Don Marco Ceccarelli, "Il“segno” Gesù
I Lettura: 2Re 4,42-44
II Lettura: Ef 4,1-6
Vangelo: Gv 6,1-15
- Testi di riferimento: Es 16,16.19-20; Nm 11,13.21-22.31; Dt 18,15.18; Sal 23,5; 78,19; Sap 19,12;
Mt 26,20; Gv 1,21; 3,16; 5,41; 6,27.39; 7,40; 10,28; 11,27.50-52.55; 12,1; 17,11-12; 18,33-37; At
3,22-24; 7,37; 1Cor 10,16-17
1. Può sorprendere il fatto che in questa domenica il brano di Vangelo non sia tratto da Mc, ma da
Gv. L’episodio della moltiplicazione dei pani che avremmo dovuto ascoltare in Mc viene sostituito
dal parallelo preso dal sesto capitolo del quarto Vangelo. Il proseguo di tale capitolo sarà poi ascoltato
nelle domeniche successive perché in esso è presente l’interpretazione, da parte di Gesù stesso,
del “segno” dei pani. Ciò permette, dal punto di vista liturgico, di “riempire” qualche domenica che
sarebbe rimasta scoperta a causa della brevità del Vangelo di Mc; ma soprattutto ci permette di stare
per un mese in ascolto di questo importante discorso che Gesù fa riguardo al vero cibo che viene dal
cielo.
2. Il “segno”. È chiaro che Gesù vuole, di propria iniziativa e senza alcuna contingente necessità (v.
5), compiere un segno che ha a che fare con “la pasqua, la festa dei giudei” (v. 4). Nel v. 14 il miracolo
di Gesù viene appunto chiamato “segno”. Questa denominazione è tipica di Gv (vedere anche
il v. 2). Il termine è importante perché con esso si mette bene in chiaro ciò che del miracolo è importante.
Un segno non è importante per se stesso, ma per ciò che vuole indicare. Il segno fa un servizio;
ma la cosa importante è un’altra, è la realtà a cui il segno si riferisce. Così se cerchiamo una
farmacia e vediamo una croce verde ci indirizziamo in quella direzione; non per acquistare quella
croce verde, ma la medicina che ci occorre. Dunque i miracoli di Cristo sono un segno in quanto essi
hanno importanza non per l’effetto materiale che ottengono (la guarigione, la moltiplicazione del
cibo, ecc.), ma per il significato che vogliono comunicare. Se ci si ferma al segno, se si è appagati
con il risultato immediato del miracolo, tale miracolo non ha raggiunto il suo scopo. Per questo il
giorno dopo, quando la folla cerca Gesù, egli manifesta la loro incapacità nel comprendere quanto
avevano visto: «Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato dei pani
e vi siete saziati …» (Gv 6,26-27).
3. La Pasqua. Il segno che Gesù compie va inquadrato nel contesto pasquale. Nel Vangelo di Giovanni
non abbiamo il racconto dell’ultima cena con le parole relative al pane e al vino come negli
altri Vangeli. Però questo capitolo 6 appare come una grande interpretazione teologica del banchetto
pasquale e della celebrazione eucaristica. La menzione della «pasqua, la festa dei giudei» (v. 4)
rimanda a Gv 11,55 e 12,1, cioè all’ultima pasqua, quella della passione di Cristo, in cui egli, come
agnello pasquale, sarà immolato sulla croce. Il segno che Gesù compie va inquadrato e compreso
con l’evento che compirà durante l’ultima Pasqua. La moltiplicazione dei pani “funziona” dunque
in Gv come il racconto dell’ultima cena. È Gesù che la vuole (non si parla di una necessità di sfamare
la folla che stava appena arrivando); è lui personalmente (e non i discepoli) che distribuisce il
pane, e questo prepara quanto dirà in seguito (6,27.51); sarà lui che interpreterà in questo senso il
segno che ha compiuto. Gesù riceverà la sua “incoronazione” a re durante la sua ultima Pasqua (sulla
croce egli è il “re dei giudei”). Anche la menzione, alla fine del capitolo, dei dodici e del tradimento
di Giuda collega il tutto al contesto dell’ultima cena.
4. Il pane avanzato. Nel nostro racconto piuttosto che sul pane mangiato dalla folla l’accento sembra
cadere sul pane avanzato, quello che non “perisce” (vv. 12-13). Ed è questo pane che non perisce
che costituirà l’oggetto centrale di quanto Gesù dirà in seguito e che ascolteremo nelle prossime
domeniche. In fondo il vero segno non è tanto quello di aver sfamato la moltitudine, quanto piuttosto
il fatto che il pane avanza e non va perduto. Il pane che Mosè ha dato nel deserto (la manna) periva
perché il giorno dopo era già marcito; invece quello offerto da Gesù rimane (cfr. 6,27). Sta qui
la differenza sostanziale fra la manna del deserto e il pane che Gesù offre. In Es 16,16.19-20 si racconta
che non era consentito conservare manna per il giorno successivo, perché quella avanzata imputridiva.
Ora, se Gesù dice di raccogliere quello che avanza, implicitamente sta dicendo che tale
pane è superiore alla manna. Se il pane che Gesù dona va conservato, al contrario della manna che
invece non poteva essere conservata perché si corrompeva, ciò significa che esso non si corrompe,
che è incorruttibile. Dunque se da un lato Gesù mostra i tratti del nuovo Mosè che sfama le moltitudini,
d’altro lato egli se ne distingue, perché quello che lui porta è molto superiore. Il vero cibo, il
vero pane dal cielo, la vera manna che non perisce, quello che Dio dona al mondo, è la persona di
Cristo risorto. È la sua vita, una vita non più soggetta alla morte e che permane dentro di noi in
eterno, ad essere il principio di sussistenza per la nostra vita. Il pane che egli dona è quel suo corpo
offerto e quel suo sangue versato sulla croce e allo stesso tempo risorto ed eterno. La Pasqua del
cristiano sarà l’entrare in comunione con la persona viva di Cristo risorto, l’agnello pasquale immolato
sulla croce, ma risuscitato e vivente. Il suo corpo e il suo sangue, in altre parole la sua persona,
è il pane che il Padre ha provveduto per la vita del mondo (lo si vedrà meglio nelle prossime domeniche).
5. Dal segno alla realtà. Il segno è l’offerta del cibo, di un cibo che non deve perire, realizzata nel
contesto della pasqua ebraica. La realtà, il significato del segno, è il corpo di Cristo, vero pane disceso
dal cielo, offerto durante la Pasqua ebraica sulla croce per gli uomini, come un pane che non
perirà mai. Anche oggi Cristo compie miracoli. Forse ne abbiamo chiesti e ne abbiamo ottenuti. Ma
nondimeno essi rimangono segno di qualcosa di più profondo che lui vuole fare con noi. E se non
passiamo dal segno alla realtà allora il miracolo non ha raggiunto il suo scopo. Troppa gente cerca
ancora Cristo perché ha visto o vuole vedere dei segni. Il vero miracolo è che Cristo è risorto e appare
ai suoi come vincitore della morte. Il vero miracolo è il Cristo eternamente vivente in mezzo a
noi. Questa presenza ci libera dalla paura: «anche se cammino in una valle oscura non temerò alcun
male perché Tu sei con me» (Sal 23,4). Quando Gesù risorto appare in mezzo ai suoi essi passano
dalla paura alla gioia. Il miracolo non libera dalla paura. Ci libera da quella paura contingente; ma il
giorno dopo avremo di nuovo altre paure e andremo in cerca di altri miracoli. Se uno si ferma al miracolo,
al momento sarà entusiasta, ma il giorno dopo, quando vorrà un altro miracolo e non lo avrà,
sarà in crisi (è il problema di Israele nel deserto, che continua a chiedere miracoli e non giunge mai
alla fede). Chi si ferma al miracolo mangia un pane che perisce (Gv 6,27), che il giorno dopo già
non gli serve più. L’incontro con Cristo risorto mi libera definitivamente dalla paura, cosicché
quando mi trovo in una situazione di morte non sarò oppresso dall’angoscia e costretto ad aggrapparmi
al miracolo;, ma saprò, per la certezza che mi dà la fede, che quella morte apparente non esiste,
perché Cristo l’ha vinta. Se il Signore ci concede segni, miracoli, non è perché andiamo avanti
tutta la vita chiedendo miracoli, ma affinché quei segni ci facciano capire e credere al potere che lui
ha sulla morte. Il miracolo è solo un segno per farci giungere alla fede (Gv 20,30-31), per far capire
che Cristo ha potere di cambiare la nostra situazione di morte in una vita nuova. Per questo aveva
detto al paralitico: «Ecco sei diventato sano; non peccare più, affinché non ti succeda qualcosa di
peggio» (Gv 5,14). Solo se il Figlio ci fa liberi saremo veramente liberi (Gv 8,36).
Fonte:http://www.donmarcoceccarelli.it