don Luciano Cantini, "Con sandali e bastone... per guarire"
Con sandali e bastone... per guarire
don Luciano Cantini
XV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (15/07/2018)
Visualizza Mc 6,7-13
Chiamò a sé
La “missione” è il fatto connaturale, essenziale, sostanziale al Vangelo che essendo “Buona Notizia” necessita di essere comunicata: E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi? E come lo annunzieranno, senza essere prima inviati? (Rm 10,14-15).
Gesù chiama a sé i Dodici per poi mandarli in una sorta di movimento centripeto che diventa centrifugo, prima attrattivo e poi espulsivo.
Non immaginiamo quella chiamata a sé come una sorta di riunione organizzativa per programmare l'attività successiva quanto la necessità di fissare il “punto di partenza”: Gesù.
È preoccupante che in questo momento storico Gesù sia diventato solo una immagine da ostentare piuttosto che un punto di partenza per la vita, un simbolo senza significati. Il fatto è che abbiamo perso il significato stesso dell'uomo, il senso della sua umanità, trascinati dalle problematiche della storia e dalle difficoltà del convivere confondiamo le persone con le cose e le mettiamo in relazione alla nostra utilità o alle nostre fobie. Ogni singolo uomo è diventato il punto di partenza; i suoi interessi, i sui piaceri, i suoi desideri, le sue sensazioni si intrecciano con quelli degli altri in un groviglio inestricabile. Sembra che oggi si viva completamente in balia del susseguirsi degli eventi, senza la coscienza della propria mutevolezza nella certezza di ciò che si crede di essere o di sapere. “Cerco un centro di gravità permanente” è il grido di una canzone di Battiato.
Dal mondo di oggi Gesù è completamente scomparso, ne sono rimasti i simboli relegati a bandiere di una imprecisata identità culturale (i crocifissi nei luoghi pubblici), di lui è rimasta una sorta di semplificazione privata di parola, di messaggio e di senso.
L'immagine che Marco ci offre come punto di partenza della missione è quella dei Dodici con Lui. È la relazione con Gesù che genera la Chiesa e ogni altro tipo di relazione. La testimonianza che ci è chiesta come cristiani, nasce nella comunità ecclesiale dall'intersecarsi delle nostre relazioni con la sua.
A due a due
Quei discepoli non sono ancora pronti, sono confusi, scettici, toccati dagli insuccessi e dalle critiche, gli interrogativi su quel Gesù che stanno seguendo sono ancora aperti, la visione della religione in cui sono cresciuti con le sue tradizioni è ancora dominante. Ma Gesù li manda ugualmente, li immerge nella esperienza perché imparino dalla vita, dall'incontro con le persone, con i bisogni della gente. La missione degli apostoli non è di insegnare quanto di ascoltare, guardare. Oggi si potrebbe dire che la missione cristiana nasce dalla necessità di osservare l'umanità e la storia per scorgervi i “segni dei tempi”, l'opera nascosta di Dio che in ogni tempo e in ogni luogo si manifesta tra le pieghe della storia.
In questa missione non ci sono pionieri isolati ma uomini di comunione, Gesù li manda a due a due; non per esigenze di un miglior risultato mettendo insieme le forze per una migliore efficienza, quanto per la necessità di reciprocità, di confronto, nell'ottica della testimonianza che è, prima di tutto, l'uno per l'altro, è antidoto dell'individualismo, del protagonismo personale e l'attivismo che disprezza, senza neppure rendersene conto, le capacità e i doni delle persone con cui viviamo.
Non prendere
Andranno liberi di tutto, condizionati solo da ciò che portano in sé, quello che è nel cuore dell'uomo, liberi di tutto per avere spazio per coloro che incontreranno, per aver bisogno di loro, per condividere. Parola difficile, oggi, quella della condivisione. Se non condividi una cosa con qualcuno è come se non l'hai vissuta (Vasco Rossi). L'espressione condividere ha in sé due movimenti: uno divisivo e l'altro unitivo; la paura della condivisione nasce dall'impressione di perdere ciò che condivido che finisce per non essere più mio e mi impoverisco, ma non è così, piuttosto il contrario perché condividere significa anche avvalorare ciò che è di altri, vuol dire investire tempo e risorse per scoprire i valori degli altri, significa mettersi in gioco dare e ricevere fiducia.
«C'è vera condivisione solo nella povertà. C'è vera ricchezza solo nella condivisione» (Card. Roger Etchegaray)
Calzare sandali
L'equipaggiamento richiesto non è casuale perché riguarda solo il camminare mentre in Matteo e Luca (cap. 10) non è richiesto né sandali né bastone. Marco in una visione più simbolica richiede questi strumenti come a Israele il giorno della Pasqua (Es 2,11), per i discepoli e per la Chiesa la missione ha la dimensione pasquale, libera da se stessi, dalle proprie chiusure, limiti, schiavitù. L'Annuncio del Vangelo invece è proclamare la vita in abbondanza e promuovere l'uomo nella sua umanità libera. La guarigione, conseguenza della missione, ne è il segno.
Alcune volte io ho parlato della Chiesa come di un ospedale da campo: è vero! Quanti feriti ci sono, quanti feriti! Quanta gente che ha bisogno che le sue ferite siano guarite! (Papa Francesco 05.02.2015).
Fonte:
don Luciano Cantini
XV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (15/07/2018)
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Chiamò a sé
La “missione” è il fatto connaturale, essenziale, sostanziale al Vangelo che essendo “Buona Notizia” necessita di essere comunicata: E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi? E come lo annunzieranno, senza essere prima inviati? (Rm 10,14-15).
Gesù chiama a sé i Dodici per poi mandarli in una sorta di movimento centripeto che diventa centrifugo, prima attrattivo e poi espulsivo.
Non immaginiamo quella chiamata a sé come una sorta di riunione organizzativa per programmare l'attività successiva quanto la necessità di fissare il “punto di partenza”: Gesù.
È preoccupante che in questo momento storico Gesù sia diventato solo una immagine da ostentare piuttosto che un punto di partenza per la vita, un simbolo senza significati. Il fatto è che abbiamo perso il significato stesso dell'uomo, il senso della sua umanità, trascinati dalle problematiche della storia e dalle difficoltà del convivere confondiamo le persone con le cose e le mettiamo in relazione alla nostra utilità o alle nostre fobie. Ogni singolo uomo è diventato il punto di partenza; i suoi interessi, i sui piaceri, i suoi desideri, le sue sensazioni si intrecciano con quelli degli altri in un groviglio inestricabile. Sembra che oggi si viva completamente in balia del susseguirsi degli eventi, senza la coscienza della propria mutevolezza nella certezza di ciò che si crede di essere o di sapere. “Cerco un centro di gravità permanente” è il grido di una canzone di Battiato.
Dal mondo di oggi Gesù è completamente scomparso, ne sono rimasti i simboli relegati a bandiere di una imprecisata identità culturale (i crocifissi nei luoghi pubblici), di lui è rimasta una sorta di semplificazione privata di parola, di messaggio e di senso.
L'immagine che Marco ci offre come punto di partenza della missione è quella dei Dodici con Lui. È la relazione con Gesù che genera la Chiesa e ogni altro tipo di relazione. La testimonianza che ci è chiesta come cristiani, nasce nella comunità ecclesiale dall'intersecarsi delle nostre relazioni con la sua.
A due a due
Quei discepoli non sono ancora pronti, sono confusi, scettici, toccati dagli insuccessi e dalle critiche, gli interrogativi su quel Gesù che stanno seguendo sono ancora aperti, la visione della religione in cui sono cresciuti con le sue tradizioni è ancora dominante. Ma Gesù li manda ugualmente, li immerge nella esperienza perché imparino dalla vita, dall'incontro con le persone, con i bisogni della gente. La missione degli apostoli non è di insegnare quanto di ascoltare, guardare. Oggi si potrebbe dire che la missione cristiana nasce dalla necessità di osservare l'umanità e la storia per scorgervi i “segni dei tempi”, l'opera nascosta di Dio che in ogni tempo e in ogni luogo si manifesta tra le pieghe della storia.
In questa missione non ci sono pionieri isolati ma uomini di comunione, Gesù li manda a due a due; non per esigenze di un miglior risultato mettendo insieme le forze per una migliore efficienza, quanto per la necessità di reciprocità, di confronto, nell'ottica della testimonianza che è, prima di tutto, l'uno per l'altro, è antidoto dell'individualismo, del protagonismo personale e l'attivismo che disprezza, senza neppure rendersene conto, le capacità e i doni delle persone con cui viviamo.
Non prendere
Andranno liberi di tutto, condizionati solo da ciò che portano in sé, quello che è nel cuore dell'uomo, liberi di tutto per avere spazio per coloro che incontreranno, per aver bisogno di loro, per condividere. Parola difficile, oggi, quella della condivisione. Se non condividi una cosa con qualcuno è come se non l'hai vissuta (Vasco Rossi). L'espressione condividere ha in sé due movimenti: uno divisivo e l'altro unitivo; la paura della condivisione nasce dall'impressione di perdere ciò che condivido che finisce per non essere più mio e mi impoverisco, ma non è così, piuttosto il contrario perché condividere significa anche avvalorare ciò che è di altri, vuol dire investire tempo e risorse per scoprire i valori degli altri, significa mettersi in gioco dare e ricevere fiducia.
«C'è vera condivisione solo nella povertà. C'è vera ricchezza solo nella condivisione» (Card. Roger Etchegaray)
Calzare sandali
L'equipaggiamento richiesto non è casuale perché riguarda solo il camminare mentre in Matteo e Luca (cap. 10) non è richiesto né sandali né bastone. Marco in una visione più simbolica richiede questi strumenti come a Israele il giorno della Pasqua (Es 2,11), per i discepoli e per la Chiesa la missione ha la dimensione pasquale, libera da se stessi, dalle proprie chiusure, limiti, schiavitù. L'Annuncio del Vangelo invece è proclamare la vita in abbondanza e promuovere l'uomo nella sua umanità libera. La guarigione, conseguenza della missione, ne è il segno.
Alcune volte io ho parlato della Chiesa come di un ospedale da campo: è vero! Quanti feriti ci sono, quanti feriti! Quanta gente che ha bisogno che le sue ferite siano guarite! (Papa Francesco 05.02.2015).
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