Don Marco Ceccarelli," L’apprendistato degli apostoli."

XVI Domenica Tempo Ordinario “B” – 22 Luglio 2018
I Lettura: Ger 23,1-6
II Lettura: Ef 2,13-18
Vangelo: Mc 6,30-34
- Testi di riferimento: Lv 10,8-11; Nm 27,17; 1Re 22,17; Pr 10,21; Sir 51,23-28; Is 49,9-10.15;
54,7-8.10; 56,10-12; 63,15; Ger 3,15; 10,21; 50,6; Os 11,8; Am 8,11-12; Mi 3,11; Sof 3,4; Zc 10,2;
11,16-17; Mal 2,7; Mt 11,28-30; 15,14; Lc 1,78; Gv 10,12-16; At 6,4; 20,28-30; Col 3,12; 2Tm
2,24; Tt 1,9; Ap 7,16-17
1. L’apprendistato degli apostoli. Nel brano di Vangelo odierno si descrive il momento in cui gli
apostoli, vale a dire il gruppo dei dodici (cfr. Mc 6,7), tornano dalla missione e raccontano quanto
hanno fatto e insegnato. In precedenza si era detto che Gesù «costituì dodici, che anche chiamò
apostoli, affinché stessero con lui e per mandarli a predicare» (Mc 3,14). Era usanza per dei discepoli
vivere insieme al loro maestro; si imparava vivendo in stretto contatto, come se maestro e discepoli
formassero un’unica famiglia. Gli apostoli hanno avuto bisogno di essere istruiti prima di
poter essi stessi istruire altri. La ricerca di istruzione è uno dei temi principali di cui si parla nella
Scrittura. Secondo la concezione biblica se non si cammina nella via del Signore – cioè secondo i
suoi comandamenti – si è automaticamente nella via dell’empietà; se non si cammina nella via della
vita, si è nella via della morte. Non esiste soluzione intermedia. Camminare nella via del Signore
significa seguire la sua torah, il suo “insegnamento”. Occorre quindi conoscerlo, essere istruiti in
esso. Non basta non volere fare il male per essere già nella via del bene. Se non esiste una fattiva
ricerca della sapienza, della istruzione, della conoscenza della volontà di Dio, si finirà, anche senza
volerlo, per camminare nella via dell’ingiustizia. Dunque gli apostoli devono essere formati alla
scuola della Sapienza che è Cristo. Perciò di nuovo, al loro ritorno, vengono portati in disparte per
continuare questo loro “apprendistato”.
2. La compassione di Gesù per la gente. Il v. 34 del Vangelo ci indica la tematica di questa domenica,
sottolineata dall’abbinamento con la prima lettura. Gesù mostra il suo cuore di pastore nel “sentire
compassione” (splagchnizo) per la gente. Il verbo ha a che fare con le “viscere” (splagchna) e
nei Vangeli è sempre applicato a Cristo, mentre nell’Antico Testamento esprime l’amore viscerale
di Dio per il suo popolo. Quando vediamo soffrire qualcuno che amiamo ci si contorcono le viscere,
proviamo qualcosa dentro di noi che è ben più di un semplice sentimento di compassione. Ciò che
fa “contorcere le viscere” a Gesù è vedere che le folle sono «come pecore senza pastore». Questa
espressione è usata nell’Antico Testamento in riferimento al popolo di Israele quando i suoi capi –
re, profeti, sacerdoti – sono venuti meno nel guidarlo secondo la volontà di Dio. I pastori del popolo
sono le sue guide politiche e religiose, le quali hanno il compito di condurlo secondo le leggi di
Jahvè. Tali pastori devono indicare la via giusta sulla quale camminare, vale a dire il retto agire che
corrisponde a quanto insegnato dal Signore. Per questo ad essi è richiesto di conoscere la volontà di
Dio, la torah (Dt 17,18-19; Gs 1,7-8; Mal 2,7), perché dovranno guidare il popolo in conformità ad
essa; essi infatti non sono altro che pastori vicari del vero Pastore. Perciò soprattutto i sacerdoti saranno
rimproverati per la loro mancanza a questo riguardo (Ger 2,8; Ez 7,26; Mi 3,11; Sof 3,4; Mal
2,8). La qualità fondamentale del pastore deve essere quindi quella del discernimento (Ger 3,15;
10,21; 23,5), che si acquista ponendosi umilmente alla scuola della sapienza, sottoponendo il collo
al giogo della istruzione, della torah (Sir 51,23-28). Quando ciò non avviene, e di conseguenza i pastori
insegnano cose differenti dalla volontà di Dio, gli israeliti diventano pecore smarrite, in preda
ai lupi e ai predoni. «Poiché i pastori sono diventati stolti e non hanno ricercato il Signore allora …
tutto il loro gregge è disperso» (Ger 10,21). Questo è ciò che Gesù vede nella gente che ha di fronte.
La situazione tragica in cui si trova il popolo e che provoca in lui un contorcimento di viscere è la

loro mancanza di qualcuno che insegni loro la via di Dio. Per questo, in risposta a tale situazione,
Gesù «cominciò ad insegnare loro molte cose».
3. Il pastore e l’insegnamento. Sappiamo bene come sia diffuso un certo sentimento di allergia nei
riguardi dei predicatori, degli educatori, di chi pretende di insegnarci qualcosa. Così, anche fra le
attività di Gesù, quella di “maestro” non è probabilmente quella che si preferisce sottolineare. Eppure
nei Vangeli, e soprattutto in Mc, è questa certamente la sua occupazione principale. Cristo è il didascalo,
è colui che insegna. Ed è un vero pastore proprio perché è un vero maestro; non c’è distinzione
fra i due ruoli. Nella storia d’Israele molti pastori hanno mancato di condurre il popolo nella
via di Jahvè (vedi prima lettura e testi di riferimento). Gesù si presenta come il vero pastore divino
che conduce il gregge sui sentieri giusti (Sal 23,3) donando la torah, l’insegnamento di Dio. Lui è il
vero didascalo, il vero rivelatore della volontà di Dio. Anzi, lui stesso è Dio. In lui si realizza quanto
annunciato nella prima lettura, cioè che Dio stesso si fa pastore del suo popolo; e, allo stesso tempo,
Gesù è il figlio di Davide. Dio aveva promesso un re saggio, un discendente di Davide che avrebbe
guidato il popolo da vero pastore. Insegnando alle folle Gesù si mostra come colui che adempie
questa promessa. Dio non è indifferente alle sofferenze umane. Anche a Lui, nell’umanità di Gesù,
si contorcono le viscere nel vedere le tragedie di tanti uomini. E tuttavia forse il suo modo di vedere
la realtà umana non è proprio simile al nostro. Noi potremmo pensare che, se Dio si preoccupasse
degli uomini, dovrebbe intervenire risolvendo i conflitti, i problemi della fame e quant’altro. Invece
Dio ha mandato il suo figlio come pastore per gli uomini, ad insegnare la via, la verità e la vita, perché
lui stesso è la via, la verità e la vita. La risposta al male nel mondo, la risposta al peccato che è
la causa del male nel mondo, Dio la offre nel pastore che ha dato la sua vita per le pecore.
4. I pastori e l’insegnamento. Se Dio ha compassione delle persone, che sono come pecore senza
pastore, non possiamo non averne anche noi. Gli uomini che non hanno Dio come pastore sono in
preda a chiunque voglia abusare di loro. Gli uomini senza Cristo sono pecore smarrite, anche senza
saperlo, pensando di conoscere la strada per la felicità e finendo invece per essere preda di lupi feroci,
di chi finge di amarli, ma cerca solo il proprio interesse. Anche se non ce ne rendiamo conto,
non siamo mai senza maestri; c’è sempre qualcuno a cui diamo ascolto. Dovremmo chiederci chi
sono i maestri che stanno orientando la nostra vita; tenendo presente che nessuno ama veramente gli
uomini come Dio. Tutti hanno qualche interesse da ricavare da noi, in qualche modo; tutti tranne
Cristo. Cristo non ha alcun interesse da ricavare da noi. Non ha bisogno dei nostri soldi, del nostro
affetto, o dei nostri voti. Al contrario, è lui che ha dato tutto per noi. Per questo è l’unico di cui possiamo
fidarci veramente, perché è l’unico che veramente vuole il nostro bene. A lui possiamo e
dobbiamo rivolgerci nella certezza che quanto ci dice è per il nostro bene. Se amiamo gli uomini
dunque non possiamo non avere in noi gli stessi sentimenti di Cristo (Fil 2,5).

Fonte:http://www.donmarcoceccarelli.it

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