Padre Paolo Berti, “...e prese a mandarli a due a due...”
XV Domenica del T. O.
Mc 6,7-13
“...e prese a mandarli a due a due...”
Omelia
Amasia, sacerdote del tempio di Betel - tempio regale del re di Samaria caratterizzato dalla presenza di un vitello d'oro - ci dà l'identikit del falso profeta. Infatti le parole che rivolge ad Amos sono rivelatrici di quello che è un profeta cortigiano. Un profeta cortigiano cerca sempre di compiacere i potenti, quando non cerca lui stesso la scalata al potere. Amasia ci tiene a dire che è sotto la protezione del re, e che il tempio è del regno, e quindi del re. Fare il profeta per Amasia è un espediente per cercare l'utile il potere di questo mondo.
Amos capisce benissimo il discorso di Amasia: “Vattene, veggente, ritirati verso il paese di Giuda; là mangerai il tuo pane”. Amasia pensa che Amos sia come lui e dunque si tratta solo di una questione territoriale, non della verità. Capì benissimo Amos, non era uno sprovveduto, e rispose immediatamente differenziandosi radicalmente da Amasia e dai profeti cortigiani: “Non ero profeta né figlio di profeta; ero un mandriano e coltivavo piante di sicomòro. Il Signore mi prese, mi chiamò mentre seguivo il gregge. Il Signore mi disse: Va’, profetizza al mio popolo Israele".
Ecco la differenza: la chiamata di Dio, l'essere inviati da Dio. Chi non è inviato da Dio, non è mosso da Dio, e agisce il prestigio, l'utile terreno. Dice Dio circa i falsi profeti (Ger 14,14): “I (falsi) profeti hanno proferito menzogne in mio nome; io non li ho inviati”. Amos afferma proprio questo: “Io avevo una mia vita, un mio lavoro, non sono diventato profeta per sbarcare il lunario, ma perché il Signore mi ha chiamato e inviato”.
Amos ha obbedito ad un comando: “Va', profetizza al mio popolo Israele”. Non c'è per Amos il popolo del re, sia che questi sia re di Samaria o di Giuda: c'è solo il popolo di Dio.
Il compiacere i potenti, il ricercare l'utile terreno, forma il falso profeta il quale, per farsi passare per autentico, deve mentire, e mente. Le istruzioni date ai Dodici al momento del loro invio sono tutte rivolte a tener lontani gli Apostoli dall'entrare in compromesso coi potenti, a non ricercare l'utile terreno, ad essere fedeli a colui che li invia. Concede ben poco Gesù: solo un bastone, i sandali, una tunica. Niente cibi, niente denari. A tutto provvederà il padrone della vigna. Non provvederà un potente, non un re, al quale dover poi essere grati e compiacenti. Avranno il cibo e sarà loro assicurata l'acqua come dice Dio per mezzo di Isaia (33,16): “Costui abiterà in alto, fortezze sulle rocce saranno il suo rifugio, gli sarà dato il pane, avrà l'acqua assicurata”. Linguaggio figurato questo per dire l'assistenza di Dio in tutto. Quando ci appoggiamo ai potenti, e lo abbiamo fatto tante volte, facciamo venir meno il nostro essere profeti, profeti in quanto testimoni di Cristo (Cf. Ap 19,10). Quante volte nei secoli le labbra di tanti ministri della Chiesa sono rimaste mute per paura dei potenti, per paura che i potenti ritirassero i privilegi concessi. Quanti oggi hanno perso lo spirito di profezia e perciò non sanno più denunciare il male come devono fare i veri profeti mossi dalla carità per le anime.
Certo, le parole dell'invio dei Dodici, tanto amate da S. Francesco, non possono essere applicate strettamente ad una famiglia, il cui quotidiano è intessuto di occupazioni che riguardano beni terreni, ma certo quelle parole lanciano luce anche alla famiglia. Le parole di Gesù dicono di non lasciarsi prendere dal vortice del guadagno, sognando chissà quale meta che sia sosta alle fatiche e che crei l'adagiarsi dell'uomo ricco della parabola, che fece buttare giù i vecchi granai per farne dei nuovi capaci di raccogliere uno straordinario raccolto, garanzia di spensieratezza per il futuro. La famiglia non deve lasciarsi prendere dalla sete del guadagno, pena la perdita della sua intimità fondata sull'amore. Una famiglia non deve aspirare ad entrare nel circolo dei potenti della terra,rinunciando alla sua ricchissima identità cristiana per vuote scalate carrieristiche.
Ma, tornando al Vangelo, guai se non ci fossero più uomini e donne che lasciano tutto per donarsi a tempo pieno al Vangelo, in una totale consacrazione a Cristo. Ma, viceversa, guai ai consacrati, se non accolgono con grande stima la famiglia e le sue relazioni interne; essi perderebbero non solo la visione piena del disegno di Dio per gli uomini, ma si priverebbero della visione di relazioni, che, analogicamente prese, sono fondamentali per cogliere la paternità di Dio, la figliolanza con Dio Padre, la sponsalità tra Cristo e la Chiesa, la fraternità tra gli uomini nell'unico Padre celeste. E guai se, chiusi in se stessi, i consacrati perdessero di vista le relazioni di amicizia, perché Cristo si è fatto amico degli uomini, oltre che fratello, e, si è fatto anche padre, poiché nuovo Adamo. La paternità degli apostoli nasce proprio dal continuare l'opera di Cristo, dal generare gli uomini a Dio mediante la conoscenza di Cristo (Cf. 1Cor 4,15). “Piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ha origine ogni discendenza in cielo e sulla terra" (Ef 3,14-15), e questo mediante Cristo il nuovo Adamo, del quale l'antico era solo una figura. La discendenza è quella di Cristo, di ogni comunità in Cristo nell'unica Chiesa. In questo senso Paolo si può dire padre, poiché ha generato per mezzo dell'annuncio del Vangelo di Cristo, nuovo Adamo (Cf. 1Cor 4,15; Gal 4,19). Paolo dice anche che ogni comunità, ogni coro celeste, procede dalla Paternità di Dio in Cristo, che ha ricevuto dal Padre la possibilità di ricomporre i vuoti celesti creati dalla defezione degli angeli ribelli. Ma, qui bisogna poi fermarci, tutta la ricchezza delle relazioni stabilite da Dio in Cristo la potremo percepire solo in cielo. A noi non resta che innalzare a Dio l'inno di lode della seconda lettura: “Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità”.
Siamo stati scelti, eletti alla vita in Cristo. L'iniziativa è di Dio: noi l'abbiamo accolta. Come Amos siamo dei chiamati, degli inviati ai nostri fratelli, con diversità di compiti, ma certo nel comandamento cardine della carità. Amos si mosse sotto l'azione dello Spirito Santo, questo accade anche per noi, ma abbiamo in più “il suggello dello Spirito Santo che era stato promesso”, cioè la presenza dello Spirito nei nostri cuori. Amos aveva lo Spirito che agiva su di lui, noi l'abbiamo inabitante in noi, che agisce permanentemente in noi. Noi siamo profeti in Cristo, abbiamo la forza che procede da lui; siamo testimoni di lui, annunciatori di una parola che viene da lui. La sicurezza di Amos, la franchezza di Amos, la capacità di porsi in contrasto con il mondo mentre si agisce per portare gli uomini a Dio, la dobbiamo possedere anche noi, anzi dovremmo avere tutto ciò maggiormente di Amos. Tutto però crolla, come tante volte è crollato, quando come utile del nostro agire poniamo gli onori e le ricchezze. Tutto svanisce quando cerchiamo il compromesso col mondo. Tutto svanisce quando cerchiamo il potere. Quante volte tanti cristiani hanno perso lo spirito di profezia, inteso come testimonianza di Cristo (Cf. Ap 19,10), perché si sono lasciati intimorire dal mondo, prendere dal mondo. Quante volte uomini di Chiesa si sono accordati col potere e sono diventati per questo muti. Non hanno più parlato di futuro sulla terra, ma solo hanno giustificato il presente ricco di caducità nel quale si erano inglobati per una misera offerta, per una sicurezza estremamente insicura. Così, senza spirito di profezia non sono stati pionieri, con la preghiera, il sacrifico, il pensiero, di un futuro improntato dalla carità. Amen. Ave Maria. Vieni, Signore Gesù.
Fonte:http://www.perfettaletizia.it/
Mc 6,7-13
“...e prese a mandarli a due a due...”
Omelia
Amasia, sacerdote del tempio di Betel - tempio regale del re di Samaria caratterizzato dalla presenza di un vitello d'oro - ci dà l'identikit del falso profeta. Infatti le parole che rivolge ad Amos sono rivelatrici di quello che è un profeta cortigiano. Un profeta cortigiano cerca sempre di compiacere i potenti, quando non cerca lui stesso la scalata al potere. Amasia ci tiene a dire che è sotto la protezione del re, e che il tempio è del regno, e quindi del re. Fare il profeta per Amasia è un espediente per cercare l'utile il potere di questo mondo.
Amos capisce benissimo il discorso di Amasia: “Vattene, veggente, ritirati verso il paese di Giuda; là mangerai il tuo pane”. Amasia pensa che Amos sia come lui e dunque si tratta solo di una questione territoriale, non della verità. Capì benissimo Amos, non era uno sprovveduto, e rispose immediatamente differenziandosi radicalmente da Amasia e dai profeti cortigiani: “Non ero profeta né figlio di profeta; ero un mandriano e coltivavo piante di sicomòro. Il Signore mi prese, mi chiamò mentre seguivo il gregge. Il Signore mi disse: Va’, profetizza al mio popolo Israele".
Ecco la differenza: la chiamata di Dio, l'essere inviati da Dio. Chi non è inviato da Dio, non è mosso da Dio, e agisce il prestigio, l'utile terreno. Dice Dio circa i falsi profeti (Ger 14,14): “I (falsi) profeti hanno proferito menzogne in mio nome; io non li ho inviati”. Amos afferma proprio questo: “Io avevo una mia vita, un mio lavoro, non sono diventato profeta per sbarcare il lunario, ma perché il Signore mi ha chiamato e inviato”.
Amos ha obbedito ad un comando: “Va', profetizza al mio popolo Israele”. Non c'è per Amos il popolo del re, sia che questi sia re di Samaria o di Giuda: c'è solo il popolo di Dio.
Il compiacere i potenti, il ricercare l'utile terreno, forma il falso profeta il quale, per farsi passare per autentico, deve mentire, e mente. Le istruzioni date ai Dodici al momento del loro invio sono tutte rivolte a tener lontani gli Apostoli dall'entrare in compromesso coi potenti, a non ricercare l'utile terreno, ad essere fedeli a colui che li invia. Concede ben poco Gesù: solo un bastone, i sandali, una tunica. Niente cibi, niente denari. A tutto provvederà il padrone della vigna. Non provvederà un potente, non un re, al quale dover poi essere grati e compiacenti. Avranno il cibo e sarà loro assicurata l'acqua come dice Dio per mezzo di Isaia (33,16): “Costui abiterà in alto, fortezze sulle rocce saranno il suo rifugio, gli sarà dato il pane, avrà l'acqua assicurata”. Linguaggio figurato questo per dire l'assistenza di Dio in tutto. Quando ci appoggiamo ai potenti, e lo abbiamo fatto tante volte, facciamo venir meno il nostro essere profeti, profeti in quanto testimoni di Cristo (Cf. Ap 19,10). Quante volte nei secoli le labbra di tanti ministri della Chiesa sono rimaste mute per paura dei potenti, per paura che i potenti ritirassero i privilegi concessi. Quanti oggi hanno perso lo spirito di profezia e perciò non sanno più denunciare il male come devono fare i veri profeti mossi dalla carità per le anime.
Certo, le parole dell'invio dei Dodici, tanto amate da S. Francesco, non possono essere applicate strettamente ad una famiglia, il cui quotidiano è intessuto di occupazioni che riguardano beni terreni, ma certo quelle parole lanciano luce anche alla famiglia. Le parole di Gesù dicono di non lasciarsi prendere dal vortice del guadagno, sognando chissà quale meta che sia sosta alle fatiche e che crei l'adagiarsi dell'uomo ricco della parabola, che fece buttare giù i vecchi granai per farne dei nuovi capaci di raccogliere uno straordinario raccolto, garanzia di spensieratezza per il futuro. La famiglia non deve lasciarsi prendere dalla sete del guadagno, pena la perdita della sua intimità fondata sull'amore. Una famiglia non deve aspirare ad entrare nel circolo dei potenti della terra,rinunciando alla sua ricchissima identità cristiana per vuote scalate carrieristiche.
Ma, tornando al Vangelo, guai se non ci fossero più uomini e donne che lasciano tutto per donarsi a tempo pieno al Vangelo, in una totale consacrazione a Cristo. Ma, viceversa, guai ai consacrati, se non accolgono con grande stima la famiglia e le sue relazioni interne; essi perderebbero non solo la visione piena del disegno di Dio per gli uomini, ma si priverebbero della visione di relazioni, che, analogicamente prese, sono fondamentali per cogliere la paternità di Dio, la figliolanza con Dio Padre, la sponsalità tra Cristo e la Chiesa, la fraternità tra gli uomini nell'unico Padre celeste. E guai se, chiusi in se stessi, i consacrati perdessero di vista le relazioni di amicizia, perché Cristo si è fatto amico degli uomini, oltre che fratello, e, si è fatto anche padre, poiché nuovo Adamo. La paternità degli apostoli nasce proprio dal continuare l'opera di Cristo, dal generare gli uomini a Dio mediante la conoscenza di Cristo (Cf. 1Cor 4,15). “Piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ha origine ogni discendenza in cielo e sulla terra" (Ef 3,14-15), e questo mediante Cristo il nuovo Adamo, del quale l'antico era solo una figura. La discendenza è quella di Cristo, di ogni comunità in Cristo nell'unica Chiesa. In questo senso Paolo si può dire padre, poiché ha generato per mezzo dell'annuncio del Vangelo di Cristo, nuovo Adamo (Cf. 1Cor 4,15; Gal 4,19). Paolo dice anche che ogni comunità, ogni coro celeste, procede dalla Paternità di Dio in Cristo, che ha ricevuto dal Padre la possibilità di ricomporre i vuoti celesti creati dalla defezione degli angeli ribelli. Ma, qui bisogna poi fermarci, tutta la ricchezza delle relazioni stabilite da Dio in Cristo la potremo percepire solo in cielo. A noi non resta che innalzare a Dio l'inno di lode della seconda lettura: “Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità”.
Siamo stati scelti, eletti alla vita in Cristo. L'iniziativa è di Dio: noi l'abbiamo accolta. Come Amos siamo dei chiamati, degli inviati ai nostri fratelli, con diversità di compiti, ma certo nel comandamento cardine della carità. Amos si mosse sotto l'azione dello Spirito Santo, questo accade anche per noi, ma abbiamo in più “il suggello dello Spirito Santo che era stato promesso”, cioè la presenza dello Spirito nei nostri cuori. Amos aveva lo Spirito che agiva su di lui, noi l'abbiamo inabitante in noi, che agisce permanentemente in noi. Noi siamo profeti in Cristo, abbiamo la forza che procede da lui; siamo testimoni di lui, annunciatori di una parola che viene da lui. La sicurezza di Amos, la franchezza di Amos, la capacità di porsi in contrasto con il mondo mentre si agisce per portare gli uomini a Dio, la dobbiamo possedere anche noi, anzi dovremmo avere tutto ciò maggiormente di Amos. Tutto però crolla, come tante volte è crollato, quando come utile del nostro agire poniamo gli onori e le ricchezze. Tutto svanisce quando cerchiamo il compromesso col mondo. Tutto svanisce quando cerchiamo il potere. Quante volte tanti cristiani hanno perso lo spirito di profezia, inteso come testimonianza di Cristo (Cf. Ap 19,10), perché si sono lasciati intimorire dal mondo, prendere dal mondo. Quante volte uomini di Chiesa si sono accordati col potere e sono diventati per questo muti. Non hanno più parlato di futuro sulla terra, ma solo hanno giustificato il presente ricco di caducità nel quale si erano inglobati per una misera offerta, per una sicurezza estremamente insicura. Così, senza spirito di profezia non sono stati pionieri, con la preghiera, il sacrifico, il pensiero, di un futuro improntato dalla carità. Amen. Ave Maria. Vieni, Signore Gesù.
Fonte:http://www.perfettaletizia.it/
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