Don Marco Ceccarelli, Commento XIII Domenica Tempo Ordinario “B” – 1 Luglio 2018
I Lettura: Sap 1,13-15; 2,23-24
II Lettura: 2Cor 8,7.9.13-15
Vangelo: Mc 5,21-43
- Testi di riferimento: Gen 17,17; 18,12-13; 21,6-7; Lv 12,7; 15,19-27; Sal 16,10; 40,3; 56,14;
88,11-12; 116,8; 71,20; Is 38,17; Ag 2,12-13; Mc 1,41; 3,10; 6,56; 12,24; Lc 13,16; Gv 5,24-25; At
9,39-40; 10,38; 16,31; 17,32; 20,10; Rm 4,17
1. La fede in Gesù. Nel lungo brano del Vangelo odierno abbiamo due miracoli di Gesù di cui soltanto
uno è voluto, perché l’altro – diciamo così – gli è “rubato” senza, apparentemente, la sua volontà.
Ma in entrambe le situazioni troviamo aspetti comuni. Sia la donna che la fanciulla si trovano
in una situazione disperata: una non ha risolto il suo problema né per mezzo della religione, né con
la medicina, né con i suoi beni, e sta andando senza rimedio (“peggiorando”) incontro alla morte;
mentre l’altra addirittura muore. Inoltre in entrambi i casi Gesù entra in contatto con l’impurità; la
donna che ha un permanente flusso di sangue tocca Gesù, mentre egli stesso tocca il cadavere della
fanciulla. Ma soprattutto in entrambi gli episodi si ha a che fare con la fede in Gesù. Credere in Gesù
non significa semplicemente credere che egli possa compiere il miracolo. In Mc la fede in Gesù
implica – come si è visto nel Vangelo della domenica scorsa – riconoscere la sua vera identità, riconoscere
in lui Dio stesso. Per questo sia il capo della sinagoga che la donna impura dopo aver ricevuto
il miracolo, devono ancora arrivare al vero fine di quel miracolo che è riconoscere la vera identità
di Gesù.
2. La donna che tocca Gesù.
- La malattia di cui soffre la donna la pone in uno stato di impurità. Questa condizione implica una
separazione dagli altri per non causare una contaminazione. Secondo le norme religiose del tempo,
quando una donna era in stato di impurità per la perdita di sangue, il contatto non solo con lei ma
anche con tutto ciò che lei aveva toccato rendeva ugualmente impuri (Lv 15,19-27). Questa donna,
poiché soffre di un flusso di sangue continuo, si trova in uno stato di impurità permanente, una condizione
simile a quella del lebbroso descritto in Mc 1,40-42. Però, a differenza del lebbroso, che era
costretto a segnalare la sua malattia e quindi non poteva avvicinarsi alla gente, la donna del Vangelo,
potendo in qualche modo nascondere la sua condizione, riesce a stare in mezzo alla folla. Tuttavia
quello che lei fa è del tutto illecito. Ella “contamina” le persone che vengono in contatto con lei,
anche se esse non ne sono consapevoli; e contamina anche Gesù che intenzionalmente tocca. Però al
momento di questo gesto avvengono due cose inaspettate. In primo luogo Gesù si rende conto di
questo “tocco”, che non è come quello delle altre persone intorno che ugualmente lo toccavano. C’è
un tocco che costringe la “potenza” di Gesù ad entrare in azione. In secondo luogo la donna è guarita
da quel tocco. Quindi c’è sì attraverso quel contatto una trasmissione, ma non dalla donna a Gesù,
bensì il contrario. La donna viene guarita dal suo stato di impurità perché, siccome Gesù è il “Santo
di Dio” (Mc 1,24) – e la santità è ciò che si oppone alla impurità – tale santità vince l’impurità della
donna. I nostri peccati non contaminano Dio; contaminano soltanto noi stessi e gli altri.
- Quanto appena detto costituisce qualcosa di nuovo. Secondo Ag 2,12-13 l’impurità si trasmette
per contatto, mentre la santità no. Per questo in Lv 12,4 si afferma che una donna in stato di impurità
non può toccare alcuna cosa santa. Capiamo così la “sfrontatezza” di questa donna che addirittura
va a toccare il “Santo di Dio”. Eppure nel contatto fra la donna impura e Gesù, cioè Dio stesso –
perché è questo che Mc ci vuole ancora una volta far capire – è la santità di Dio a prevalere. La santità
divina è più forte di ogni impurità umana. La “potenza” uscita da Cristo (v. 30) è il suo Spirito
Santo che guarisce le nostre infermità. Anche se da noi “esce” l’impurità, perché è da dentro l’uomo
cioè dal suo cuore che escono i peccati (Mc 7,20-23), da Gesù esce qualcosa che è più forte dei nostri
peccati. La santità divina ha potere di rendere santi i più impuri degli impuri, i più peccatori dei
peccatori, quelli che sono condannati ad impurità, a schiavitù al peccato per tutta la vita (Eb 2,15),
perché la santità di Dio è più forte dei nostri peccati. Se lo crediamo.
- Non basta toccare Gesù per essere guariti. La folla lo pressava e tanti lo toccavano, ma soltanto
quella donna è stata guarita, a motivo della sua fede. È la fede che “costringe” lo Spirito Santo ad
uscire da Gesù. È la fede che può lì dove le risorse umane non possono. È la fede nel fatto che «in
Cristo abita corporalmente tutta la pienezza della divinità» (Col 2,9) e che noi possiamo avere «in
lui parte alla sua pienezza» (Col 2,10). La fede della donna si è manifestata nel coraggio che ha avuto
di superare tutti gli ostacoli per andare da Gesù (cfr. Mc 2,5; 10,52). Nessun peccato, nessuna
impurità deve essere un ostacolo per rivolgerci a Cristo, se vogliamo veramente essere guariti.
3. La bambina che “dorme”.
- Il riso (v. 40). Non sappiamo se l’episodio della donna abbia impedito a Gesù di arrivare in tempo
alla casa del capo della sinagoga prima che la figlia morisse. Di fatto ormai ella è morta, e perciò
consigliano all’uomo di non disturbare più Gesù. “Finché c’è vita c’è speranza”: questa è la prospettiva;
nel senso che nel momento in cui sopraggiunge la morte ogni speranza svanisce. Ma Gesù non
si ferma nemmeno davanti alla morte. Davanti alla constatazione della morte della ragazza da parte
delle persone presenti, Gesù afferma che ella “dorme”. Questo provoca un riso che nel contesto non
può che essere di scherno e forse anche di insulto (come avranno inteso questa affermazione fatta in
un momento così tragico?). Tale riso esprime la reazione beffarda davanti a ciò che si reputa incredibile,
assolutamente impossibile da verificarsi (vedi testi di riferimento). Ed è assolutamente incredibile
che un morto stia dormendo. Tante volte – anche se non esplicitamente – ce ne ridiamo delle
affermazioni di Cristo, della Chiesa, riguardo la vita eterna, la risurrezione, le realtà ultime. Il fatto
è che spesso, anche per i cosiddetti credenti, la morte si presenta come una realtà invincibile, come
la fine di tutto. L’annuncio di Cristo: «la bambina non è morta, ma dorme» (v. 39), rivela che la
realtà delle cose è diversa da come era stata annunciata dai messaggeri («tua figlia è morta»: v. 35).
La morte non è la fine di tutto, ma lascerà il posto a qualcos’altro, come il sonno lascerà il posto a
un risveglio (cfr. Gv 11,11). Ed è la fede che ci permette di vedere che le cose stanno proprio come
rivela Gesù.
- Gesù contesta quelle scene di lutto (v. 38) tipiche della cultura del tempo, non perché siano sbagliate
in sé, ma perché non si può far lutto mentre lo sposo è presente (Mc 2,19). E lo sposo divino è
ora presente in Cristo. La fede che Gesù richiede al padre della ragazza è quella nella potenza di
Dio, il quale è presente in Gesù stesso. La morte è considerata come il massimo potere. Se mentre la
fanciulla era viva si poteva sperare in un miracolo, dopo la morte non c’è più speranza nemmeno
nel miracolo (5,35), perché essa appare come la fine di tutto. Di fatto esistono situazioni che riteniamo
impossibili da cambiare anche per Dio: «Compi tu forse prodigi per i morti?» (Sal 88,11);
ma niente è impossibile per Dio (Lc 1,37). Invece la potenza di Dio si manifesta pienamente nel ridare
la vita ai morti (Mc 12,24).
4. I due miracoli, come al solito, sono segno di qualcosa di più grande che Gesù è venuto a portare.
Gesù elimina il male prendendolo su di sé. Il contatto con le due donne in stato di grave impurità sta
a dire che Gesù si carica del nostro peccato per eliminarlo. Se egli dice alla donna: «Va in pace
(shalom), e sii guarita dal tuo male» (v. 34), dopo che lei era già stata guarita dalla perdita di sangue
(v. 29), significa che riceve un altro “shalom”, un’altra guarigione, di cui la prima era soltanto un
simbolo. Se Gesù afferma che la bambina non è morta ma dorme, e quindi che la morte fisica non è
la fine di tutto perché Dio ha potere di restituire la vita ai morti, significa che esiste una morte peggiore
dalla quale abbiamo bisogno di essere salvati. Esiste una impurità che è il peccato e che produce
una perdita di vita, una incapacità di prolungare la vita, una morte che è già presente dentro la
nostra esistenza. Cristo si è fatto carico dell’impurità degli uomini, l’ha presa su di sé; «egli si è preso
le nostre malattie, si è addossato i nostri dolori» (Mt 8,17). Infatti Dio «lo ha reso peccato per noi
perché noi potessimo diventare giustizia di Dio» (2Cor 5,21) e “camminare” (Mc 5,42) in una vita
nuova (Rm 6,4). Gesù però ha restituito alle due donne non solo la vita, ma anche la capacità di dare
la vita (come il riferimento per entrambe ai dodici anni sembra suggerire).
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