Alessandro Cortesi op Commento XV domenica – tempo ordinario – anno B


XV domenica – tempo ordinario – anno B – 2018

Am 7,12-13; Sal 84; Ef 1,3-14; Mc 6,7-13

“Vattene, veggente, ritirati nella terra di Giuda; là mangerai il tuo pane e là potrai profetizzare, ma a Betel non profetizzare più, perché questo è il santuario del re ed è il tempio del regno”

E’ uno scontro quello presentato nella pagina di Amos. Il profeta è cacciato via dal sacerdote del santuario perché vada altrove a portare la sua parola perché “questo è il santuario del re e il tempio del regno”. Santuario e potere del re uniti come una sola cosa. In un abbraccio mortale. La logica del dominio terreno non può sopportare la voce del profeta che denuncia l’ingiustizia come male davanti a Dio. Amos non aveva nessuna intenzione di essere profeta: s è trovato coinvolto nella chiamata irresistibile di Dio. Non ha parole proprie da dire, né interessi da difendere.

Betel era il luogo in cui Giacobbe aveva incontrato Dio: lo aveva chiamato così in una notte di solitudine e abbandono, Bet-El, cioè ‘casa di Dio’ (Gen 28,19). Aveva là scoperto che Dio era lì vicino a lui, e lui non lo sapeva. Proprio quando privato di tutto aveva lasciato dietro di sé la sua terra indifeso scoprì il Dio vicino che non abbandona. Aveva lasciato una pietra a ricordo di quell’incontro. E su quella pietra era stato eretto un santuario alle dipendenze del re. Il sacerdote è così ora preoccupato non delle indicazioni di Dio, ma di quelle del re. La casa di Dio è divenuta la casa di un potere che non sopporta la parola del profeta. Amos richiama alla memoria della pietra delle origini, a quel gesto di un culto che proveniva dalla vita, e richiama così il primato della giustizia da attuare con i più deboli. Fare giustizia al povero, redistribuire le ricchezze, non sfruttare i lavoratori. Tutto questo è insopportabile alle orecchie del potere e il profeta è allontanato.

Gesù “chiamò a sé i dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri”. Gesù invia i suoi. Nella scelta di inviarli dice loro che la fede è cammino. Sono inviati ad a due a due, insieme per aprirsi ad incontri nuovi. La missione è la loro vita e non sarà una questione di affermazione personale. Saranno invece chiamati scoprire lo stare insieme, il ‘noi’ da costruire giorno dopo giorno nell’ospitalità reciproca e aperta: in quel dialogo in quell’incontro Gesù rimane con loro.

Gesù non dà ai dodici indicazioni particolari sull’insegnamento se non l’annuncio del regno vicino. Chiede loro di vivere uno stile fatto di gesti e scelte che toccano la vita: solo un bastone e i calzari, non pane, né pesante sacca da viaggio, né denaro, non due tuniche. Sono indicazioni che parlano di sobrietà, dell’accontentarsi di poco, di non cercare assicurazioni per il domani, di non accumulare: una vita da poveri, cioè liberi per camminare. Il loro messaggio sarà il modo in cui vivono. Lo stile del loro andare sarà vangelo, e dovrà ricordare Gesù, che ha vissuto la libertà dei poveri. Gesù non li invia a portare aiuto ai poveri, li fa andare assumendo la condizione del povero. Si distingueranno non per abilità di parola, ma per essere segno e presenza di liberazione. Gesù costituisce testimoni, non preoccupati di andare contro qualcuno, ma ad esprimere in uno stile di esistenza la bella notizia che è il vangelo.

Alessandro Cortesi op

Fonte:alessandrocortesi2012.wordpress.com/

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