con gioia e franchezza apostolica. Sulle tracce dell'apostolo Paolo.

Commenti

Post più popolari