don Marco Pedron,"Non tutto dipende da te"

Non tutto dipende da te
don Marco Pedron
XI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) 
  Visualizza Mc 4,26-34
Riprende la lettura del vangelo di Mc. Ci troviamo nel capitolo 4 e in questo capitolo Mc presenta varie parabole sul seme e sulla crescita.

Per capire le due parabole di oggi dobbiamo tornare indietro.

All'inizio di questo capitolo Mc presenta la famosa parabola del seminatore e dice (Mc 4,13): "Se non comprendete questa parabola, come potrete capire tutte le altre parabole?". Cioè, come a dire che questa parabola racchiude il senso di tutte le altre parabole. Ma perché? Cosa dice questa parabola?

Nella parabola del seminatore (Mc 4,1-9) Gesù ci presenta un uomo, un seminatore che semina il suo seme. Ci sono quattro terreni: sui primi tre (la strada, i sassi e le spine) il seme non riesce a crescere. Magari all'inizio un po' cresce, sboccia, ma poi secca. Solamente sul quarto terreno porta frutto e ne porta tanto.
Ma chi è quel seminatore? E' Gesù!

Gesù infatti in Mc ha appena iniziato il suo insegnamento pubblico, ma quali sono le reazioni? Gli scribi e le autorità rifiutano il suo insegnamento (seme) e gli dicono: "E' posseduto da uno spirito immondo" (Mc 3,30). I suoi familiari, sua madre e i suoi fratelli, lo rifiutano e gli dicono: "E' pazzo; è fuori di sé" (Mc 3,21). Solo alcuni delle folle, della gente, lo ascolta col cuore e lo segue.

Allora: il seme è uguale per tutti. Non è il vangelo, non è il messaggio di Gesù che è diverso, ma sono i cuori, la profondità, l'interiorità delle persone che fanno la differenza.

I terreni sono i presupposti, le resistenze, delle persone. E' per questo che Gesù spesso chiedeva alle persone: "Vuoi guarire?". Cioè: "Sei disposto ad accettare le conseguenze della guarigione? Sei disposto a fare ciò che si deve fare, a cambiare ciò che si deve cambiare? Sei disposto a perdere ciò che c'è da perdere? A lasciare ciò che c'è da lasciare?".

Il primo terreno è la strada (Mc 4,4). La strada è il terreno che i contadini fanno per entrare nel campo. A forza di camminarci la strada diventa un sentiero duro e più niente può nascere.

La strada è quando il cuore diventa duro, insensibile, impenetrabile. Allora il seme non può nascere; allora il vangelo non può più attecchire; allora la vitalità non può più fiorire. La persona continua a vivere ma in realtà è un sopravvivere.

Il nostro cuore sé fatto per amare: quando è amato si apre come un fiore che si apre al sole. E' normale per il nostro cuore aprirsi alla vita e all'amore. Ma cosa succede se deve soffrire? Cosa succede se vive in una situazione di sofferenza continua, di svalorizzazione, di attacco, di pericolo? E' chiaro, deve chiudersi. E se la sofferenza che ha attorno è molta deve chiudersi così tanto, deve barricarsi così tanto, che diventa duro e impenetrabile.

Un uomo veniva sempre umiliato da piccolo: "Non capisci niente! Ma cosa vuoi sapere tu! Piccolino!...". Lui non poteva mai parlare, mai dire la sua e quando apriva bocca sbagliava sempre. Ora tutto questo è doloroso per un bambino: si sente ferito da chi dovrebbe amarlo. Poiché un bambino non può andarsene da casa e non può vivere senza i genitori, e poiché lì dov'è viene continuamente umiliato, l'unica soluzione che ha è diventare insensibile. Oggi è diventano un uomo duro, insensibile. Cosa vorrebbe dire per lui aprirsi? Vorrebbe dire aprirsi alle emozioni, alla vitalità, alla Vita. Ma se facesse questo tornerebbe a galla anche tutto il dolore che ha dentro. Da una parte la sua durezza gli impedisce di vivere: lui pensa, ma non sente, non gode della vita. D'altra parte la sua durezza è la strategia che ha trovato per difendersi. Aprirsi vorrebbe dire soffrire. Non aprirsi vuol dire fuggire alla sofferenza. Che si fa?

Nel vangelo la strada sono le autorità religiose: si sono così induriti che non possono accettare il messaggio di Gesù. Cosa accadrebbe se lo accettassero? Dovrebbero lasciare le loro certezze; dovrebbero dire: "Crediamo in un Dio sbagliato; abbiamo impostato male la nostra vita e la dobbiamo cambiare del tutto; dobbiamo perdere tante nostre certezze religiose". Se lo facessero, tutto cambierebbe: lo possono davvero?

Per questo per il vangelo la persona più sfortunata è il ricco: poiché è così attaccato alle sue cose e alle sue idee (certezze), lui non può perderle e si aggrappa a loro anche se sono false. E' tutto quello che ha!

C'erano due vecchiette, Elisabeth e Mary, che dicevano che solo loro sarebbero andate in paradiso. Un giorno, un giornalista, incuriosito dalla cosa, andò a intervistare una delle due, Elizabeth. Le disse: "Ma proprio nessuno a parte lei e Mary andrà in paradiso?". "No, nessuno!". "Ma neanche Madre Teresa, Papa Wojtyla". "No!". "Solo lei e la sua amica Mary?". "Beh, adesso che mi ci fa pensare, non so se ci andrà la mia amica Mary".

L'altro terreno sono i sassi (Mc 4,5). Il terreno della Palestina è molto sassoso. A volte il seme attacca, ma se non c'è molta terra, rimane bruciato "subito".

Il problema qui è la mancanza di profondità, di radicamento. C'è entusiasmo ma non radicamento.

Nel vangelo i sassi sono rappresentati dal giovane ricco (Mt 19,16-22). Veramente quel giovane aveva desideri, sogni e aspirazioni pure e vere. Veramente voleva seguire il Signore. Veramente! Ma poi cosa succede? Succede che quando Gesù gli chiede di cambiare veramente la sua vita (quel che faceva - osservare i comandamenti - non gli stravolgeva la vita), lui non ce la fa. Quello che Gesù gli chiede è meraviglioso ma è troppo per lui.

Una coppia di animatori sono entusiasti del vangelo e del messaggio di Gesù. Si sposano e si promettono di vivere così. Ma questo vuol dire scontrarsi con i colleghi del lavoro, essere impopolari, essere messi in disparte, essere etichettati come "illusi, fanatici", e così nel tempo abdicano a tutti i loro ideali.

Un uomo ha deciso di vivere con lealtà e onestà il suo lavoro. All'inizio ci riesce, ma poi, vedendo ciò che succede attorno si dice: "Ma perché dovrei essere solo io a fare così? Sono l'unico stupido io?". E così, poiché è difficile, lascia il suo sogno interiore.

Un altro terreno sono le spine (Mc 4,7). La terra qui è buona e il seme è buono. Il problema qui è il contesto (le spine), l'ambiente, ciò che c'è attorno. Le spine "uccidono" il seme. Il problema è che se l'interno è troppo debole, fragile o in costruzione e l'esterno troppo forte e pressante, l'esterno decide per l'interno e la persona fa ciò che gli altri vogliono che lui faccia.

Nel vangelo le spine sono rappresentate dalla folla. Quando Gesù entra a Gerusalemme, la folla lo acclama e lo inneggia: "Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna al figlio di Davide" (Mc 11,9-10). Ma quella stessa folla poco dopo, quando le autorità religiose eserciteranno il loro potere (ambiente) e le folle avranno paura, dirà: "Crocifiggilo! Crocifiggilo!" (Mc 15,13-14).

Un ragazzo aveva un talento smisurato per la musica. Solo che i suoi genitori lo volevano "laureato". Lui li ha accontentati ma ha lasciato morire ciò che lo faceva vivere.

Un altro ragazzo aveva il dono di "far l'animatore". Ma i suoi amici lo hanno così deriso e così preso in giro, che lui alla fine ha lasciato l'animazione. Ha permesso al contesto di scegliere e di decidere per lui. Ha permesso al contesto di rubargli il suo sogno.

Allora capiamo perché Gesù dice: "Se non comprendete questa parabola, come potrete comprendere le altre?" (Mc 4,13). Se il tuo cuore è una strada, come può entrare il messaggio del Vangelo, la Vita, l'Amore? Non è che non c'è, è che tu non puoi sentirlo. Se il tuo cuore sono dei sassi, come può attecchire il Vangelo? Non è difficile, è che tu non hai la personalità, la struttura, la forza, per viverlo, per sentirlo, per portarlo avanti. Se il tuo cuore sono delle spine, come puoi viverlo in prima persona? Non è che sei l'unico, è che il peso degli altri, del giudizio, dell'opinione, è troppo forte per te.

Un giorno un gruppo di ranocchi si trovò per fare una gara: c'era da arrivare in cima ad una torre. La gente diceva: "Non ce la faranno mai!". I ranocchi iniziarono, ma presi dallo scoraggiamento, nessuno di loro ce la fece: "E' davvero impossibile! E' proprio come si dice!". Ma uno di loro, provò e riprovò e dopo eroici sforzi, arrivò in cima alla torre. Tutti erano increduli. Gli si avvicinarono e gli chiesero: "Ma come hai fatto?". Ma lui tirò dritto. Come fece? Era sordo.

La prima regola della crescita è: "Può avvenire in me la crescita? Che cosa la impedisce?". Perché spesso non cresce nulla non perché non ci sia nulla ma perché non può crescere nulla.

Con le parabole di oggi, poi, Gesù dà delle altre regole sulla crescita. Con la prima parabola Gesù spiega come avviene la trasformazione di coloro che accolgono la sua parola.

Il Regno di Dio è come un uomo che getta il suo seme (l'identificazione quindi non è con il seme ma con l'uomo): lui fa la sua parte, poi c'è una parte che lui non può più fare.

La parabola mette in luce due aspetti: 1. ci vuole tempo; 2. tu puoi fare solo la tua parte.

Tutte le cose hanno bisogno di un tempo di maturazione: perché nasca un bambino ci vogliono nove mesi. Non nasce prima, perché quei nove mesi sono il tempo necessario per formarsi. Perché rinasca la natura in primavera ci vuole l'inverno: sembra non accadere niente, ma invece, dentro, la vita si sta preparando per esplodere. Non si può tirare il collo ad un bambino per farlo crescere più velocemente: ci vuole il tempo che ci vuole. Non si può tirare un fiore per allungarlo perché lo strappi: ci vuole il tempo che ci vuole.

Noi siamo abituati a premere un pulsante e tutto avviene: con il pulsante della tv vediamo cosa succede dall'altra parte del mondo; con quello del computer comunichiamo con uno che sta in Australia e con quello del telefono raggiungiamo chiunque e dovunque. Tic-tac: tutto avviene.

Ma per le cose grandi delle vita, ci vuole un tempo di maturazione. L'amore, la fiducia, i sogni, la vitalità espressa, hanno bisogno di un tempo di formazione prima di accadere. E spesso sembra non accadere proprio nulla, tant'è vero che, a volte, ci si scoraggia.

Un uomo ha fatto tre corsi per imparare a nuotare: ma invano. Ormai la cosa sembrava impossibile. Ma poi un giorno, cosa sia successo non si sa (ma è successo), come è entrato in piscina si è messo a nuotare e non ha più avuto paura dell'acqua.

Un uomo di cinquant'anni frequenta la chiesa da sempre. Prima ci andava per abitudine, perché altrimenti "non si sentiva a posto" (=in colpa). Poi un giorno una parola, una sola parola, detta da un sacerdote ("Effatà! Apriti!") gli ha aperto il mondo interiore: ha pianto, percepito la vicinanza di Dio e il suo amore e nulla è stato più come prima.

"Ero sordo come una campana. Vedevo la gente che faceva ogni sorta di giravolte: la chiamavano danza. A me, che ero sordo, pareva così stupido. Ma un giorno sentii la musica e capii: quant'era bella la danza!".

La seconda legge di questa parabola è: tu puoi fare tanto ma non tutto. Tu puoi fare la tua parte, ma non quella degli altri.

L'Apocalisse (Ap 3,20) dice: "Ecco: io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me" (Ap 3,20).

Lc 17,10 dice: "Anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: "Siamo servi inutili". Abbiamo fatto quanto dovevamo fare".

Cioè: tu fai la tua parte e la fai fino in fondo. Tu fai tutto ciò che spetta a te. Poi però, sappi, che di più non puoi fare. Ci sono cose che non dipendono da te... quindi non angustiarti. Noi non abbiamo potere sugli altri: quindi è inutile stressarci la vita perché gli altri non capiscono.

C'è un sacerdote che vive sensi di colpa tremendi perché i suoi fedeli non sono innamorati del vangelo come lui. Ma poi un giorno capisce e si dice: "Basta! Io faccio tutta la mia parte. La vostra vita è vostra responsabilità".

Il tuo compito è di seminare: poi lascia che ognuno decida. Il tuo compito è di lanciare messaggi: ma non sei tu il padrone delle vite degli altri.

Vivi con serenità; fai la tua parte del tutto, fino in fondo e con passione; poi dì: "Ho fatto tutto ciò che potevo; non posso fare ciò che tocca a voi" e vai a dormire in pace e in serenità.

C'è una storia che rende bene questo concetto: ci fu una grande inondazione. L'acqua era salita fino al primo piano e l'uomo si rifugiò nel tetto. Arrivò la protezione civile su di una barca per portarlo in salvo. Ma l'uomo disse: "Dio mi ha detto che qualunque cosa mi capiti lui mi salverà". E non ci fu verso di farlo salire. L'acqua arrivò al tetto e di nuovo la protezione civile venne per prenderlo. "Dio mi ha detto che lui mi salverà". L'acqua gli arrivò al collo. Vennero di nuovo, ma l'uomo fu irremovibile. Sapete cosa capitò? Morì affogato. Quando andò di là e incontrò il Gran Capo gli disse: "E che mi avevi detto di non preoccuparmi! Mi avevi detto che qualunque cosa sarebbe capitata tu mi avresti salvato...!". E il Gran Capo rispose: "Amico, ti ho mandato tre barche".

La seconda parabola parla di un granello di senape. Il regno di Dio è come un grano di senape. A noi tutto ciò non dice nulla ma gli ascoltatori di Gesù avranno fatto "due occhi e due orecchie così".

Il profeta Ezechiele, infatti, immaginava il regno di Dio come un cedro sopra un monte altissimo (Ez 17). Un cedro che è chiamato il re degli alberi, è qualcosa di straordinario, qualcosa che attira l'attenzione. Cioè: l'idea che le persone (e anche i profeti) avevano del regno di Dio era di qualcosa di potente, di visibile, di forte, di grandioso.

Gesù invece è in polemica con tutto ciò: "Macché! Il regno di Dio è come un grano di senape seminato in orto (e non su qualche monte altissimo)".

I palestinesi dell'epoca, e ancor oggi, erano terrorizzati dai chicchi di senape. Perché? Se qualcuno di voi è stato in Palestina vede che la senape cresce dappertutto. Essendo un seme piccolino s'insinua tra le fessure delle case, sopra i tetti, per le strade: cresce dappertutto. Cosa vuol dire allora Gesù: "Il regno di Dio può arrivare, come la senape, dappertutto, dove meno te lo aspetti e dove meno lo diresti".

Ma cos'ha di particolare l'albero di senape? Che è un arbusto che non attira l'attenzione. Se non lo conosci e cammini per strada, neppure te ne accorgi, anche se può essere uno-due metri. Quando si legge il vangelo si pensa a chissà cosa quando si parla dell'albero di senapa. Uno si immagina chissà che: invece non si vede neanche! Il regno di Dio è così: piccolo, enorme, ma non attira l'attenzione. Il regno di Dio non è spettacolare: può infestare tutto ma può anche non essere visto.

Cosa vuol dire allora questa parabola? Gli apostoli hanno infestato (in-festare=portare dentro/in la festa) il mondo di Gesù. Era qualcosa di piccolo, di non appariscente, ma di potente.

Madre Teresa ha infestato migliaia di persone col suo amore. Il suo cuore era piccolo; la sua persona non era appariscente; ma lei ha dato credito a ciò che era piccolo ed è esploso.

Etty Hillesum ha infestato il mondo con la sua interiorità. Il suo cuore era imprigionato ad Auschwitz; la sua persona era reclusa, ma lei ha creduto a ciò che era piccolo e la sua interiorità ha infiammato migliaia di persone.

Allora: tutto ciò che riguarda Dio ha due caratteristiche: all'inizio è piccolo e non è per niente appariscente. Ma se tu gli dai spazio, se tu lo lasci crescere, se tu gli dai fiducia, se tu lo fai vivere, come un granello di senape, infesta il mondo!!!

Se tu guardi a ciò che sei (un granello di senape) non puoi che dire: "Ma dove vuoi che vada?". Se tu guardi a chi sei (nessuna appariscienza, dote particolare) non puoi che dire: "Io, io non ce la faccio. Dovrei essere diverso per poter...". Ma se tu guardi alla potenza che ti abita (Dio), che non sei tu ma che abita in te, allora tu puoi infestare il mondo di amore, di pace, di luce, di profondità, di vita.

William Mitchell è nato nel 1943 ed è uno dei più grandi motivatori americani. Nel 1971 un camion trasformato in lavanderia cade addosso a William che stava andando in moto. Perde praticamente tutte le dita e il suo corpo è bruciato per il 65%. La sua faccia è irriconoscibile e "mostruosa" (tutt'oggi). Ma lui non si è arreso. I bambini lo chiamavano: "Il mostro". Nel 1975 il suo aereo (perché continuò a guidare aerei!) si schiantò lasciandolo paralizzato dalla vita in giù. Gira il mondo dicendo a tutti: "Non è importante ciò che ti accade, ma ciò che ne fai di ciò che ti accade". E lui di certo parla con ragione di causa. E dice: "Non bisogna mai vergognarsi di nulla perché neppure Dio si vergogna di noi".

Pensiero della settimana

Insegnami a cambiare il mondo.
Insegnami che non posso cambiare il mondo.

Insegnami soprattutto quando posso e quando non posso.

Fonte:www.qumran2.net

Commenti

Post più popolari