Alessandro Cortesi op, Commento XIII domenica tempo ordinario – anno B – 2018
XIII domenica tempo ordinario – anno B – 2018
Sap 1,13-15; 2,23-24; 2Cor 8,7.9.13-15; Mc 5,21-43
“Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutte le cose perché esistano; le creature del mondo sono portatrici di salvezza, in esse non c’è veleno di morte”
Non c’è veleno di morte nelle cose. Queste recano l’impronta di una benedizione che le rende portatrici di salvezza. La riflessione sapienziale cerca di leggere nella realtà del mondo il segno della presenza di Dio: scorge una bontà di fondo connessa alla radice profonda di ogni cosa e legge questa bontà come derivante da una sorgente di vita buona. C’è una benedizione che sta alla radice e che viene da una volontà di bene propria del Dio amante della vita. E tuttavia l’esperienza pone davanti anche le forze della morte che contraddicono e deturpano ogni bellezza. Ma tale costatazione non conduce ad attribuire a Dio stesso progetti di rovina per i viventi, ma a ribadire che il suo è disegno di amore e di vita. Dio non gode della rovina, la sua presenza è di bontà e di salvezza: tutto ciò che è espressione del male suscita una domanda aperta che tale rimane e non accetta facili soluzioni. Ma essa non può far venire meno, nell’affidamento a Lui, la certezza fondata sulla sua Parola e sulla promessa che il Dio della vita rimane fedele al suo dono di alleanza.
Gesù ha manifestato nei suoi gesti il volto di Dio della vita: nel suo agire si è posto in deciso contrasto nei confronti di ogni forza di morte e di malattia. Due donne sono al centro di due episodi riportati nella pagina di Marco: la figlia di Giairo di soli dodici anni, e una donna segnata dalla sofferenza di un’infermità prolungatasi negli anni. Al centro sta la fede che viene riconosciuta da Gesù come forza di salvezza.
Giairo si getta ai piedi di Gesù e ‘lo pregava con insistenza’. Gesù lo invita: ‘Non temere continua solo ad aver fede’. Gesù giunge alla sua casa. Risponde alla richiesta insistente, decide di essere presente: il suo stile è quello di andare e visitare. Nella casa rivolge alla figlia di Giairo la parola: ‘Talità kum, Io ti dico alzati’: è questo già annuncio efficace della risurrezione. La risurrezione è infatti ‘alzarsi dalla morte’. Tutti i parenti sono presi da stupore, come nel racconto di Marco lo saranno i testimoni della risurrezione. In questo incontro Marco presenta un grande annuncio: nei gesti di Gesù è presente la forza della risurrezione quale vittoria sul potere della morte. Gesù rende partecipi coloro che a lui si affidano con tutto il cuore del movimento della sua risurrezione.
Una donna senza nome, di cui si descrive solo la malattia e il timore si avvicina a Gesù. Impaurita aveva cercato di toccare il suo mantello. Mentre la folla attorno a lui lo premeva da ogni lato Gesù si accorge che qualcuno lo aveva toccato. E’ un tocco particolare, non è come quello di chi lo spinge: è un lambire la sua veste, il suo mantello nell’attesa di chi si affida. Gesù la riconosce e le dice ‘Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male’. Riconosce la fede di quella donna come forza di salvezza. Nel tentativo di toccare il suo mantello quella donna ha raccontato la semplicità della fede e la profondità di un consegnarsi. Ha compreso che Gesù proprio nel suo cammino di povertà è più forte della malattia che esclude ed emargina. E Gesù risponde a questo sincero desiderio d’incontro. La fede è ben altro rispetto all’esaltazione della folla che cerca miracoli. E’ piuttosto incontro personale, affidamento profondo e nascosto e si fa strada nella ricerca sofferta, nel cuore di chi consegna a Gesù la propria vita e cerca un contatto personale con lui. Fede è così far propria la scelta di povertà di Gesù.
Paolo ai Corinti e alle chiese della Macedonia chiede di organizzare una colletta per aiutare la comunità di Gerusalemme che vive un momento di difficoltà. A Corinto era stato deciso l’invio di un aiuto economico ma l’organizzazione della colletta procedeva con lentezza: per questo Paolo invia Tito suo collaboratore con altri due per sollecitare e portare a compimento quell’opera (2Cor 8,6). Questo gesto di aiuto diviene motivo per presentare i motivi di fondo che determinano lo stile di rapporti cristiani tra le comunità e le persone.
La situazione dell’altro, anche lontano, nella difficoltà, costituisce un appello a condividere. Redistribuire i beni, fare uguaglianza, prendersi cura di chi ha meno sono richieste derivanti dal vangelo. Paolo ricorda che quest’opera generosa è per mettere alla prova la generosità dell’amore (agape). La colletta non è solamente un gesto di elemosina. La motivazione di questo gesto sta nel riferimento a Cristo. Ne è in gioco il rapporto con lui: “Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà”
L’uguaglianza che si realizza con il gesto della colletta costituisce così un’esperienza della grazia “Qui non si tratta di mettere in ristrettezza voi per sollevare gli altri, ma di fare uguaglianza”. Paolo suggerisce di scoprire la relazione nuova a cui apre l’incontro: dare e ricevere non sono a senso unico. Per gli uni significa condivisione di beni materiali, ma chi dà si trova investito di un dono; riceve un altro tipo di beni. Non si tratta quindi di un impoverimento ma di aprirsi allo scambio dei doni. E’ il miracolo della gratuità. Paolo parlando di questo scambio rinvia all’evento dell’incarnazione: ‘Da ricco che era si è fatto povero perché voi diventaste ricchi…’. L’incontro con Gesù, la fedeltà alla sua incarnazione si attua nelle relazioni di solidarietà e di condivisione.
Alessandro Cortesi
Fonte: alessandrocortesi2012
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