Don Marco Ceccarelli, "La legge di Dio e le tradizioni degli uomini."

XXII Domenica Tempo Ordinario “B” – 2 Settembre 2018
I Lettura: Dt 4,1-2.6-8
II Lettura: Gc 1,17-18.21-22.27
Vangelo: Mc 7,1-8.14-15.21-23
- Testi di riferimento: Gen 6,5; 8,21; Es 20,12-14; Dt 12,32; Gb 14,4; Sal 10,6-7; 36,2; 51,12; Is
29,13; Is 59,3; Ger 2,22; 4,14.18; 17,1.9-10; Ez 18,31; 33,31; 36,25-27; Mt 12,33-35; 23,24-27; Gv
2,6; Rm 5,5; 14,14-17; Gal 1,14; 5,19-21; Ef 4,19; Col 2,21-23; 1Tm 4,3-5; Tt 1,15; Eb 9,10; 10,29;
Gc 1,14; 4,1.8; 1Pt 1,18-19; 4,2-3; 1Gv 1,7

1. Il brano del Vangelo odierno. Il ritorno al Vangelo di Mc, dopo la parentesi giovannea, vede Gesù
affrontare un paio di questioni di importanza capitale. L’occasione gli viene data dalla domanda
sul perché alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani “impure”, cioè non lavate (v. 2). Le
abluzioni prima dei pasti, come lo stesso Mc si premura di spiegare, non costituivano, come può essere
per noi oggigiorno, una regola di buona educazione, ma una prassi religiosa, dettata
dall’esigenza di purificazione (noi diremmo di santificazione). Le mani “pure” servivano a non rendere
“impuro” il cibo che si stava per consumare e quindi “contaminare” la persona che ne mangiava.
Gesù prende spunto da questa osservazione per precisare due punti che dovrebbero essere quasi
ovvi; ma, come spesso succede, le cose ovvie sono le più difficili da capire.
2. La legge di Dio e le tradizioni degli uomini.
- Innanzitutto Gesù ribadisce il principio per cui nessuna tradizione umana può annullare la parola
di Dio. E fa anche un esempio concreto che tuttavia non appare nel Vangelo odierno, essendo stato
omesso (Mc 7,9-13). La tradizione, gli insegnamenti dei padri nella fede, le applicazioni pratiche
dei comandamenti di Dio sono utili e a volte necessari, ma non possono in nessun caso annullare o
rendere secondaria la parola di Dio. E questo pericolo è sempre in agguato. Senza volerci addentrare
molto in questo argomento che meriterebbe più spazio, potremmo portare ad esempio l’ipotetico
caso di qualcuno che volesse ritenere la pratica dei nove primi venerdì del mese più importante della
messa domenicale. Come sappiamo il comandamento di Dio dice di “santificare le feste” e non i
primi venerdì del mese. E di esempi (ipotetici o reali) di questo tenore se ne potrebbero presentare
diversi.
- “Ipocriti” (v. 6). Gesù apostrofa in questo modo i farisei e gli scribi che gli hanno fatto
l’osservazione. Questo appellativo sta in antitesi al termine “cuore” presente tre volte nel nostro
brano. Ciò significa che prima dell’insegnamento riguardo al cuore Gesù vuole dire qualcosa
sull’atteggiamento ipocrita dei farisei. L’ipocrisia consiste nel non volere mettersi davanti alla verità
rivelata da Dio, preferendo crearsi una propria giustizia attraverso il compimento di pratiche artificiali,
che sono creazioni umane. L’ipocrita è l’attore di teatro che recita una parte. Egli si mette un
vestito e fa finta di essere quel personaggio che interpreta. Così l’ipocrita religioso si mette un vestito,
creato da lui stesso, un’apparenza esteriore di pietà, di religiosità, attraverso certe pratiche, certi
atteggiamenti esteriormente devoti; e tramite ciò si considera giusto, si autogiustifica. Si tratta di
quei “sepolcri imbiancati” (Mt 23,27) belli a vedersi all’esterno, ma pieni di schifezze dentro (da
notare il contrasto labbra-cuore del v. 6 e esterno-interno nella successiva risposta di Gesù). Prova
ne è che non sono disposti a confrontarsi seriamente con la verità rivelata, con la volontà di Dio. Se
si confrontassero veramente e seriamente con la volontà di Dio si accorgerebbero di essere ben lontani
dalla santità; si accorgerebbero del loro cuore malato e comincerebbero a capire di avere bisogno
di una salvezza. Ma essi non sono disposti a fare questo. Preferiscono nascondere tale realtà
con un’apparenza di giustizia. Non hanno intenzione di scoprire che probabilmente le cose non sono
così come le praticano loro. L’ipocrisia consiste proprio in questa menzogna, in questa finzione nel
cercare la verità (Sal 36,2ss.) quando invece si evita accuratamente di vedere. Se fossero veramente
interessati alla verità ascolterebbero, si lascerebbero ammaestrare, accetterebbero le correzioni; per-
ché anche se si è già nella verità, questa è sempre suscettibile di un ulteriore approfondimento, di un
migliore modo di essere vissuta. Così essi offrono un culto esteriore, ma il cuore è lontano da Dio
(Mc 7,6; Is 29,13), perché in realtà loro sono dio di se stessi, facendosi una religione a modo loro,
un cristianesimo “fai da te”. Osservano fino allo scrupolo pratiche insignificanti e trascurano quelle
fondamentali; filtrano il moscerino e ingoiano il cammello (Mt 23,24). Ma questo tipo di culto è
“vano” (Mc 7,7). Sarebbe invece fondamentale scoprire la lontananza da Dio, la schifezza che c’è
dentro, nel cuore, per potere così accogliere quella salvezza che solo Dio può portare, quella giustificazione
che solo Dio e il suo Messia possono dare. Quando questo atteggiamento, già grave per
chiunque, è assunto dai capi religiosi, da quelli che hanno la responsabilità di interpretare rettamente
la volontà di Dio al popolo, esso diventa estremamente pernicioso perché impedisce anche agli
altri di raggiungere la salvezza. Essi che hanno la chiave della conoscenza non solo non entrano, ma
impediscono agli altri di entrare (Mt 23,13).
3. La vera purificazione.
- Una grande rivelazione. Il secondo punto dell’insegnamento di Gesù è ancora più importante perché
costituisce una delle più grandi rivelazioni che egli ci ha lasciato. Non che Gesù abbia detto
qualcosa di completamente nuovo rispetto la rivelazione precedente. Anzi, egli sintetizza e focalizza
in pieno l’insegnamento già presente nell’Antico Testamento riguardo la causa del male e il modo
per risolverlo. Ovviamente una malattia non si può guarire se prima non se ne è evidenziata esattamente
la causa. Questa è la condizione essenziale per poi fare gli interventi giusti. Altrimenti le cure
saranno sempre inadeguate, se non addirittura nocive.
- Il male risiede nel cuore dell’uomo. La rivelazione di Gesù è tanto semplice quanto difficile da
metabolizzare. Basti pensare come, in qualsiasi evento negativo che ci troviamo ad affrontare, istintivamente,
automaticamente, vogliamo trovare la causa di quel “male” fuori di noi. È sempre colpa
di qualcun altro o di qualcos’altro. È colpa dei genitori, dei figli, della suocera, del capoufficio, del
governo, della scuola, dei vicini di casa, della disoccupazione, dello stipendio basso, di Dio, ecc.
Quello che dice Cristo è che il male non sta “fuori” (v. 15), ma «dentro, cioè nel cuore degli uomini»
(v. 21). E chiarisce anche in cosa consista la natura di questo male, facendo un elenco di realtà
che in una parola possiamo chiamare “peccato”. È il peccato la vera causa del male, ciò che contamina
l’uomo, ciò che lo rende impuro, vale a dire ciò che gli impedisce di essere santo e quindi di
essere felice. L’uomo, cioè ogni essere umano, ha un cuore infettato dal male, come tanti passi biblici
ci ricordano (vedi testi di riferimento), e non si può ignorare questa realtà. L’idealismo di un
uomo buono che la società ha corrotto, come pensava Rousseau e tanti anche oggi, non corrisponde
alla rivelazione cristiana e conduce a soluzioni ingannevoli. «Ignorare che l’uomo ha una natura
ferita, incline al male, è causa di gravi errori nel campo dell’educazione, della politica, dell’azione
sociale e dei costumi» (CCC 407). Dunque, se ciò che rende infelice l’uomo si annida dentro il suo
cuore, è lì che bisogna intervenire.
- La guarigione dal male. I giudei pensavano di potere conseguire la santità, cioè la liberazione dal
male, attraverso una serie di pratiche esteriori. Non si rendevano conto che già Geremia aveva detto
«Anche se ti lavassi con soda … davanti a me resterebbe la macchia della tua iniquità» (2,22), e
Ezechiele aveva annunciato la necessità di un trapianto di cuore (36,25-27). La santificazione
dell’uomo perciò non può cominciare dall’esterno (riti, leggi, moralismi, opere varie), ma
dall’interno. Se il cuore non è guarito le eventuali opere buone sono soltanto “appiccicate” all’uomo
come le palline ad un albero di natale. Ma se il cuore è sano automaticamente produrrà frutti buoni.
Se il male risiede nel cuore, se il peccato che esce dal cuore infetto contamina l’uomo, lo rende incapace
di amare, di essere altruista, di morire a se stesso per l’altro, e quindi di essere felice, allora
non c’è altra soluzione a questa malattia che ricevere un cuore nuovo. E questo trapianto non possiamo
effettuarlo da noi stessi. Sarebbe ugualmente ingannevole pensare che l’uomo sia in grado di
liberarsi da solo da questa situazione, magari facendo appello alla sua volontà, ai suoi sforzi (cfr.
Rm 7,14ss.). La rivelazione ci dice che il cuore nuovo e lo spirito nuovo sono un dono di Dio, e solo
Lui può operare in noi il trapianto. E poiché non c’è alcun cuore umano libero dal virus del peccato
(Gen 8,21), Dio ha provveduto l’unico cuore santo che è quello del suo Figlio. E questo cuore
che è l’amore di Dio viene riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo (Rm 5,5).

Fonte:http://www.donmarcoceccarelli.it/

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