Padre Paolo Berti, “Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un pò”

XVI Domenica del T. O.     
Mc 6,30-34 
“Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un pò”

Omelia 

Le parole che Dio affidò a Geremia contro i pastori d'Israele sono veramente impressionanti. Il quadro è tetro: i pastori “fanno perire e disperdono il gregge”, non si preoccupano di loro, solo provvedono a spillare forze e averi.
La causa della dispersione di Israele durante l'esilio è fatta risalire ai pastori iniqui. Loro, i pastori che vivevano all'ombra del tempio di Gerusalemme, si sono piegati ai re di Israele, alle loro voglie di idolatria. Loro, benché avvisati e rimproverati dai profeti, si sono lasciati prendere dal potere dei re. Loro perciò hanno condotto Israele in tale situazione. Loro hanno scacciato, disperso le pecore in regioni lontane, anche se ciò è avvenuto per mezzo degli invasori Assiri e Babilonesi.
Ma Dio, nonostante tutto questo, non si arrende e porta avanti il suo disegno d'amore: “Radunerò io stesso il resto delle mie pecore da tutte e regioni dove le ho lasciate scacciare (...). Costituirò sopra di esse pastori che le faranno pascolare, così che non dovranno più temere né sgomentarsi”.
I nuovi pastori resisteranno al potere dei re perché ci sarà un nuovo Re, “un germoglio giusto, che regnerà da vero re”. Un re salvatore poiché: “Lo chiameranno: ‹Signore-nostra-giustizia›”. La Chiesa scaturisce da questo nuovo Re, Gesù Cristo, e ha in sé ogni capacità di sottrarsi all'influsso dei potenti della terra. E' doloroso constatare che nel tempo tanti cristiani hanno ceduto all'influsso dei potenti e sono diventati sale inquinato, ma la Chiesa, la Sposa di Cristo, la Madre dei santi, la Custode della verità, ha sempre retto alle seduzioni, anzi sempre ha cercato con coraggio di far sì che re e potenti esercitassero la loro autorità secondo il Re dei re e il Signore dei signori. Ma, diciamo la verità, anche quando i potenti manifestavano di credere in Cristo e di essere ossequienti alla Chiesa, molto poco poi hanno collaborato con la Chiesa in modo vero, leale. Pochi i potenti che hanno servito Cristo Re. Tanti potenti e re hanno cercato di usare la Chiesa come strumentum regni, cioè strumento del loro potere. E la Chiesa ha agonizzato, ha sofferto nel vedere questo e soprattutto nel vedere che tanti si allontanavano dall'appartenenza al regno di Cristo per scegliere e appiattirsi ai regni terreni dei potenti. Quanti hanno giustificato le loro defezioni da Cristo con ragionamenti, giustificazioni e addirittura con enfasi profetiche sulla necessità di linee di compromesso. Tanti pastori, già stelle luminose, si sono fatti trascinare, nei secoli, a terra dalla coda del Dragone (Cf. Ap 12,4), e hanno aderito al potere della terra e alle sue attuazioni piene di errore e di orrore. Ma la Chiesa, vivente in Cristo, è sempre rimasta salda e sempre ha generato nello Spirito Santo dei santi.
La battaglia, la buona battaglia (Cf. 1Tm 1,18; 6,12; 2Tm 4,7) che la Chiesa sostiene ha sempre un esito: la vittoria, e con la vittoria la gloria, quella che si avrà in cielo nella visione di Dio.
I pericoli non fermano la Chiesa, e i veri pastori - quelli che non solo posseggono la consacrazione a sacerdoti, ma hanno anche il cuore consacrato da continua preghiera - li affrontano e li sostengono senza rimanere vittime dello sgomento. Pericoli all'esterno della Chiesa, ma anche all'interno da parte di “falsi fratelli” (2Cor 11,26); questi ultimi sono causa del massimo dolore alla Chiesa, poiché il loro agire è tradimento.
Ma Gesù sostiene i suoi pastori. Lui supremo Pastore li fa riposare: “Su pascoli erbosi il Signore mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce”. “Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po'”, disse il Signore agli apostoli. Riposarsi significa entrare in una viva pace, che è incontro con la dolcezza del Signore (Cf. 2Cor 10,1); significa vedersi liberati dall'inevitabile polvere che viene a gravare sull'animo quando si è nel mondo, cioè tra la gente carica di pesantezza, di errori. Ma la polvere del mondo non ha presa dove c'è la carità, non si radica nell'animo sostenuto dalla carità, e si dissolve nella preghiera; e la carità vede i dolori degli uomini e giunge alla commozione, a somiglianza di quella di Gesù nel vedere tante pecore sbandate, senza pastore.
Avete notato, fratelli e sorelle, che Gesù sacrifica quel tempo di riposo, vista tanta folla in attesa dall'altra parte del lago? Non disse Gesù: “Via, via, che dobbiamo riposarci!”; oppure: “Via, via, che dobbiamo pregare!”; non disse queste parole, perché il vero riposo è l'incontro vivo con Dio, senza chiusura verso le situazioni di emergenza dei fratelli. La mancanza di carità, di quella viva, di quella vera, allontana le pecore dalla luce. Mai un cristiano dovrà fare come i cattivi pastori di Israele che scacciavano infastiditi le persone che non davano loro soddisfazione, e anche quelle che la davano perché le scacciavano con i cattivi esempi. Ecco invece Gesù, nostro supremo modello: "si mise ad insegnare loro molte cose".
Neppure noi dobbiamo darci riposo. Mi spiego, se uno viene da te per essere consolato e scompagina così i tuoi giusti tempi di recupero, non usare con lui durezza: ascoltalo. Poi il Signore premierà la tua carità, togliendoti stanchezza. Basta un sorriso di Dio per moltiplicarci le forze.
Gesù, ci dice Paolo, è la nostra pace. Non c'è pace quando c'è l'inimicizia nel cuore. Non c'è pace quando le armi tacciono, ma nel cuore resta la guerra; questa non è pace. La pace sta nella carità verso tutti. Gesù è perenne annunciatore di pace: pace ai lontani e pace anche ai vicini, ai suoi. Pace che si ottiene stampando nel proprio cuore la croce di Cristo, il che avviene con l'accettazione del patire, e ancor più con l'amore al patire, al fine di essere con Cristo, in Cristo, per Cristo, un sacrificio gradito a Dio Padre. E nel nostro cuore devono esserci candidi gigli, cioè la purezza; lo Sposo del Cantico dei Cantici pascola infatti il gregge tra i gigli (6,3). Non si stampa nel nostro cuore la passione di Gesù se in esso non c'è amore alla purezza. In un modo dove il cuore degli uomini è pesante, sozzo di lussuria, come deve risplendere bello il cuore dei cristiani; cuori diventati giardini di gigli attorno all'albero della vita, che è la croce di Gesù!Un cuore pieno di pace non nasce da una concezione filosofica della vita: questa non è pace vera; non è pace quella che nasce dal senso soddisfatto, dalla vendetta compiuta, quella non è pace, ma tormento dato all'anima. La vera pace nasce dalla carità che è comunione con Dio e in Dio con i fratelli.
La pace non è inerzia, poiché sgorgando dalla carità non può essere inerzia, infatti (2Cor 5,14) “L'amore del Cristo infatti ci possiede”, il che vuol dire che ci fa essere sempre attivi nella preghiera, nel sacrificio, nelle opere. Si corre anche quando si è fermi nel silenzio, nella solitudine. Si corre col cuore, si corre amando. La preghiera non può essere senza l'amore e non può essere perciò senza l'intenzione, perché l'amore è ricco di intenzioni verso l'amato. S. Paolo ci dice nella lettera ai Romani (8,26): “Non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili”. Chi vive in Cristo, e quindi ha il dono dello Spirito Santo, è umile e prega in modo conveniente tendendo all'infinito verso Dio, servendolo nei fratelli. Lo Spirito alita in noi la preghiera. E, quando fossimo nell'incertezza di sapere quello che è meglio per noi, lo Spirito Santo ci fa intendere che il meglio sta sempre nel seguire Cristo, nel chiedere forza per imitare lui. Il meglio sta sempre in ciò che ci fa conformi a Cristo. Nell'amore sono contenute tutte le intenzioni che sono gradite a Dio, e anche se non le presentiamo una ad una, l'una ha implicita l'altra. Amare Dio vuol dire amare gli uomini, tutti gli uomini, nella moltitudine delle loro situazioni. E quando la nostra preghiera cede all'egoismo, subito avvertiamo l'intiepidimento del cuore e così ancor più dobbiamo obbedire alla Parola del Vangelo, nostra luce e guida, che ci spinge a pregare per tutti gli uomini. Ancor più ci uniamo a Cristo, nostro esempio e nostra forza. Così la preghiera è lode a Dio, ringraziamento, domanda di più vive virtù, oltre che del “pane quotidiano”; intercessione per i fratelli, per i singoli e per tutti. Paolo ci parla di “gemiti inesprimibili”. “Gemiti”, gemiti che non sono mugoli. “Gemiti” che sono desiderio di essere liberati dal peso della carne, sapendo che il peso della carne sopportato e incessantemente vinto ci donerà una quantità smisurata di gloria. "Gemiti" emessi nella morsa del dolore, ma senza impazienze. “Inesprimibili”, perché le parole non possono rendere i palpiti oranti del cuore. Potremmo dire tante parole su questi palpiti oranti, adoranti, ma non riusciremmo ad esprimerli. In ogni vera preghiera, che dal cuore sale al labbro, c'è sempre tantissimo che le parole non esprimono, ma che solo condensano.
Bello, fratelli e sorelle, abbandonarsi, in amore, a Dio che è amore! Notate non ho detto “abbandonarsi a Dio”, ho detto di più ”abbandonarsi in amore a Dio”, cioè amando, cioè nella suprema attività dell'anima, promossa e sostenuta dall'azione dello Spirito Santo. Amen. Ave Maria. Vieni, Signore Gesù.

Fonte:http://www.perfettaletizia.it/

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