Don Marco Ceccarelli, Commento XVIII Domenica Tempo Ordinario “B”
XVIII Domenica Tempo Ordinario “B” – 5 Agosto 2018
I Lettura: Es 16,2-4.12-15
II Lettura: Ef 4,17.20-24
Vangelo: Gv 6,24-35
- Testi di riferimento: Dt 8,3; Sal 78,24-25; 127,2; Pr 9,1-6; Qo 5,14-15; 6,7; Sap 16,26; Sir 24,18-
20; Is 25,6; 49,10; 55,1-3; Am 8,11-12; Ab 2,13; Mt 6,19.31-33; 11,28; Lc 10,41-42; Gv 4,13-15;
6,49-51.68; 1Cor 10,16; 2Cor 1,22; 4,18; Ef 1,13; 4,30; 2Tm 2,19; Ap 7,16; 22,17
1. Dopo il racconto del “segno” compiuto da Gesù, vale a dire il miracolo dei pani (Vangelo di domenica
scorsa), l’evangelista Giovanni ci presenta un lungo discorso che serve da interpretazione di
tale segno. Infatti un segno serve per arrivare al “significato”; questa è la cosa più importante. Così
in questa e nelle prossime domeniche ascolteremo la spiegazione che Gesù offre del miracolo dei
pani. Nel brano di Vangelo odierno si apre la disputa fra Gesù e i suoi interlocutori riguardo al tema
del pane. Alla domanda della gente, «Rabbì, quando sei venuto qui?» (v. 25), Gesù risponde in un
modo che pare inappropriato: «Amen, amen, io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni,
ma perché avete mangiato i pani e vi siete saziati» (v. 26). Egli però con questa risposta rivela ai
suoi interlocutori il loro errato atteggiamento nei suoi confronti. Gesù rivela loro (amen, amen) che
essi non sono interessati al significato dei suoi segni, ma semplicemente alla loro materialità,
all’usufrutto immediato dei miracoli. La loro ricerca di Gesù non è sbagliata, ma è sbagliato il motivo
della loro ricerca.
2. Il cibo che perisce (v. 27). La realtà ci mostra che l’uomo, dopo che ha soddisfatto in tutto il suo
corpo, spesso e volentieri non si sente ancora sazio (cfr. Qo 6,7); rimane ancora un “vuoto”. L’uomo
non è pura materia e non si soddisfa semplicemente con i bisogni fondamentali di cibo, sesso e riposo
– secondo il pensiero di Rousseau – come se fosse semplicemente un corpo. Ciò significa che, oltre al
corpo, c’è in lui una realtà più profonda che deve essere saziata. Ed è questa realtà più profonda che
interessa a Cristo. Noi siamo “spirito, anima e corpo” (1Ts 5,23); e queste tre realtà necessitano
ugualmente di essere alimentate. Oltre al corpo abbiamo quella che gli antichi chiamavano anima razionale
(psyché) e abbiamo uno spirito. La nostra parte razionale, mentale, psicologica – chiamiamola
come vogliamo – ha bisogno di essere nutrita, e nutrita bene. Se mangiamo cibi adulterati ci fanno più
male che bene. E anche il nostro “spirito” deve essere nutrito. Se lo spirito è fiacco, debole, “scarico”
non funziona più niente, come un’automobile con le gomme bucate. È lo spirito che sostiene il tutto; e
spesso tale spirito è come morto, perché abbiamo spesso di nutrirlo o lo abbiamo nutrito male. La
domanda che dovremmo farci è: che tipo di cibo entra nella nostra anima e nel nostro spirito? Poiché
è certo, anche se non ci pensiamo o non ci rendiamo conto, che siamo sempre alla ricerca di qualcosa
che riempia il vuoto che abbiamo dentro. Però non di rado il cibo che ci alimenta è un nutrimento corruttibile,
che ci dà una sazietà momentanea, passeggera. Spendiamo la nostra vita, il nostro tempo, le
nostre energie, per nutrirci di ciò che non sazia (Is 55,2). Occorre perciò un cibo incorruttibile, un vero
pane dal cielo.
3. Il cibo della Sapienza.
- «Operate non per il cibo che perisce, ma per il cibo che rimane per la vita eterna» (v. 27). Questa affermazione,
che costituisce il fulcro del brano odierno, evidenzia dunque il fatto che nell’essere umano
esiste una dimensione più profonda di quella semplicemente corporale. Esiste in ciascuno
l’esigenza di capire il senso della sua esistenza e di dare un senso pieno alla sua vita. Se ci manca questo
senso proviamo un vuoto interiore che richiede di essere riempito; è una fame interiore che vuole
essere saziata. Il vero cibo è quello che ci permette di realizzare il vero senso della nostra esistenza.
La Scrittura più volte presenta la metafora del cibo e del banchetto per indicare il bisogno di un nutrimento
che non è solo quello materiale (Is 25,6; 55,1-3). Anche la manna del deserto (prima lettura)
era “segno” di qualcosa di più importante. In Dt 8,3 Mosè afferma che Dio ha dato la manna allo scopo
di “far conoscere” loro, affinché essi sapessero che l’uomo vive per mezzo di “tutto ciò che esce
dalla bocca di Jahvè” (la stessa idea viene espressa in Sap 16,26). Gesù dirà nel seguito del suo discorso
che “i padri del deserto sono morti, nonostante abbiano mangiato il pane dal cielo” (6,49), perché
hanno mancato nel passare dal segno al significato, dal miracolo alla fede. Quando Dio comandò
loro di entrare nella terra non obbedirono, erano ancora senza fede (Nm 14). Il cibo che esce dalla
bocca di Dio è la Sapienza, come appare in Sir 24,3. Nella Scrittura la Sapienza personificata prepara
un banchetto per quelli che la desiderano (Pr 9,1-6; Sir 24,18-19); essa stessa si dà in cibo (Sir 24,20).
Il cibo che perisce è quello per cui l’uomo si affanna e per cui fatica, mentre quello che non perisce è
quello che Dio dona (Gv 6,32) e lo dona al suo diletto (Sal 127,2), e il diletto di Dio è colui che ama,
desidera e cerca la Sapienza. Infatti «chi si leva di buon mattino per essa non faticherà» (Sap 6,14). La
manna stessa viene interpretata come un pane dal cielo “senza fatica” (Sap 16,20) La Sapienza è il cibo
necessario perché l’uomo conosca e realizzi il senso della sua vita. La nostra anima ha bisogno della
Sapienza, di ciò che rivela il senso profondo dell’esistenza e offre gli strumenti per realizzare tale
senso. In definitiva questa Sapienza finisce per identificarsi con Dio. Il nostro spirito ha bisogno dello
Spirito perché non trova pace finché non riposa in Dio (sant’Agostino).
- «Io sono il pane della vita» (v. 35). Tutto questo si realizza in una persona, Gesù Cristo, vera Sapienza
e vero Dio. Nel v. 35 Gesù si identifica con il pane che non perisce. Il parallelo fra fame e sete
sottolinea ancora di più il carattere spirituale del cibo che Gesù offre. Infatti il binomio fame-sete richiama
diversi passi biblici. Ad esempio in Is 55,1 si parla di bere e di mangiare, di acquistare gratuitamente
ciò che serve per saziare la fame e la sete. Il senso del testo è chiaramente metaforico, alludendo
ad un cibo e a una bevanda non materiale. Come Is 55,2-3 pone insieme il nutrirsi con
l’ascolto, così in Am 8,11-12 la fame e la sete sono metafore per il bisogno della parola di Dio, della
Sua rivelazione. Dunque il vero cibo e la vera bevanda di cui parla Gesù sono la parola di Dio, che è
manifestata pienamente nel pane della vita che è Cristo stesso. Egli è la manna nascosta (cfr. Ap
2,17), sconosciuta, che scende dal cielo perché è uscita dalla bocca di Dio, e che permette all’uomo di
vivere. In Gv Cristo è il Logos, la “Parola” (1,1.14); e, in quanto tale, non può che procedere dalla
bocca di Dio (Sir 24,3.20-23). È lui quindi la Sapienza uscita dalla bocca di Dio; quella Sapienza che
è un cibo che non stanca, che non nausea (come invece era stato per la manna e le quaglie nel deserto:
Nm 11,6.20), che aumenta il desiderio di possederla perché non è altro che la Torah di Dio. Come la
Sapienza nell’Antico Testamento, Cristo offre se stesso in cibo.
4. Quello che interessa alla gente che segue Cristo è il miracolo fisico, è risolvere i problemi corporali,
sociali, politici (per questo volevano farlo re). Ma Cristo non è venuto per questo, perché egli sa che
anche i miracoli fisici sono un cibo che perisce. A che serve all’uomo guadagnare il mondo intero se
poi perde la sua vita? (Mt 16,26). La realtà dell’uomo, la sua vita, va oltre alla realtà puramente corporale,
fisica. Il problema della folla è quello di essersi fermarti al segno, al pane materiale, e non essere
passati al significato: Cristo, colui che ha dato quel pane, è il vero pane che sazia. Per questo nel v. 27
Gesù pone la folla nella giusta prospettiva. Occorre cercare Cristo non per il pane che perisce, ma per
quello che non perisce, che rimane per la vita eterna. Chi va a Cristo soltanto per avere miracoli non
risolverà mai il vero problema. Anche il miracolo è un cibo che perisce perché, come il pane che
mangiamo oggi e che domani non ci serve più, così il miracolo risolve questo problema contingente
che abbiamo oggi, ci libera da questa paura di oggi, ma domani avremo altri problemi e altre paure, e
saremo costretti a chiedere altri miracoli. Nonostante che gli apostoli avessero visto tanti miracoli, la
croce di Cristo li ha comunque scandalizzati, e nel giorno della risurrezione si trovavano chiusi per
“paura” dei giudei (Gv 20,19). Il miracolo in sé non risolve il vero problema dell’uomo. Esso deve
servire come un segno, per farci passare alla fede, per farci incontrare con l’Autore della vita.
Fonte:http://www.donmarcoceccarelli.it
I Lettura: Es 16,2-4.12-15
II Lettura: Ef 4,17.20-24
Vangelo: Gv 6,24-35
- Testi di riferimento: Dt 8,3; Sal 78,24-25; 127,2; Pr 9,1-6; Qo 5,14-15; 6,7; Sap 16,26; Sir 24,18-
20; Is 25,6; 49,10; 55,1-3; Am 8,11-12; Ab 2,13; Mt 6,19.31-33; 11,28; Lc 10,41-42; Gv 4,13-15;
6,49-51.68; 1Cor 10,16; 2Cor 1,22; 4,18; Ef 1,13; 4,30; 2Tm 2,19; Ap 7,16; 22,17
1. Dopo il racconto del “segno” compiuto da Gesù, vale a dire il miracolo dei pani (Vangelo di domenica
scorsa), l’evangelista Giovanni ci presenta un lungo discorso che serve da interpretazione di
tale segno. Infatti un segno serve per arrivare al “significato”; questa è la cosa più importante. Così
in questa e nelle prossime domeniche ascolteremo la spiegazione che Gesù offre del miracolo dei
pani. Nel brano di Vangelo odierno si apre la disputa fra Gesù e i suoi interlocutori riguardo al tema
del pane. Alla domanda della gente, «Rabbì, quando sei venuto qui?» (v. 25), Gesù risponde in un
modo che pare inappropriato: «Amen, amen, io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni,
ma perché avete mangiato i pani e vi siete saziati» (v. 26). Egli però con questa risposta rivela ai
suoi interlocutori il loro errato atteggiamento nei suoi confronti. Gesù rivela loro (amen, amen) che
essi non sono interessati al significato dei suoi segni, ma semplicemente alla loro materialità,
all’usufrutto immediato dei miracoli. La loro ricerca di Gesù non è sbagliata, ma è sbagliato il motivo
della loro ricerca.
2. Il cibo che perisce (v. 27). La realtà ci mostra che l’uomo, dopo che ha soddisfatto in tutto il suo
corpo, spesso e volentieri non si sente ancora sazio (cfr. Qo 6,7); rimane ancora un “vuoto”. L’uomo
non è pura materia e non si soddisfa semplicemente con i bisogni fondamentali di cibo, sesso e riposo
– secondo il pensiero di Rousseau – come se fosse semplicemente un corpo. Ciò significa che, oltre al
corpo, c’è in lui una realtà più profonda che deve essere saziata. Ed è questa realtà più profonda che
interessa a Cristo. Noi siamo “spirito, anima e corpo” (1Ts 5,23); e queste tre realtà necessitano
ugualmente di essere alimentate. Oltre al corpo abbiamo quella che gli antichi chiamavano anima razionale
(psyché) e abbiamo uno spirito. La nostra parte razionale, mentale, psicologica – chiamiamola
come vogliamo – ha bisogno di essere nutrita, e nutrita bene. Se mangiamo cibi adulterati ci fanno più
male che bene. E anche il nostro “spirito” deve essere nutrito. Se lo spirito è fiacco, debole, “scarico”
non funziona più niente, come un’automobile con le gomme bucate. È lo spirito che sostiene il tutto; e
spesso tale spirito è come morto, perché abbiamo spesso di nutrirlo o lo abbiamo nutrito male. La
domanda che dovremmo farci è: che tipo di cibo entra nella nostra anima e nel nostro spirito? Poiché
è certo, anche se non ci pensiamo o non ci rendiamo conto, che siamo sempre alla ricerca di qualcosa
che riempia il vuoto che abbiamo dentro. Però non di rado il cibo che ci alimenta è un nutrimento corruttibile,
che ci dà una sazietà momentanea, passeggera. Spendiamo la nostra vita, il nostro tempo, le
nostre energie, per nutrirci di ciò che non sazia (Is 55,2). Occorre perciò un cibo incorruttibile, un vero
pane dal cielo.
3. Il cibo della Sapienza.
- «Operate non per il cibo che perisce, ma per il cibo che rimane per la vita eterna» (v. 27). Questa affermazione,
che costituisce il fulcro del brano odierno, evidenzia dunque il fatto che nell’essere umano
esiste una dimensione più profonda di quella semplicemente corporale. Esiste in ciascuno
l’esigenza di capire il senso della sua esistenza e di dare un senso pieno alla sua vita. Se ci manca questo
senso proviamo un vuoto interiore che richiede di essere riempito; è una fame interiore che vuole
essere saziata. Il vero cibo è quello che ci permette di realizzare il vero senso della nostra esistenza.
La Scrittura più volte presenta la metafora del cibo e del banchetto per indicare il bisogno di un nutrimento
che non è solo quello materiale (Is 25,6; 55,1-3). Anche la manna del deserto (prima lettura)
era “segno” di qualcosa di più importante. In Dt 8,3 Mosè afferma che Dio ha dato la manna allo scopo
di “far conoscere” loro, affinché essi sapessero che l’uomo vive per mezzo di “tutto ciò che esce
dalla bocca di Jahvè” (la stessa idea viene espressa in Sap 16,26). Gesù dirà nel seguito del suo discorso
che “i padri del deserto sono morti, nonostante abbiano mangiato il pane dal cielo” (6,49), perché
hanno mancato nel passare dal segno al significato, dal miracolo alla fede. Quando Dio comandò
loro di entrare nella terra non obbedirono, erano ancora senza fede (Nm 14). Il cibo che esce dalla
bocca di Dio è la Sapienza, come appare in Sir 24,3. Nella Scrittura la Sapienza personificata prepara
un banchetto per quelli che la desiderano (Pr 9,1-6; Sir 24,18-19); essa stessa si dà in cibo (Sir 24,20).
Il cibo che perisce è quello per cui l’uomo si affanna e per cui fatica, mentre quello che non perisce è
quello che Dio dona (Gv 6,32) e lo dona al suo diletto (Sal 127,2), e il diletto di Dio è colui che ama,
desidera e cerca la Sapienza. Infatti «chi si leva di buon mattino per essa non faticherà» (Sap 6,14). La
manna stessa viene interpretata come un pane dal cielo “senza fatica” (Sap 16,20) La Sapienza è il cibo
necessario perché l’uomo conosca e realizzi il senso della sua vita. La nostra anima ha bisogno della
Sapienza, di ciò che rivela il senso profondo dell’esistenza e offre gli strumenti per realizzare tale
senso. In definitiva questa Sapienza finisce per identificarsi con Dio. Il nostro spirito ha bisogno dello
Spirito perché non trova pace finché non riposa in Dio (sant’Agostino).
- «Io sono il pane della vita» (v. 35). Tutto questo si realizza in una persona, Gesù Cristo, vera Sapienza
e vero Dio. Nel v. 35 Gesù si identifica con il pane che non perisce. Il parallelo fra fame e sete
sottolinea ancora di più il carattere spirituale del cibo che Gesù offre. Infatti il binomio fame-sete richiama
diversi passi biblici. Ad esempio in Is 55,1 si parla di bere e di mangiare, di acquistare gratuitamente
ciò che serve per saziare la fame e la sete. Il senso del testo è chiaramente metaforico, alludendo
ad un cibo e a una bevanda non materiale. Come Is 55,2-3 pone insieme il nutrirsi con
l’ascolto, così in Am 8,11-12 la fame e la sete sono metafore per il bisogno della parola di Dio, della
Sua rivelazione. Dunque il vero cibo e la vera bevanda di cui parla Gesù sono la parola di Dio, che è
manifestata pienamente nel pane della vita che è Cristo stesso. Egli è la manna nascosta (cfr. Ap
2,17), sconosciuta, che scende dal cielo perché è uscita dalla bocca di Dio, e che permette all’uomo di
vivere. In Gv Cristo è il Logos, la “Parola” (1,1.14); e, in quanto tale, non può che procedere dalla
bocca di Dio (Sir 24,3.20-23). È lui quindi la Sapienza uscita dalla bocca di Dio; quella Sapienza che
è un cibo che non stanca, che non nausea (come invece era stato per la manna e le quaglie nel deserto:
Nm 11,6.20), che aumenta il desiderio di possederla perché non è altro che la Torah di Dio. Come la
Sapienza nell’Antico Testamento, Cristo offre se stesso in cibo.
4. Quello che interessa alla gente che segue Cristo è il miracolo fisico, è risolvere i problemi corporali,
sociali, politici (per questo volevano farlo re). Ma Cristo non è venuto per questo, perché egli sa che
anche i miracoli fisici sono un cibo che perisce. A che serve all’uomo guadagnare il mondo intero se
poi perde la sua vita? (Mt 16,26). La realtà dell’uomo, la sua vita, va oltre alla realtà puramente corporale,
fisica. Il problema della folla è quello di essersi fermarti al segno, al pane materiale, e non essere
passati al significato: Cristo, colui che ha dato quel pane, è il vero pane che sazia. Per questo nel v. 27
Gesù pone la folla nella giusta prospettiva. Occorre cercare Cristo non per il pane che perisce, ma per
quello che non perisce, che rimane per la vita eterna. Chi va a Cristo soltanto per avere miracoli non
risolverà mai il vero problema. Anche il miracolo è un cibo che perisce perché, come il pane che
mangiamo oggi e che domani non ci serve più, così il miracolo risolve questo problema contingente
che abbiamo oggi, ci libera da questa paura di oggi, ma domani avremo altri problemi e altre paure, e
saremo costretti a chiedere altri miracoli. Nonostante che gli apostoli avessero visto tanti miracoli, la
croce di Cristo li ha comunque scandalizzati, e nel giorno della risurrezione si trovavano chiusi per
“paura” dei giudei (Gv 20,19). Il miracolo in sé non risolve il vero problema dell’uomo. Esso deve
servire come un segno, per farci passare alla fede, per farci incontrare con l’Autore della vita.
Fonte:http://www.donmarcoceccarelli.it