Padre Paolo Berti, “Prendete, questo è il mio corpo...Questo è il mio sangue...”

Corpus Domini             
Mc 14,12-16.22-26 
“Prendete, questo è il mio corpo...Questo è il mio sangue...”

Omelia

Visto che spessissimo parliamo di Vecchio Testamento e di Nuovo Testamento sarà bene sapere che cosa si intende dire con tali espressioni. La parola testamento venne introdotta nel linguaggio biblico dalla traduzione dei libri Veterotestamentari in greco (la traduzione dei LXX), che rese il significato della parola ebraica “berit” (alleanza) con la greca “diathèke” (testamento). La spiegazione del suo uso la troviamo nella lettera agli Ebrei (9,16), dove si dice che un testamento, cioè un atto in cui una persona dichiara le disposizioni che andranno osservate, ha valore quando c'è la morte del testatore. Dunque, il Nuovo Testamento prende l'avvio dalla morte salvifica di Cristo, dal suo sangue versato; anche il Vecchio Testamento prese l'avvio, dice la lettera (9,18), dal sangue, ma da quello di tori e di capri.
L'alleanza - “il testamento” - venne stabilita da Dio con il suo popolo nel segno del sangue. Mosè lesse al popolo il libro dell'alleanza, quindi, dopo il sì del popolo. “Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto”, l'asperse col sangue di un sacrificio di giovenchi. L'alleanza non era un patto bilaterale per un qualcosa, come nelle contrattazioni tra gli uomini, ma un'offerta d'amore da parte di Dio per un incontro stabile, eterno, retto da un'elezione gratuita. Il popolo venne asperso dal sangue del sacrificio quale segno di purificazione, “nella carne” poiché ancora lo spirito rimaneva soggetto alla colpa originale. La vittima animale, sostituiva l'uomo (Cf. Lv 17,11), che peccando si era reso reo di morte, ma che, nello stesso tempo, Dio voleva salvo.
Questo per l'alleanza del Sinai, ma sull'orizzonte Dio presentò una nuova alleanza, un'eterna alleanza (Cf. Is 42,6; 49,8; Ger 31,31; Ez 37,26) stabilita in colui che doveva venire, chiamato anche “Angelo dell'alleanza” (Ml 3,1). Lo Spirito rivelò che la nuova futura alleanza, l'alleanza dei tempi messianici, sarebbe stata siglata con un sangue veramente capace di togliere i peccati, non come quello di capri e giovenchi (Ps 39,6-7; Eb 10,5). Così Davide previde nei salmi le sofferenze del Messia e la sua risurrezione (Cf. At 2,25.31), così Isaia presentò le ferite del servo di Jahvéh (Is 50,6; 52,14; 53,5), poiché “senza spargimento di sangue non esiste perdono” (Cf. Eb 9,22).
Nel Vecchio Testamento il Sommo sacerdote entrava una volta all'anno nel santo dei santi con il sangue di animali che veniva asperso sul coperchio dell'arca per l'espiazione annuale dei peccati del popolo.
La lettera agli Ebrei presenta Cristo quale sommo sacerdote che entra nel santuario celeste con il proprio sangue. La croce è l’altare, la vittima è Cristo, il sacerdote è Cristo, il sangue è il suo, il valore del sacrificio è infinito, il santo dei santi è il cielo.
Come il Sommo sacerdote entrava nel santo dei santi passando attraverso il santo, così Cristo entrò nel santuario celeste passando attraverso “una tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano d'uomo”, cioè attraverso il cielo stellare, il secondo cielo; essendo il primo quello atmosferico e il terzo il Santuario celeste.
Cristo salendo al Cielo, non ci ha lasciati, ma rimane presente nell'Eucaristia, che permette ad ogni battezzato di entrare in contatto con lui, di unirsi a lui per formare con lui, nell'azione santificatrice dello Spirito Santo, “un sacrificio perenne” (IV preghiera eucaristica) gradito al Padre. Un contatto segnato dal mangiare il suo Corpo e bere il suo Sangue.
Nell'alleanza stabilita ai piedi del Sinai il sangue veniva asperso sul popolo ora il Sangue, il Sangue della nuova ed eterna alleanza, è fatto bere a significare che l'uomo è purificato non più esternamente, ma intimamente: anima e corpo. Rigenerato nel Battesimo, e reso perciò tempio dello Spirito Santo, il credente mangiando il Corpo del Signore e bevendo il suo Sangue, accede nel suo cuore ad un'intimità profondissima con Cristo. Nella Comunione riceviamo Cristo in stato di vittima, cioè con gli stati interni che aveva sulla croce. Dice la lettera agli Ebrei (10,14): “Con un'unica offerta egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati”. “Con un'unica offerta”, e perciò sull'altare non si ha una nuova oblazione di Cristo, ma la rinnovazione dell'unica oblazione della croce. E noi, rigenerati in Cristo, siamo stabilmente uniti a lui; solo un nostro infelice no ci può separare da Cristo. E' un'opera in crescita. Ad ogni Comunione ben fatta si ha un crescita nella nostra conformità a Cristo. Chi mangia il Corpo e beve il Sangue del Signore, diventa conforme a Cristo nel suo amore al Padre e agli uomini. Facendo la Comunione riceviamo Cristo nell'atto supremo del suo amore che ebbe sulla croce. Riceviamo lui che intercede per noi presso il Padre affinché lo Spirito Santo scenda con sempre maggiore pienezza nei nostri cuori. Riceviamo lui che vogliamo amare, per farlo felice con il nostro amore. Lo Spirito Santo è il dono che procede dal Padre per mezzo del Figlio, vittima di espiazione per noi. Egli, lo Spirito Santo, è sceso nel nostro cuore nel Battesimo e poi, quale forza di testimonianza, nella Cresima; anche in ogni Comunione egli viene ad arricchirci, e lo fa nella misura che ci vede disposti ad essere veramente uniti a Cristo, di Cristo, cioè nella volontà di essere in Cristo “un sacrificio gradito al Padre” (Cf. IV preghiera eucaristica). Ogni grazia ha come fonte Cristo, infatti ci dice Giovanni (Gv 1,16) “dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia”. La grazia di essere salvati dalla morte del cuore, di essere diventati in lui figli adottivi del Padre; la grazia della inabitazione dello Spirito Santo e, poiché dove è Uno sono anche gli altri Due, di tutta la Trinità; la grazia delle sue Parole di vita e dei suoi esempi; la grazia dell'appartenenza alla Chiesa; la grazia dei sette doni comunicati dallo Spirito Santo e la grazia delle sue incessanti luci e ardori per comprendere Cristo e amare Cristo, ed essere, nell'esempio di Cristo, nella forza delle Parole di Cristo, fiamma d'amore per tutti gli uomini.
La forza del servizio dell'apostolo sta nella carità. La carità rende di fuoco la parola; la carità la rende dolce, forte, decisa, incisiva, laudante, veemente. La carità è la forza che spinge l'apostolo, gli apostoli, tutti quelli che vogliono servire Cristo uscendo dal piccolo guscio del loro privato, del loro quieto vivere. La carità é il fuoco veemente che lo Spirito Santo ha riversato e riversa nei nostri cuori (Cf. Rm 5,5) se ci uniamo a Cristo nella volontà di essere con lui un solo spirito. La forza dell'apostolo ha come sorgente l'Eucaristia; ha come sorgente il Cuore di Gesù, poiché l'Eucaristia è dono del Cuore di Gesù. Da quella sorgente, visivamente aperta dal colpo di lancia nel costato di Cristo, procede ogni pace, ogni luce, ogni ardore. Amen. Ave Maria, che con tuo sì hai dato carne e sangue al Verbo eterno della gloria, nel quale abbiamo la fonte di ogni grazia. Vieni, Signore Gesù.

Fonte:http://www.perfettaletizia.it/

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