FIGLIE DELLA CHIESA, Lectio"Santissima Trinità"

Santissima Trinità
 Lun, 21 Mag 18  Lectio Divina - Anno B

Lo Spirito, luce di sapienza, ci riveli il mistero del Dio trino ed unico, fonte d'eterno amore. Così canta ogni giorno la Chiesa che all’inizio della celebrazione odierna rivolge al suo Signore questa bellissima preghiera: O Dio Padre, che hai mandato nel mondo il tuo Figlio, Parola di verità, e lo Spirito santificatore per rivelare agli uomini il mistero della tua vita, fa' che nella professione della vera fede riconosciamo la gloria della Trinità e adoriamo l'unico Dio in tre persone.
La festa della Santissima Trinità è un ringraziamento a Dio per il “mistero della sua vita” che Egli non solo ha voluto rivelarci ma in cui veniamo immersi per esserne partecipi e vivere, già da questa vita terrena, in Dio. Così riconoscere la gloria della Trinità e adorare l’unico Dio in Tre persone è riconoscere l’ambito divino della nostra stessa esistenza, la sua consistenza, il suo senso ultimo e primo.

Chi è Dio? È una domanda che attraversa la storia dell’umanità da sempre. Dio “non lo si vede” e molti preferiscono non credere o non porsi il problema. Per alcuni, ciò che sanno dalla storia è sufficiente per negare Dio. Altri sono convinti che è giusto negare ciò che non è verificabile, secondo i metodi della scienza. La Chiesa rispetta la libertà di ciascuno mentre riconosce a se stessa la stessa libertà di continuare fedelmente, con semplicità e gioia, ad annunciare il Vangelo di Dio, cioè la bella notizia che Dio stesso ha voluto rivelare a noi il suo mistero, facendosi uomo.

Dopo la celebrazione annuale della nascita, morte, risurrezione e ascensione al cielo di Gesù, e dopo aver ricevuto nuovamente, domenica scorsa il dono dello Spirito Santo promesso, in questa domenica, la Chiesa si sofferma con testi brevissimi sul mistero della vita intima divina a noi rivelato. Mistero che non si impone come una regola matematica ma si offre come credibile alla nostra ragione, e soprattutto si propone alla nostra fede per essere accolto e “riconosciuto”, perché di questo mistero siamo immagine.

Riconoscere e adorare il mistero della vita di Dio significa scoprire chi siamo veramente, qual è il segreto della nostra stessa esistenza. Ecco come lo dice ancora la Chiesa nella sua preghiera: “O Dio altissimo, che nelle acque del Battesimo ci hai fatto tutti figli nel tuo unico Figlio, ascolta il grido dello Spirito che in noi ti chiama Padre, e fa' che obbedendo al comando del Salvatore, diventiamo annunziatori della salvezza offerta a tutti i popoli”.

Contemplare Dio nel mistero della sua vita significa scoprirci in Gesù, figli del Padre nostro che sta nei cieli, e riconoscere con immensa gratitudine che nel più intimo di noi stessi lo stesso Spirito di Dio ci mette in relazione con Lui, perché come ci ricorda San Paolo “noi non abbiamo ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma abbiamo ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!». Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio” (II Lettura).

Già Mosè, nel capitolo del libro del Deuteronomio che viene proclamato nella prima lettura, ci ricorda che il nostro Dio non è un Dio lontano. È un Dio che parla e agisce. Un Dio che mentre si rivela, ci fa capire chi siamo noi, e come possiamo agire per essere felici: “Si udì mai cosa simile a questa? Che cioè un popolo abbia udito la voce di Dio parlare dal fuoco, come l'hai udita tu? … Osserva dunque le sue leggi e i suoi comandi che oggi ti do, perché sia felice tu e i tuoi figli dopo di te” (I Lettura).
Ed è soprattutto nella proclamazione evangelica degli ultimi versetti del Vangelo di Matteo il luogo dell’annuncio esplicito e glorioso del nome misterioso e trino del nostro Dio Padre, Figlio, Spirito Santo. Su questi pochi versetti (Mt 28, 16-20) si sofferma ora la nostra attenzione.

v.16: In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. In quel tempo: questa introduzione liturgica nel testo originale ha un “invece” che qui viene omesso. Possiamo tuttavia ricordare che nei versetti precedenti Matteo aveva narrato la vicenda dei soldati, posti a custodia del sepolcro di Gesù. Essi avevano visto l’angelo scendere dal cielo e srotolare la pietra che era stata posta a chiusura del sepolcro, ne erano rimasti tramortiti ed erano quindi andati a raccontare l’accaduto agli anziani. E da essi avevano ricevuto del denaro con l’ingiunzione di non riferirlo ad altri e di inventarsi una menzogna.
Gli undici discepoli andarono: Mentre dunque i soldati, testimoni di un evento misterioso, se ne vanno a diffondere il falso, i discepoli che non hanno visto, ma hanno solo sentito il racconto fatto dalle donne, sulla loro parola, si mettono in viaggio. Possiamo vedere in questo il dinamismo della speranza, del piccolo gruppo spaurito dei dodici cui ora ne manca uno. Da questi undici Gesù vuole ripartire. A questi undici affiderà l’evangelizzazione del mondo.
In Galilea sul monte che Gesù aveva loro indicato: l’appuntamento di Gesù è su un monte della Galilea. Il Tabor? Il “monte” delle Beatitudini? Matteo non lo dice. Il monte è spesso luogo della teofania e Gesù amava ritirarsi sul monte a pregare. Il monte qui potrebbe anche indicare che il cammino che resta da compiere ai discepoli è un cammino in salita. Essi hanno bisogno di ritrovare se stessi e Gesù in un luogo a parte, in alto, per poi ridiscendere e portare l’annuncio a tutte le nazioni cui saranno mandati. Anche l’indicazione della Galilea ha un messaggio da dare. Sappiamo che le testimonianze evangeliche qui differiscono. Per alcuni tutto si risolve a Gerusalemme (Luca, Marco). Per altri Gesù sceglie la Galilea come secondo luogo della sua manifestazione postpasquale (Giovanni, Matteo) e della sua ascensione al cielo (Matteo). Dalla Galilea i discepoli erano partiti: lì hanno conosciuto Gesù, lì hanno ricevuto il primo invito a seguirlo. La Galilea rappresenta quindi per loro un ritorno alle sorgenti, dove tutto si invera. È giusto che lì ricevano ora il mandato missionario. La Galilea, infatti, chiamata Galilea delle genti, è già, in piccolo, il simbolo della vocazione universale del Vangelo.

v.17: Quando lo videro, si prostrarono. Gesù è già lì. Li ha preceduti. Egli, l’atteso delle genti, colui che era venuto dopo il Battista, è ora passato avanti e diventa la guida del suo popolo nel cammino verso il Padre. D’ora innanzi, ovunque i discepoli arriveranno, Gesù li precederà. Essi lo vedono e si prostrano. Salutano con il gesto dell’adorazione, che sembra in netto contrasto con ciò che subito Matteo aggiunge:
Essi però dubitarono: nella vecchia traduzione si leggeva alcuni però dubitarono. La nuova, più fedele al testo greco dice essi. Tutti sono attraversati dal dubbio. Non basta vedere Gesù. Forse si stanno ingannando, stanno sognando, forse, come quella volta sul lago, credono di vedere un fantasma. Tutti gli evangelisti ci parlano di questa incredulità dei discepoli. Gesù li deve rimproverare (Marco); Luca e Giovanni ci riferiscono anche l’amorevole comprensione che Gesù ha per questi dubbi dei suoi e di Tommaso in particolare. “Perché siete turbati e perché sorgono dei dubbi nel vostro cuore? Guardate, toccatemi, sono proprio io … Un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho … Metti qui il tuo dito … tocca le mie ferite e non essere più incredulo ma credente”. Matteo non dice alcuna di tali parole ma riferisce un gesto di Gesù che le riassume tutte:

v.18. Gesù si avvicinò: Gesù si fa vicino. Si fa vicino a quanti stanno dubitando di lui. Questo è il nostro Dio. Lo aveva detto anche Mosè nella prima lettura. Il nostro è un Dio che si è fatto vicino e che sempre si fa vicino. Come si era chinato sul malcapitato ferito sulla via che scende da Gerusalemme a Gerico, Gesù, buon samaritano, si china sulle ferite del nostro cuore e mostra le sue ferite gloriose che ne sono la medicina.
E disse loro: A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra: Nessun rimprovero nelle sue parole. Gesù si presenta vittorioso, e questa sua vittoria è la prima medicina per il cuore dubbioso dei discepoli. Già udire la sua voce è un balsamo. Perché è proprio la sua voce: A me egli dice e loro non possono più dubitare che Colui che sta loro davanti sia il loro Maestro. Così è stato nel racconto della pesca sul lago raccontata da Giovanni: appena odono la sua voce capiscono che è il Signore. Ora proprio del Signore si tratta. Suo è il potere e la gloria nei secoli. Lo ha ricevuto da Dio. Il passivo “a me è stato dato” viene considerato un passivo divino. Non dagli uomini ma dal cielo egli ha ricevuto il potere e questo potere si estende a tutto l’universo. Ha così termine il potere del principe di questo mondo. Colui che era stato ucciso, la cui fine era apparsa come battaglia perduta e tragico fallimento che aveva fatto morire anche l’ultima illusione ora si presenta come il vero vincitore. Queste parole fanno risorgere la speranza mentre nel cuore rinasce anche la fede dei discepoli. E Gesù continua, offrendo ai discepoli una seconda medicina, per curare ora il loro rimorso, il ricordo pungente della loro debolezza.

v.19 Andate dunque: Gesù li manda, come già li aveva mandati quando era ancora con lui. Dunque si fida di loro. Sono ancora i suoi. Possiamo solo immaginare quanto questa iniezione di fiducia abbia potuto sanare il cuore confuso del misero gruppo di discepoli che nel momento della prova erano fuggiti e che erano rimasti increduli anche dopo l’annuncio della risurrezione del loro maestro.
E fate discepoli tutti i popoli: è un ordine inaudito. Non tanto per il campo smisurato della missione che viene loro affidata ma per la rivelazione di Dio che essa contiene: Dio è il Dio di tutti i popoli e tutti i popoli sono chiamati alla fede in Lui, a diventare discepoli come lo sono loro. Il Dio d’Israele è il Dio di tutti i popoli. Lo dirà esplicitamente Paolo scrivendo ai Romani: Per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore abbiamo ricevuto la grazia dell’apostolato per ottenere l’obbedienza alla fede da parte di tutte le genti (Rm 1,15) … Il Vangelo rivelato ora e annunciato mediante le Scritture per ordine dell’Eterno Dio, a tutte le genti perché obbediscano alla fede (Rm 16,26). Sì, il vangelo va annunciato a tutti perché Cristo Gesù ha dato se stesso in riscatto per tutti (1 Tim 2,26) e Dio nostro salvatore vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità (1 Tim 2,4). Il nostro Dio, infatti, è Uno solo, Padre di tutti, al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti (Ef 4,6).
Battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo: com’è possibile fare discepoli tutti i popoli? Immergendoli nel mistero stesso di Dio. Ecco perché vanno battezzati. Ecco cosa significa essere battezzati. E qui viene aperta la porta del mistero di Dio: nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Fate questo dice Gesù ai suoi, battezzate tutti i popoli, aprite a tutti la porta del mistero di cui io vi ho dato la chiave, donandovi lo Spirito Santo. Non fate come i farisei che non sono entrati ed hanno impedito agli altri di entrare. Il mistero della Trinità al culmine del Vangelo di Matteo viene presentato come la dimora del credente, il suo ambiente di vita, immerso nel quale potrà vivere della vita stessa di Dio. Il battesimo è questa porta della fede che immerge nel mistero stesso di Dio.

v.20. Insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato: La Parola e il sacramento si esprimono nella vita nuova del cristiano, nel comandamento nuovo di Gesù che rende possibile amare Dio e amare il prossimo come siamo stati amati noi stessi da Dio.
Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo: dopo la missione Gesù rassicura ulteriormente i suoi discepoli. Lo aveva già detto loro prima di morire: tornerò, non vi lascerò orfani, vado e torno. Ora eccolo, ha mantenuto la promessa e la estende a tutte le generazioni di apostoli che seguiranno: fino alla fine del tempo presente. Sempre, ogni giorno.

Fonte:figliedellachiesa.org

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