Mons. Francesco Follo,Lectio Trinità: Dio è amore

Trinità: Dio è amore

SS. Trinità - Anno B – 27 maggio 2018

Rito Romano
Dt 4,32-34.39-40; Sal 32; Rm 8,14-17; Mt 28,16-20

Rito Ambrosiano
Es 33,18-23;34,5-7a; Sal 62; Rm 8,1-9b; Gv 15,24-27

1) Dio è amore.
Oggi celebriamo la Santissima Trinità, di cui i nostri cuori sono dimora.
Il dogma della Trinità non è il frutto di fantasie mitologiche, non è il risultato di astratte meditazioni filosofiche. Non è neppure una fredda formulazione teologica, che offre il pretesto di dire che la Trinità è un mistero così distaccato dalla nostra vita che più di un cristiano si sente tranquillamente autorizzato a ignorarlo. La Trinità è un Mistero grande, che supera la nostra mente, ma che parla profondamente al nostro cuore, perché nella sua essenza altro non è che l’esplicitazione dell’espressione di San Giovanni: “Dio è amore” (1 Gv 4, 8.16).
E’ il cuore che sostiene la mente per credere che Dio
- è Creatore e Padre misericordioso,
- è Figlio Unigenito, eterna Sapienza incarnata, morto e risorto per noi,
- è Spirito Santo che tutto muove, cosmo e storia, verso la piena ricapitolazione finale. Tre Persone che sono un solo Dio perché il Padre è amore, il Figlio è amore, lo Spirito è amore. Dio è tutto e solo amore, amore purissimo, infinito ed eterno.
Rivelando questo il mistero di Dio-Amore, Gesù, il Figlio di Dio, ci ha fatto conoscere il Padre che è nei Cieli, e ci ha donato lo Spirito Santo, l’Amore del Padre e del Figlio. Dunque, “la Trinità è comunione di Persone divine le quali sono una con l’altra, una per l’altra, una nell’altra: questa comunione è la vita di Dio, il mistero d’amore del Dio Vivente” (Papa Francesco).
Oltre che dall’insegnamento del Papa mi faccio aiutare anche da un’immagine presa da Santa Caterina di Siena. Questa grande, santa donna usa un’immagine semplice e illuminante. Quella del pesce che vive e si muove nell’acqua del mare sconfinato. Il pesce vive nell’acqua e dell’acqua, e questa entra in lui; ma questa piccola creatura non sa quanto grande, potente e benefico sia l’elemento in cui lui vive; tuttavia, nel mare il pesce vive, gioca, cresce e si moltiplica.
La stessa cosa, analogamente, accade all’uomo di fronte al Mistero di Dio Trinità. La persona umana è troppo piccola per comprenderlo, tuttavia, per grazia, la vita di Dio scorre in lei, per grazia Dio si piega fino a lei e le parla, con la tenerezza del Padre, con la confidenza del Fratello, con la forza dell’Amore. Pur restando misteriosa, la realtà d’amore del Dio Uni-Trino avvolge l’uomo, che in essa vive e di essa vive. Dunque, la liturgia di questa solennità, mentre ci fa contemplare il mistero stupendo da cui proveniamo e verso il quale andiamo, ci rinnova la missione di vivere la comunione con Dio e di vivere la comunione tra noi sul modello della comunione divina.
Questo implica accogliere e testimoniare concordi la bellezza del Vangelo e vivere uno con l’altro, uno per l’altro, uno del cuore dell’altro. In questo modo rifletteremo lo splendore e l’amore della Trinità e saremo missionari della carità con la forza dell’amore di Dio che abita in noi.
2) La Chiesa pellegrina missionario d’amore.
In effetto il cristiano è per natura sua missionario. Ce lo ricorda anche il Vangelo di questa Solennità della Santissima Trinità. Nella terza lettura (il Vangelo) la Chiesa ci fa ascoltare il brano del Vangelo in cui si racconta di Gesù risorto che appare su un monte ai suoi discepoli e dice: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28, 19 – 20).
Prendiamo sul serio l’invito che Cristo anche oggi ci rinnova, accogliendo e portando nel mondo il Vangelo dell’amore.
In effetti, i cristiani non sono tanto annunciatori di un discorso, quanto di Colui che ha parole di vita eterna nell’Amore.
Il Dio – Amore rivelato da Gesù non è un principio filosofico-teologico da credere, non è il Dio perfettissimo che dal suo freddo isolamento comanda precetti da osservare, non è neppure il “dio” di una religiosità messa a nostro servizio per uscire dai nostri fallimenti, dalle nostre incapacità o dalle nostre paure. Dio è un mistero di relazione, di comunione: un’infinita relazione d’amore, di amore vero, di amore che si dona totalmente. Noi siamo stati creati da questo amore e per amore, “siamo stati creati a immagine della comunione divina” (Papa Francesco, Evangelii Gaudium, 178). Di questa comunione d’amore siamo chiamati ad essere missionari. Questo mistero d’amore è concreto e a noi vicino più di quanto pensiamo, e lo viviamo nella pratica quando, soprattutto nei momenti più importanti o critici in cui abbiamo più bisogno di Dio, facciamo il segno della croce. Segnandoci con questo santo segno, quasi senza esserne pienamente consapevoli, invochiamo Dio Uno e Trino dicendo: “Nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo”. Non solo invochiamo Dio Trinità perché ci aiuti, ma Lo lodiamo con la preghiera “Gloria al Padre, e al Figlio e allo Spirito Santo … Amen”, che Santa Teresa di Calcutta, Missionaria della Carità di nome e di fatto, spesso recitava così: “Gloria al Padre–Preghiera, e al Figlio-Povertà, e allo Spirito Santo-Zelo per le anime. Amen-Maria”.


3) La Trinità e la Vergini consacrate.
Santa Teresa d’Avila descrive la comprensione e il valore esistenziale di questo Mistero parlando del suo cammino spirituale che si è sviluppato nella direzione della “tenerezza amorosa”: Cristo l’ha condotta al Padre e l’ha affidata allo Spirito Santo, e Teresa ha “sperimentato” dal vivo il mistero delle tre Persone divine: una persona paterna che l’attrae, l’abbraccia, la conforta, la sollecita; una persona spirituale che la riscalda e l’avvince interiormente; mentre la persona filiale di Cristo continua ad invitare e a preparare Teresa alle nozze mistiche che furono celebrate nel Carmelo di Avila, durante la Messa del 18 novembre 1572.
La vita delle Vergini consacrate nel mondo prosegue nel modo suo proprio l’esperienza di questa grande Santa spagnola. Con dono completo di se stesse nelle mani del Vescovo, queste donne testimoniano in modo speciale la dimensione trinitaria della vita cristiana.
In effetti, la verginità è in qualche modo la deificazione dell’uomo: “Non si può fare miglior elogio della verginità se non mostrando che essa deifica, per così dire, coloro che partecipano ai suoi puri misteri, al punto di farli comunicare alla gloria di Dio, il solo veramente santo e immacolato, ammettendoli nella propria familiarità grazie alla purezza e alla incorruttibilità” (San Gregorio di Nissa, De Virginitate,  1, 1-2; 256 s.).
La verginità ha dunque origine dalla Trinità e si vive nella Trinità, legata com’è alla generazione del Figlio da parte del Padre, portata come dono agli uomini dal Verbo che viene nel mondo allo stesso modo con cui è generato dal Padre, ossia verginalmente, da una Vergine. È così che nel cristiano la verginità produce effetti analoghi a quelli verificatisi “in Maria, l’Immacolata, quando tutta la pienezza della divinità che era nel Cristo risplendette in lei (...). Gesù non viene più con la sua presenza fisica, ma vive spiritualmente in noi e, con sé, ci porta il Padre” (Ibid., 2).
Che questo ideale di vita caratterizzato dalla verginità almeno spirituale venga proposto a tutti i cristiani, anche sposati, come esigenza di perfezione, è chiaro. Ma il Nisseno e gli altri Padri della Chiesa vedono chiaramente che, sempre per dono di Dio, chi sceglie la verginità anche corporale astenendosi dal matrimonio e imitando Gesù e Maria, ritrova l’integrità originaria nella quale l’uomo è stato creato o, come dice il santo vescovo di Nissa, la condizione “del primo uomo nella sua prima vita” (Ibid., 12, 4. 4; 416 s).




Lettura patristica
San Giovanni Damasceno,
De fide orthodoxa, 1, 8

1. La fede trinitaria

       Crediamo in un solo Dio, unico principio, privo di principio; increato, ingenito, indistruttibile e immortale, eterno, immenso, non circoscritto, illimitato, d’infinita potenza, semplice, non composito, incorporeo, immutabile, impassibile, immobile ed inalterabile; invisibile, fonte d’ogni bontà e giustizia, luce intellettuale e inaccessibile, potenza incommensurabile, misurata dalla sua volontà (può, infatti, "tutto ciò che vuole" [ Ps 134,6 ]), fondatrice di tutte le cose sia di quelle visibili che delle invisibili conservatrice di tutto, provvidente per tutto, contenente e reggente tutto, avente su tutto un regno perpetuo ed immortale.

       (Crediamo in un solo Dio) al quale nulla si oppone, che riempie tutte le cose senza essere da nessuna circoscritto; anzi, egli stesso tutto circoscrive, tutto contiene e a tutto provvede, che penetra tutte le sostanze lasciandole intatte al di là di tutte le cose, trascendente ogni sostanza, soprasostanziale e superiore a ogni cosa; superiore per divinità, bontà, pienezza; un Dio che stabilisce tutti i poteri e tutti gli ordinamenti, mentr’egli si pone al di sopra d’ogni ordinamento e d’ogni potere; più alto per essenza, vita, parola, intelligenza; un Dio che è la luce stessa, la bontà stessa, la vita stessa, l’essere stesso: egli non riceve, infatti, da nessun altro né l’essere proprio né quello di alcuna delle cose che esistono, ma, anzi, è lui stesso la fonte dell’essere, per tutto ciò che è; della vita, per tutto ciò che vive; della ragione, per tutte le creature che ne fanno uso.

       (Crediamo in un solo Dio) che è causa d’ogni bene per tutte quante le cose, che prevede tutto prima che avvenga; unica sostanza, unica divinità, unica potenza, unica volontà, unica attività, unico principio, unica potestà unica signoria, unico regno.

       (Crediamo in quest’unico Dio conosciuto nelle tre perfette persone e venerato con un unico atto di culto, oggetto di fede e di adorazione da parte di ogni creatura razionale; e queste persone sono unite senza mescolanza o confusione e separate (ciò che trascende ogni intelletto) senza alcuna distanza: nel Padre e nel Figlio e nello Spirito Santo, nel nome dei quali siamo anche stati battezzati. Infatti, così il Signore comandò agli apostoli di battezzare, quando disse: "Battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo" (Mt 28,19).

       Crediamo nell’unico Padre, principio e causa di tutto, non generato da nessuno, unico salvatore non causato e ingenito; creatore di tutte le cose, Padre, per natura, del suo unico Figlio unigenito, e Dio, il nostro Gesù Cristo, e produttore del Santissimo Spirito.

       Crediamo, altresì, nel Figlio di Dio unigenito, Signor nostro, generato dal Padre prima di tutti i secoli; luce da luce, Dio vero da Dio vero; generato, non creato; consustanziale con il Padre; per il quale tutte le cose sono state fatte...

       ...Allo stesso modo, crediamo anche nello Spirito Santo, Signore, vivificante, che procede dal Padre e risiede nel Figlio; che, insieme con il Padre ed il Figlio, è adorato e conglorificato, essendo consustanziale ed eterno come loro; Spirito di Dio, giusto, sovrano; fonte di sapienza, di vita e di santità; che è ed è chiamato Dio con il Padre ed il Figlio; increato, perfetto, creatore, che governa tutte le cose, creatore di tutto, onnipotente, potenza infinita che comanda a tutto il creato, senza essere sottoposto all’autorità di nessuno; che divinizza, senza essere divinizzato; che riempie, senza essere riempito; che è partecipato, ma non partecipa; che santifica, ma non è santificato; Paraclito, poiché accoglie le invocazioni di tutti; simile in tutto al Padre ed al Figlio; procedente dal Padre, viene concesso attraverso il Figlio ed è ricevuto da ogni creatura.





Pubblicato da Francesco Follo a 17:13 Nessun commento:
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VENERDÌ 18 MAGGIO 2018
L’unità della Pentecoste sconfigge la divisione di Babele

Pentecoste – anno B – 20 maggio 2018

Rito Romano
At 2,1-11; Sal 103; Gal 5,16-25; Gv 15,26-27; 16,12-1

Rito Ambrosiano
At 2,1-11; Sal 103; 1Cor 12,1-11; Gv 14,15-20


  1) Dalla torre di Babele al Cenacolo di Pentecoste.
La prima lettura (At 2,1-11) di questa Domenica di Pentecoste è presa dagli Atti degli Apostoli, in cui si racconta il fatto della Pentecoste, tenendo sullo sfondo la storia della Torre di Babele (cfr Gen 11,1-9).
Cosa implica la narrazione della costruzione della Torre di Babele? Si tratta della descrizione di un regno, in cui gli uomini avevano acquisito così tanto potere da pensare di essere capaci di costruire da soli una via che portasse al cielo per aprirne le porte, mettendosi al posto di Dio. Ma proprio in questa situazione si verificò qualcosa di inatteso. Mentre gli uomini stavano lavorando insieme per costruire la torre, improvvisamente si resero conto che stavano lavorando l’uno contro l’altro. Mentre cercavano di essere come Dio senza l’aiuto di Dio, divennero meno uomini, rovinando il fatto di essere creati a immagine e somiglianza di Dio Comunione perché avevano perduto un elemento fondamentale dell’essere persone umane: la capacità di accordarsi, di capirsi e di operare insieme.
Questo racconto del Vecchio Testamento contiene una perenne verità, che il Card. Henri de Lubac ha sintetizzato così: “Si può costruire una città senza Dio, ma sarà sempre contro l’uomo”.
Possiamo constatare la verità di questa affermazione di questo grande Gesuita, ripensando alla storia lontana e recente dell’umanità.  Con il progresso della scienza e della tecnica siamo arrivati al potere di dominare forze della natura, di manipolare gli elementi, di fabbricare esseri viventi, giungendo quasi fino allo stesso essere umano. In questa situazione, pregare Dio sembra qualcosa di superato, di inutile, perché noi stessi possiamo costruire e realizzare tutto ciò che vogliamo. Ma il caos e il male, che ne derivano, ci fanno accorgere che stiamo rivivendo la stessa esperienza di Babele.
L’unità che gli uomini volevano costruire a Babele è un progetto di unità, deciso dall’uomo e che ha per scopo la gloria dell’uomo: “Venite – dicono i costruttori senza Dio –, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra” (Gn 11, 4). E’ un progetto di unità, che nasce da volontà di potenza e di fama, cioè da superbia.
Invece, nella Pentecoste lo Spirito, con il dono delle lingue, mostra che la sua presenza unisce e trasforma la confusione in comunione. L’orgoglio e l’egoismo dell’uomo creano sempre divisioni, innalzano muri d’indifferenza, di odio e di violenza. Lo Spirito Santo, al contrario, rende i cuori capaci di comprendere le lingue di tutti, perché ristabilisce il ponte dell’autentica comunicazione fra la Terra e il Cielo. Lo Spirito Santo è l’Amore. Quindi la Chiesa, più che la nuova Babele, è l’anti-Babele, vivificata dal fuoco dello Spirito Santo nel giorno di Pentecoste.
  Se vogliamo che la Pentecoste non si riduca ad un semplice rito o ad una pur suggestiva commemorazione, ma sia evento attuale di salvezza, dobbiamo mendicare il dono dello Spirito Santo, mettendoci in umile e silenzioso ascolto della Parola di Dio e, magari, ripetendo spesso la giaculatoria “Vieni, Santo Spirito, Vieni per Maria”.
In questo giorno di Pentecoste, come la Vergine dobbiamo, aprirci totalmente a questo Dono di Dio, accoglierlo in noi, perché tutta la nostra umanità sia attratta, assunta dal Verbo, divenga un solo corpo col Cristo e, vivendo, in una sola vita con Cristo Signore, tutta la nostra vita sia trasfigurata, divenga puro amore: amore per Iddio e amore per i fratelli.
Perché la Pentecoste si rinnovi in noi oggi, dobbiamo essere meno “affannati” per le attività da fare e più dediti alla preghiera, perché più saremo uniti a Dio, più saremo uniti fra di noi nel cenacolo della Chiesa, la quale proclama che Cristo è il centro del mondo.
Se, con l’aiuto dello Spirito Santo, passiamo da Babele dell’egoismo a Pentecoste dell’Amore, ci “decentreremo da noi stessi per ricentrarci su Dio” (cfr. Pierre Teilhard de Chardin) e vivremo “aggregati1” in comunione lieta e forte.
Lo Spirito Santo con il suo dono compone in unità l’essere umano, come già insegnava sant’Ireneo: “L’uomo è sfuggito alle mani di Dio col peccato, ma ecco le mani di Dio riprendono l'uomo e lo plasmano nuovamente e le mani di Dio sono il Verbo e lo Spirito Santo”. Queste mani devono prendere anche ciascuno di noi per modellarci di nuovo secondo l’immagine di Dio, per ridonarci unità. “Dispersi, divisi interiormente è per l’amore di Dio e nell’amore di Dio che saremo ricomposti in perfetta unità, sì che il nostro corpo risponda allo spirito, sì che la legge del nostro corpo non contrasti la legge del nostro spirito e tutto l'essere nostro consumi nella lode divina, nell'amore” (Divo Barsotti).

2) La Pentecoste di e con Maria.
San Luca descrive con cura il nucleo della prima comunità in attesa della Pentecoste: “Tutti questi (gli undici apostoli) erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, madre di Gesù, e con i fratelli di lui” (At 1,14). Dunque, quattro sono le categorie di persone presenti nel Cenacolo il giorno di Pentecoste.:

Gli apostoli, che sono le colonne portanti della Chiesa nascente. Loro, che hanno incontrato Gesù risorto in Galilea (cfr. Mc 14,27-28), sono ritornati a Gerusalemme per attendere lo Spirito secondo la promessa di Gesù durante l’ultima cena (cfr. Lc 24,42-49; At 1,4-5).
Le donne. E’ probabile che si tratti delle donne nominate da San Luca nel Vangelo come presenti alla crocifissione, sepoltura e risurrezione di Gesù (Lc 8,1-3; 23,49.55; 24,10). Il gruppo delle pie donne non è stato meno sensibile del resto della prima Assemblea di Pentecoste, alla discesa di quel Dio che si è mostrato come fuoco. L’amore che le trattenne ai piedi della croce di Gesù e che le condusse, per prime, al Sepolcro nel mattino di Pasqua, si è acceso di nuovo ardore. La lingua di fuoco si è fermata sopra ciascuna ed esse pure saranno eloquenti nel parlare del Maestro agli Ebrei ed ai Pagani.
Maria è la sola donna presentata con il suo nome e con la sua funzione: “Madre di Gesù”. Con la sua presenza, che testimonia la realtà storica dell'incarnazione, è l’elemento di continuità tra la nascita di Cristo e la nascita della Chiesa, ambedue opera dello Spirito.
I fratelli di Gesù, cioè i suoi parenti, che sono passati da un’iniziale incredulità alla fede nel Risorto, soprattutto quando questi appare a Giacomo, come ricorda San Paolo (cfr. 1Cor 15,7). Allora il lutto familiare per la morte di Gesù si trasforma in gioia pasquale.

Ma è sulla presenza della Vergine Maria, Madre di Cristo, nel cenacolo il giorno della Pentecoste che vorrei condividere ulteriori, brevi riflessioni.
Immaginiamo di essere presenti nel Cenacolo e  Maria, più che mai “Piena di Grazia”. Come il giorno dell’Annunciazione è ricolma di Spirito Santo: “Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo” (Lc 1,35), così il giorno di Pentecoste lo Spirito Santo “stende la sua ombra” sulla Chiesa nascente, perché sotto il suo soffio essa riceva la forza di “annunziare le grandi opere di Dio” (cfr. At 2,11). Ciò che nell'incarnazione era avvenuto nel grembo di Maria, trova ora una sua nuova attuazione2.
Una nuova missione inizia per la Madre di Cristo. Possiamo dire che in questo giorno: la Chiesa è generata da Lei. Da Maria nasce al mondo la Sposa del suo Figlio e nuovi doveri l’aspettano. Gesù è ormai asceso al Cielo ed ha lasciato sua Madre sulla terra, affinché prodigasse le sue cure materne alla Chiesa nascente, suo Corpo mistico. E’ commovente e consolante sapere che la Chiesa nascente è accolta nelle braccia di Maria, nutrita da lei, sostenuta dal suo appoggio già dai primi passi nel mondo. La lingua di fuoco, che si è posata sul capo della Madonna, non la farà parlare in pubblico, ma la farà parlare agli Apostoli, guidandoli e consolandoli nella loro missione di evangelizzatori.
La Vergine Maria, Madre di Cristo e della Chiesa (il 3 marzo 2018 Papa Francesco ha stabilito che si celebri la memoria obbligatoria della Beata Vergine Maria Madre della Chiesa ogni lunedì di Pentecoste), si dedica tutta a questa nuova, materna missione. La nuova festa liturgica voluta da Papa Francesco accresca la crescita del senso materno della Chiesa.
In questo contesto, ci siano di esempio le Vergini consacrate che con il completo dono di se stesse a Cristo e con una vita esemplare vivono una maternità spirituale nella gioia: “Gioite, vergini di Cristo: la madre di Cristo è vostra sorella. Non avete potuto essere madri di Cristo nella carne, ma non avete voluto essere madri per amore di Cristo. Colui che non è nato da voi è nato per voi. Tuttavia se ricordate le sue parole - e dovete ricordarle - anche voi siete madri sue, perché fate la volontà del Padre suo” (Sant’Agostino, Discorso 192).
E’ una maternità spirituale vissuta nel servizio di carità e nella preghiera, che è dialogo. In effetti, nel dialogo con Dio si aprono al dialogo con tutte le persone che loro incontrano e delle quali sono madri, madri dei figli di Dio (cfr. Rito della Consacrazione delle Vergini, 29).


1  In effetti, San Tommaso d’Aquino chiama l’amore di Dio aggregativo e quello di sé disgregativo. “L’amore di Dio è aggregante in quanto riporta il desiderio dell’uomo dalla molteplicità a un’unica cosa; l’amore di sé invece disperde, disgrega il desiderio umano nella molteplicità delle cose. Infatti l’uomo ama se stesso desiderando per sé i beni temporali che sono molti e diversi” (Summa Theologica, II-IIae, q. 73, a. 1, ad 3).


2  Nell’Enciclica Redemptoris Mater al numero 24 San Giovanni Paolo II sottolinea il ruolo della Vergine Maria nella nascita della Chiesa e lascia intravedere una continuità della maternità di Maria: «Nell'economia della grazia, attuata sotto l'azione dello Spirito Santo, c'è una singolare corrispondenza tra il momento dell'incarnazione del Verbo e quello della nascita della Chiesa. La persona che unisce questi due momenti è Maria: Maria a Nazareth e Maria nel cenacolo di Gerusalemme. In entrambi i casi la sua presenza discreta, ma essenziale, indica la via della nascita dallo Spirito. Così colei che è presente nel mistero di Cristo come madre, diventa - per volontà del Figlio e per opera dello Spirito Santo - presente nel mistero della Chiesa



Lettura patristica
Sant’Agostino d’Ippona (354 - 4309
Sermo 267

La molteplicità delle lingue non è più necessaria
       Che forse non c’è lo Spirito Santo? Chi pensa così non è degno di riceverlo. C’è e adesso. Perché, allora, nessuno parla tutte le lingue, come quella volta coloro che ne furono ripieni? Perché? Perché ciò che quel fatto voleva significare, ora si è compiuto. E che cosa è questo? La Chiesa allora era tutta in una sola casa, ricevette lo Spirito Santo: era solo in pochi uomini, ma era nelle lingue di tutto il mondo. Ecco che cosa voleva dire quel fatto. Che quella piccola Chiesa parlasse le lingue di tutte le genti; infatti, che cosa è se non questa realtà di questa nostra Chiesa, che da oriente a occidente parla con le lingue di tutti i popoli? Oggi si avvera ciò che allora si accennava. Sentimmo, vediamo. "Senti, figlia, e vedi" (Ps 44,11); fu detto: Ascolta la promessa, vedine l’adempimento. Il tuo Dio non ti ha ingannato, non ti ha ingannato il tuo Sposo, non ti ha ingannato colui che ti ha fatto la dote col suo sangue; non ti ha ingannato colui che da brutta ti ha fatto bella e da immonda ti ha fatto vergine immacolata. A te stessa tu sei stata promessa; promessa in pochi, adempita in molti.


San Girolamo (347 – 419/420)
Epist, 82, 2


La pace frutto della carità

       Non è davvero una nobile impresa reclamare la pace a parole e distruggerla a fatti. Si dice di tendere a una cosa e se ne ottiene l’effetto contrario! A parole si dice: andiamo d’accordo!, e di fatto, poi, si esige la sottomissione dell’altro.


       La pace la voglio anch’io; e non solo la desidero, ma la imploro! Ma intendo la pace di Cristo, la pace autentica, una pace senza residui di ostilità, una pace che non covi in sé la guerra; non la pace che soggioga gli avversari, ma quella che ci unisce in amicizia!


       Perché diamo il nome di pace alla tirannia? Perché non rendiamo ad ogni cosa il suo nome appropriato? C’è odio? Allora diciamo che c’è ostilità! Solo dove c’è carità diciamo che c’è pace! Io la Chiesa non la lacero, no! E neppure mi taglio fuori dalla comunione dei Padri! Fin da quand’ero in fasce, se posso esprimermi così, sono stato nutrito col latte del cattolicesimo. E penso che nessuno appartiene di più alla Chiesa di chi non è mai stato eretico. Non conosco, però, una pace che possa fare a meno della carità, o una comunione che possa prescindere dalla pace. Nel Vangelo leggiamo: "Se stai offrendo la tua offerta all’altare e lì  ti viene in mente che un tuo fratello ha qualcosa contro di te lascia lì l’offerta, davanti all’altare, e va’ prima a riconciliarti con tuo fratello; poi ritorna pure a fare la tua offerta" (Mt 5,23-24).


       Se quando non siamo in pace non possiamo fare la nostra offerta, pensa tu, a maggior ragione, se possiamo ricevere il Corpo di Cristo! Che razza di coscienza è la mia se rispondo "Amen" dopo aver ricevuto l’Eucaristia di Cristo, mentre invece dubito della carità di chi me la porge?

Fonte:http://francescofolloit.blogspot.it/

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