fr. Massimo Rossi, XIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)
Commento su Marco 5,21-43
fr. Massimo Rossi
XIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (01/07/2018)
Visualizza Mc 5,21-43
Ecco a voi le storie di due miracoli: la prima ha per protagonista una donna; la seconda un uomo, cioè, la figlia di lui, ma per la fede di lui... Come avrete notato, i racconti sono molto diversi, perché le due fedi sono diverse... Bella scoperta! la prima è una fede al femminile, mentre nella seconda è una fede maschile, virile, a vincere sulle forze del male.
Ma procediamo con ordine: emerge un primo principio, un principio primo primo: non è il miracolo a suscitare la fede, ma, al contrario, è la fede a rendere possibile il miracolo. Di fronte ad una fede così forte, il Signore non sa resistere.
Dirò di più: la fede, quando è autentica, bypassa addirittura la volontà esplicita di Dio...
La donna malata tocca appena il lembo del mantello del Signore, ed è immediatamente risanata, prima ancora che Lui si renda conto di ciò che sta accadendo.
Il secondo importante principio è che non è tassativo che la fede sia la fede del malato: la fede è assolutamente necessaria, anche quella di un genitore, come nel presente caso; funziona addirittura quella degli amici, come nel caso del paralitico calato dal tetto (Lc 5,17-26).
Allora possiamo stare tranquilli: le preghiere di intercessione servono eccome, servono sempre!
Torniamo ai fatti: la fede della donna è una fede, potremmo dire incarnata, addirittura carnale: non le basta pensarla con la mente, desiderarla col cuore: deve manifestarla con un atto esterno.
Una delle differenze tra l'uomo e la donna, in tema di fede, è che la donna manifesta un maggiore bisogno di celebrarla, cioè di testimoniarla nella comunità; ma anche di manifestarla nella devotio, la relazione individuale, privata con il Signore. Non sarà forse un caso che la malattia che affliggeva la donna del racconto aveva a che fare con il sangue, simbolo della carne, ma anche della vita umana, e con l'apparato riproduttivo femminile... Insomma, la posta in gioco era parecchio alta: ne andava della vita di lei, della vita futura che (lei) avrebbe potuto concepire e generare.
Un po' per questo, e un po' per la sensibilità del genere femminile, potremmo dire, fisicamente connotata, la protagonista della vicenda sente di dover toccare il Signore... E lo tocca!
Non è l'unico caso dei Vangeli, nel quale una donna manifesta l'affetto, la fiducia, la fede nei confronti di Gesù, ricorrendo al mezzo fisico: le mani, la bocca, i capelli, le lacrime...
La prostituta entrata di nascosto nella casa di Simone fariseo (cfr. Lc 7,36-50), si accovaccia dietro il corpo del Signore, mentre siede a tavola, e comincia ad accarezzargli i piedi, glieli bagna di lacrime, glieli asciuga con i capelli e glieli bacia. Famoso è anche l'episodio conosciuto come l'unzione di Betania: Maria Maddalena cosparge il capo di Gesù con profumo prezioso e glielo unge in anticipo - spiegherà Gesù -, in previsione della sua sepoltura. Come non ricordare, infine, ancora lei, Maddalena, la mattina di Pasqua? appena riconosce il Signore risorto, immediatamente gli si getta ai piedi per abbracciarli in segno di adorazione; ma questa volta, Cristo non le permette di toccarlo.
Pensate voi, se al posto di queste donne, ci fosse stato un uomo a compiere gli stessi atti nei confronti di Gesù... Istintivamente proveremmo un senso di fastidio... Si insinuerebbe più di un dubbio sull'opportunità di abbandonarsi a slanci di tale sensualità, in pubblico, sconvenienti per chi li offre, e forse più ancora per chi li riceve... Un uomo non si deve permettere simili smancerie!
Nostro malgrado, l'educazione di un figlio, così come di una figlia è stata condizionata da vecchi stereotipi, e temo lo sia ancora. E a motivo di questi stereotipi, generazioni e generazioni di maschi cristiani sono state cresciute nella più o meno totale incapacità di esprimere gesti di affetto...
E poi le mogli si lamentano che i loro mariti sono avari di tenerezza e vanno subito al sodo... Perdonate se vi parlo in maniera così esplicita, quasi sfrontata, oggi che si sta trattando della fede.
Ma, vedete, il tema della fede ha molto in comune con quello dell'amore, dal momento che Dio si è manifestato in Gesù Cristo come amore infinito. C'è dunque una correlazione tra affettività e amore per Dio... Credo che di avervi offerto sufficienti suggestioni per riflettere.
Altro non aggiungo, se non che, come già ho avuto modo di sottolineare, il valore del corpo, quale strumento ineguagliabile per manifestare i sentimenti più profondi e autentici, è ancora in gran parte da scoprire, soprattutto nel contesto culturale cristiano.
La conclusione del Vangelo è a dir poco curiosa, per almeno due motivi: il primo si riferisce all'affermazione di Gesù: “Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme.”: singolare questo modo del Signore di chiamare la morte; in verità, la fede e la speranza cristiane ci insegnano a non parlare di morte, ma di sonno - in latino ‘dormitio'-, nella convinzione che la vita iniziata con la nascita al mondo, non finisce, ma è trasformata; e dalla vita fisica si passa a quella eterna - in latino ‘transitus' -.
Così ci esprimiamo in occasione di un funerale, il momento liturgico più difficile da vivere e da far vivere alla luce del Vangelo, nel quale la fede si scontra con la durezza della vita, e spesso (la fede) non è in grado di vincere sul dolore del distacco.
In momenti come questi la fede può morire.
E, invece, non fu così per il capo della sinagoga raccontato nel Vangelo, a differenza dei familiari, che tentavano di dissuaderlo: “Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il maestro?”: ma la fede di quell'uomo resse, e sua figlia gli venne resa, sana e salva.
Infine, la preoccupazione manifestata da Gesù che le dessero da mangiare...
La vita va sostenuta, la vita va nutrita, la vita va difesa...
La vita è un dono di Dio.
Questo miracolo, come, del resto, tutti i miracoli, ci ricorda che la vita ci è stata donata dalla bontà di Dio e come tale va amata, cresciuta, lasciata libera e infine restituita.
Il nostro Dio non è un Dio dei morti ma dei vivi: sono parole del Figlio di Dio (cfr. Mt 22,32).
E noi ci inchiniamo a questo prode condottiero di nome Gesù, il quale, innalzato sulla croce, vive e regna per i secoli dei secoli. AMEN
Fonte:www.qumran2.net/
fr. Massimo Rossi
XIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (01/07/2018)
Visualizza Mc 5,21-43
Ecco a voi le storie di due miracoli: la prima ha per protagonista una donna; la seconda un uomo, cioè, la figlia di lui, ma per la fede di lui... Come avrete notato, i racconti sono molto diversi, perché le due fedi sono diverse... Bella scoperta! la prima è una fede al femminile, mentre nella seconda è una fede maschile, virile, a vincere sulle forze del male.
Ma procediamo con ordine: emerge un primo principio, un principio primo primo: non è il miracolo a suscitare la fede, ma, al contrario, è la fede a rendere possibile il miracolo. Di fronte ad una fede così forte, il Signore non sa resistere.
Dirò di più: la fede, quando è autentica, bypassa addirittura la volontà esplicita di Dio...
La donna malata tocca appena il lembo del mantello del Signore, ed è immediatamente risanata, prima ancora che Lui si renda conto di ciò che sta accadendo.
Il secondo importante principio è che non è tassativo che la fede sia la fede del malato: la fede è assolutamente necessaria, anche quella di un genitore, come nel presente caso; funziona addirittura quella degli amici, come nel caso del paralitico calato dal tetto (Lc 5,17-26).
Allora possiamo stare tranquilli: le preghiere di intercessione servono eccome, servono sempre!
Torniamo ai fatti: la fede della donna è una fede, potremmo dire incarnata, addirittura carnale: non le basta pensarla con la mente, desiderarla col cuore: deve manifestarla con un atto esterno.
Una delle differenze tra l'uomo e la donna, in tema di fede, è che la donna manifesta un maggiore bisogno di celebrarla, cioè di testimoniarla nella comunità; ma anche di manifestarla nella devotio, la relazione individuale, privata con il Signore. Non sarà forse un caso che la malattia che affliggeva la donna del racconto aveva a che fare con il sangue, simbolo della carne, ma anche della vita umana, e con l'apparato riproduttivo femminile... Insomma, la posta in gioco era parecchio alta: ne andava della vita di lei, della vita futura che (lei) avrebbe potuto concepire e generare.
Un po' per questo, e un po' per la sensibilità del genere femminile, potremmo dire, fisicamente connotata, la protagonista della vicenda sente di dover toccare il Signore... E lo tocca!
Non è l'unico caso dei Vangeli, nel quale una donna manifesta l'affetto, la fiducia, la fede nei confronti di Gesù, ricorrendo al mezzo fisico: le mani, la bocca, i capelli, le lacrime...
La prostituta entrata di nascosto nella casa di Simone fariseo (cfr. Lc 7,36-50), si accovaccia dietro il corpo del Signore, mentre siede a tavola, e comincia ad accarezzargli i piedi, glieli bagna di lacrime, glieli asciuga con i capelli e glieli bacia. Famoso è anche l'episodio conosciuto come l'unzione di Betania: Maria Maddalena cosparge il capo di Gesù con profumo prezioso e glielo unge in anticipo - spiegherà Gesù -, in previsione della sua sepoltura. Come non ricordare, infine, ancora lei, Maddalena, la mattina di Pasqua? appena riconosce il Signore risorto, immediatamente gli si getta ai piedi per abbracciarli in segno di adorazione; ma questa volta, Cristo non le permette di toccarlo.
Pensate voi, se al posto di queste donne, ci fosse stato un uomo a compiere gli stessi atti nei confronti di Gesù... Istintivamente proveremmo un senso di fastidio... Si insinuerebbe più di un dubbio sull'opportunità di abbandonarsi a slanci di tale sensualità, in pubblico, sconvenienti per chi li offre, e forse più ancora per chi li riceve... Un uomo non si deve permettere simili smancerie!
Nostro malgrado, l'educazione di un figlio, così come di una figlia è stata condizionata da vecchi stereotipi, e temo lo sia ancora. E a motivo di questi stereotipi, generazioni e generazioni di maschi cristiani sono state cresciute nella più o meno totale incapacità di esprimere gesti di affetto...
E poi le mogli si lamentano che i loro mariti sono avari di tenerezza e vanno subito al sodo... Perdonate se vi parlo in maniera così esplicita, quasi sfrontata, oggi che si sta trattando della fede.
Ma, vedete, il tema della fede ha molto in comune con quello dell'amore, dal momento che Dio si è manifestato in Gesù Cristo come amore infinito. C'è dunque una correlazione tra affettività e amore per Dio... Credo che di avervi offerto sufficienti suggestioni per riflettere.
Altro non aggiungo, se non che, come già ho avuto modo di sottolineare, il valore del corpo, quale strumento ineguagliabile per manifestare i sentimenti più profondi e autentici, è ancora in gran parte da scoprire, soprattutto nel contesto culturale cristiano.
La conclusione del Vangelo è a dir poco curiosa, per almeno due motivi: il primo si riferisce all'affermazione di Gesù: “Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme.”: singolare questo modo del Signore di chiamare la morte; in verità, la fede e la speranza cristiane ci insegnano a non parlare di morte, ma di sonno - in latino ‘dormitio'-, nella convinzione che la vita iniziata con la nascita al mondo, non finisce, ma è trasformata; e dalla vita fisica si passa a quella eterna - in latino ‘transitus' -.
Così ci esprimiamo in occasione di un funerale, il momento liturgico più difficile da vivere e da far vivere alla luce del Vangelo, nel quale la fede si scontra con la durezza della vita, e spesso (la fede) non è in grado di vincere sul dolore del distacco.
In momenti come questi la fede può morire.
E, invece, non fu così per il capo della sinagoga raccontato nel Vangelo, a differenza dei familiari, che tentavano di dissuaderlo: “Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il maestro?”: ma la fede di quell'uomo resse, e sua figlia gli venne resa, sana e salva.
Infine, la preoccupazione manifestata da Gesù che le dessero da mangiare...
La vita va sostenuta, la vita va nutrita, la vita va difesa...
La vita è un dono di Dio.
Questo miracolo, come, del resto, tutti i miracoli, ci ricorda che la vita ci è stata donata dalla bontà di Dio e come tale va amata, cresciuta, lasciata libera e infine restituita.
Il nostro Dio non è un Dio dei morti ma dei vivi: sono parole del Figlio di Dio (cfr. Mt 22,32).
E noi ci inchiniamo a questo prode condottiero di nome Gesù, il quale, innalzato sulla croce, vive e regna per i secoli dei secoli. AMEN
Fonte:www.qumran2.net/
Commenti
Posta un commento