don Marco Pedron, "Nessuno può vivere la mia vita"

Nessuno può vivere la mia vita
don Marco Pedron

XXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) 

  Visualizza Gv 6,60-69
Il vangelo di oggi è la continuazione di quelli delle domeniche precedenti. Gesù ha fatto un discorso difficile (due domeniche fa', Gv 6,41-51): "Io sono il pane della vita; io sono disceso dal cielo" (6,34-38), e infatti non lo capiscono. Di fronte a ciò che Gesù dice, rispondono: "Ma come? Guarda che noi ti conosciamo bene: tu sei il figlio di Giuseppe, il carpentiere, conosciamo tuo padre e tua madre. Cosa dici!? Come puoi dire "io sono disceso dal cielo"?".

D'altronde possiamo ben capirli. Viene uno e dice: "Io sono Figlio di Dio! Io vengo dal cielo, dall'Alto". Se uno ci dicesse così, chiameremo la psichiatria e glielo segnaleremo subito!

In effetti, Gesù non viene dall'alto perché non sia mai nato. Anche lui è nato come tutti gli uomini e le donne di questo mondo (e il vangelo ci dice anche dove). Ma Gesù viene per davvero dall'alto perché solo il Figlio di Dio, solo chi è in contatto perenne con il Padre, poteva dire ciò che ha detto, fare ciò che ha fatto e vivere ciò che ha vissuto. Gesù si sente incompreso: lui parla di cose grandi e gli altri banalizzano.

Vale così per tutte le cose. Se tu rimani nella superficie, le cose sono solo cose.

La vita è solo un susseguirsi di giorni tra fatiche e gioie. Ma se tu entri dentro, ti accorgi che finché la vita scorre la Vita stessa tenta di educarti, di insegnarti ciò che devi imparare.

Se tu rimani fuori, se tu vivi all'esterno, la tua vita non ha senso: ci sei, sei qui perché ti hanno fatto nascere e visto che ci sei, tanto vale la pena di vivere. Ma se tu entri dentro, scopri che non è così: tu ci sei per un motivo preciso, la Vita stessa ti vuole. Tu hai qualcosa da vivere, da compiere una strada e da assolvere ad un destino. Ma sono tutte fantasticherie per chi vive fuori.

La malattia? L'incidente? La sventura? E' solo una sfortuna che ti è caduta addosso. Poteva cadere addosso ad altri e, invece, (porca miseria!) è caduta addosso proprio a te. Questo se non vuoi vedere; questo se vuoi raccontartela; questo se vuoi scaricare la responsabilità delle cose sul fato, sul destino, sulla vita, sulla casualità, su Dio. Ma non è così. Tutto ciò che succede ha un senso profondo, molto profondo. Ma ride di tutto ciò chi vive fuori, chi desidera rimanere un bambino inconsapevole. Chi non vuol mettersi in gioco, cambiare, accettare che Dio ci parli attraverso i segni della vita, ride di tutto questo. Ma se Dio non ci parla attraverso la vita, attraverso cosa ci parla?

Un uomo viene e dice: "Che sfortuna, la mia fidanzata mi ha lasciato". E' comodo dire così: "Non ci posso fare niente, è colpa sua, guarda che sfortunato e incolpevole che sono io, coccolatemi". Uno così si sente a posto (per cui la cosa si ripeterà!) e per giunta sarà "consolato" dai suoi amici, visto che la colpa è di lei che se ne è andata. Ma bisogna chiedere a quest'uomo: "Cos'hai fatto per farla andare via? Perché era buono per te che se ne andasse? Perché ti sei trovato una così (che non poteva stare con te)? Perché sei andato in cerca fra le tante proprio di quella che ti avrebbe lasciato?". Per chi vive fuori sono domande incomprensibili. Ma chi è dentro sa che sono domande vere e che bisogna porsi per non mentirsi.

Una donna ha un'osteoporosi: "E' così, succede a tutte le donne dopo la menopausa. Non ci si può far niente!". Intanto non succede proprio per niente a tutte. E poi chiediamo a questa donna: "Perché non accetti di non rimanere più incinta, di non avere più qualcuno da cullare e da nutrire? Pensi di non valere più come donna? Perché ti vedi solo come madre? Perché hai così poca fiducia in te? Perché non pensi a te come persona che può dare il suo contributo al mondo anche se non sei più madre dei tuoi figli?".

Un uomo viene tamponato "dietro" in auto: "Ma guarda te che gente che gira sulla strada!?". Chiediti: "Perché ti trovavi proprio tu in quel preciso momento? Perché la vita ti chiede di fermarti? Cosa viene su, cosa c'è di pericoloso da dietro? Sei fuori strada nella vita?".

Gesù poi continua (domenica scorsa Gv 6,51-58): "Io sono il pane vivo e se uno non mangia di questo pane non avrà la vita (6,53). Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me ed io in lui (6,56)".

Quelli che rimanevano in superficie se ne erano già andati. Alcune persone sono così sconnesse, scollegate da sé, da ciò che hanno dentro, dalle emozioni, dalla realtà, che non sono in grado (non possono proprio) di entrare dentro alle cose.

"Mangiare la carne di un uomo? ma cosa dice costui?". Parole astruse per chi non entra; parola di Dio per chi entra. Parole stupide e senza senso per chi è morto dentro; parole di vita per chi vive.

I suoi discepoli, però, che capivano bene le sue parole gli dicono: "Gesù, questo linguaggio è duro, chi può intenderlo?" (6,60). Akouo (intenderlo) vuol dire sentire e seguire, dare retta.

Gesù dice: "Non basta, non serve dire: "Ma che belle parole Gesù! Ma com'è vero quello che dici! Ma sai che è proprio così come dici tu! Tu Gesù ci mostri proprio la verità! Per fortuna che c'è qualcuno che dice queste cose! Gesù ma sei un mito, tu!". Bisogna cambiare vita; queste parole non sono nulla se rimangono parole. Se non diventano la tua "vita", la tua "carne" e il tuo "sangue" non sono niente". "E' lo Spirito che dà la vita: le parole che vi ho detto sono spirito e vita" (6,63).

Perché vieni a messa sempre e non cambi mai? Perché preghi tanto e sei sempre lo stesso? Perché hai paura di guardarti dentro? Perché non ti fai aiutare? Perché non accetti niente che non sia come ciò che pensi tu? Perché il tuo carattere è sempre lo stesso? Perché hai tutta questa paura?

Non mi servono le parole, né le giustificazioni, né i "vorrei", i "mi piacerebbe", i "ci provo". Io guardo ai fatti: non cambia mai nulla, quindi tutto ciò che ascolti sono solo parole. Se non diventano la tua carne e il tuo sangue vuol dire che non ti toccano, che non ti sconvolgono, che non ti entrano dentro.

La parola "duro" (6,60) è scleros e indica proprio una durezza, un'asprezza da togliere il fiato.

Gesù è una mano che ti accarezza e che ti coccola. Ma in certi giorni è una sberla che ti scuote e che ti butta per terra. In altri è un pugno che fa male e che lascia i segni del livido. In molte parti del vangelo Gesù è risoluto, deciso da togliere il fiato.

Al giovane ricco (Mt 19,16-22) dice: "Quello che hai fatto è buono, ma adesso va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi". Aveva fatto molte cose buone quell'uomo (osservava tutti i comandamenti!), ma Gesù gli chiede di più! Gesù non gli chiede qualcosa, ma tutto.

Ad un uomo che gli chiedeva il permesso di seppellire il padre prima di seguirlo (Lc 9,59-60), Gesù dice: "Lascia che i morti seppelliscano i loro morti (lascia cioè che i morti stiano con i morti)". Non è che chiedesse tanto! Ma Gesù voleva con sé solo uomini "innamorati della sua causa", tutti dediti al regno.

In un'altra occasione, un altro uomo ancora lo vuole seguire. Chiede una cosa semplicissima: salutare quelli di casa. Ma Gesù è durissimo: "No! Nessuno che ha messo mano all'aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio" (Lc 9,61-62).

Molta gente che va in chiesa è contenta di andarci e poi si sente bene. Molte persone pregano e pregano molto. Molte persone hanno spesso in mente Dio e fanno molti pensieri religiosi. Ma Lui non sa che farsene di tutto questo se le "sue parole" non trasformano la tua vita. Gesù è chiaro, Gesù è duro: "Sei sempre lo stesso: perché continui a venire qui? Se mi ami, ti trasformi. Il resto sono "ciaccole", parole religiose, teatrini di fede borghese".

La conseguenza è logica: "Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui" (6,66). La fede è cambiamento personale del tuo carattere, del tuo modo di sentire (cuore), dei tuoi pensieri (mente), del tuo progetto di vita (anima), di te stesso. Poi è cambiamento del mondo intorno a te, perché tu non sei più lo stesso.

Se il vangelo non diventa vita (carne e sangue) è semplicemente inutile. E' solo un bel raccontino, piacevole da raccontare e da ascoltare.

Ma per molti questo fu troppo: "Non mi chiedere questo! Più di così non posso dare! Tu mi chiedi ciò che non so e che non sono in grado di fare! Tu vuoi troppo! Sei troppo radicale", e lo lasciarono.

Ad un certo punto Gesù rimane con pochi discepoli e anche questi tentennano.

Allora Gesù, senza fare troppi giri di parole, direttamente chiede loro: "Volete andarvene anche voi?" (6,67). Gesù dice: "Amici, vi amo e vi voglio bene. Ma ciò che ho dentro (Dio) è più importante di voi. Spero che condividerete con me la mia strada e la mia passione. Ma se non sarà così sappiate che io preferirò la mia missione a voi, sappiate che io non posso tradirmi, sappiate che io non abbasserò e non ridurrò la mia proposta perché voi rimaniate. Amici, se rimarrete sarò contento, ma siete liberi. Fate la vostra scelta: io ho deciso, adesso decidete anche voi".

Molte volte si sente dire: "Meglio andare più piano ma con tutti". Non fu la logica di Gesù! Gesù ama tutti, ma non tutti lo poterono seguire perché Lui era esigente e radicale. Chi era troppo dipendente dalle cose, dal giudizio della gente, dalla paura di perdere la faccia o di rischiare, chi aveva troppo da difendere (idee, soldi, status sociale, principi religiosi) non poteva seguirlo.

Ci fu un tempo in cui sembrava che tutti dovessero seguire e amare Gesù. E guai a chi non lo faceva. Ma fu un errore perché quando si segue Gesù bisogna sapere cosa Lui da e cosa Lui chiede. Dà vita, forza, profondità, evoluzione, cambiamento, una nuova visione della vita e soprattutto una forza e una fiducia incrollabile. Ma chiede: autonomia, coraggio, motivazione, umiltà e accettare di cambiare e di perdere tutto (casa, onore, idee, certezze, convinzioni, appigli, difese) per Lui. Gesù non chiede a nessuno di seguirlo se non ne è intimamente convinto.

Un messaggio radicale non può mai essere seguito da molte persone, proprio perché è radicale. E Gesù tra la moltitudine, la massa e la radicalità, non ebbe dubbi: la radicalità, a costo di essere l'unico.

Se io dicessi: "Possono venire in chiesa tutti coloro che hanno frequentato le elementari: quasi tutti potrebbero venire. Ma se io dicessi: possono venire solo quelli che hanno la laurea: molti rimarrebbero fuori. Se io dicessi ancora: possono venire solo quelli che hanno la laurea in teologia; beh, in molte domeniche mi troverei da solo!". Più una proposta è forte, radicale e più è per pochi.

In un paese cinquant'anni fa arrivò l'acqua potabile dell'acquedotto. Fu un grande passaggio: non si doveva più andare al pozzo, distante quasi un chilometro, ad attingere acqua. Tutti ne furono contenti. Ma un vecchietto continuò ad andare al pozzo, anche col freddo e anche con la neve, sebbene anche lui avesse l'acqua in casa. E non ci fu verso: finché visse andò al pozzo. Fu un vero peccato per quel vecchietto non sfruttare l'occasione... ma poiché scelse così, tutti accettarono la cosa. Gesù come l'acqua in casa è una possibilità, una scelta che ti aiuta a vivere: ma non è mai una costrizione.

"Volete andarvene anche voi?". E se avessero detto: "Sì", che cos'avrebbe fatto Gesù? Semplice: avrebbe continuato lo stesso la sua strada da solo.

La grande scelta di Gesù fu: il gruppo, gli apostoli (abbassando la mia strada) o la mia missione (accettando la possibilità di essere solo)? Gesù non ha dubbi: la mia strada. Gesù fu un uomo solo. Gesù non ebbe paura di rimanere da solo.

L'uomo è un animale da branco: senza dei genitori non potrebbe vivere (gli esperti dicono che l'uomo partorisce prematuramente: basti pensare a quanto tempo - anni! - serve perché un cucciolo d'uomo diventi autonomo) e per tutta la vita l'uomo cerca di costruire il proprio branco (famiglia).

L'isolamento fa paura a tutti: ci richiama l'arcaica paura di essere sbranati dalle fiere. Un animale fuori dal branco, in natura, è un animale morto. Il branco ci protegge, ci sostiene, ci rassicura.

L'uomo è fatto per stare con gli altri, per non stare solo, come dice la Bibbia.

Gesù era spesso circondato da gente: era sempre in mezzo a masse e a calche di persone. Ma Gesù era solo anche in mezzo alla gente: "Gesù però diffidava di loro" (Gv 2,24).

Gesù incontrava tutte le persone, ed era lui a prendere l'iniziativa. Ma anche i suoi discepoli più vicini, non lo comprendono, rimangono, come dire, sempre un po' lontani dal suo cuore. Gesù stesso dirà di sé: "Il figlio dell'uomo (io) non ha dove posare il capo" (Lc 9,58). Gesù si sente senza casa, non fisica, ma affettiva. Tanti lo seguono ma pochi lo comprendono e lo possono accogliere.

Quando parla del suo dolore, Pietro lo rimprovera. "Vattene, satana", gli risponderà Gesù.

Nel massimo della solitudine Gesù cerca conforto dai suoi amici ma li trova addormentati: "Simone dormi? Non hai avuto la forza di vegliare un'ora sola?" (Mc 14,37).

E nell'ora del disastro, quando lo arrestano, tutti scappano e lo lasciano solo, agnello in mezzo ai lupi: "Abbandonatolo, fuggirono tutti" (Mc 14,50).

Gesù muore nella solitudine totale: non c'è nessuno con lui. Solo alcune donne stanno ad osservare da lontano (Mc 15,40).

C'è una solitudine che si può affrontare e sciogliere.

C'è un uomo che ascolta sempre ma non parla mai: è bloccato dentro di sé.

Una donna picchiata da bambina è colma di rabbia. Quando parla urla, è aggressiva, giudicante, "impossibile" e nessuno vuole starle vicino.

Una ragazza si sente brutta e timida: nessun ragazzo la guarda e in gruppo se ne sta sempre in disparte.

Un anziano si trova in casa di cura. Quando viene suo figlio gli dice: "Qui sto benissimo". Ma non è vero: si sente fuori posto, in albergo, senza affetto e soprattutto solo.

Una persona, come strategia di vita, per non soffrire si è costruito una conchiglia: sta con tutti, ride e scherza, ma non entri mai dentro di lui e lui non si mostra mai a te.

Un bambino grasso è sempre preso in giro dai suoi compagni e si è ritirato a giocare con la playstation da solo in casa.

Un altro vorrebbe fare il ballerino e compone poesie: i suoi amichetti, invece, che pensano solo "al pallone" lo prendono in giro e lo escludono.

Questa solitudine si può affrontare: bisogna aprirsi, bisogna raccontare, bisogna esprimere, bisogna tirar fuori, bisogna condividere e allora si romperà il muro e la trincea dentro la quale ci si è chiusi.

Ma c'è una solitudine inevitabile nella vita.

Solitudine, dal latino solus, vuol dire che io sono solo. E' così: io sono solo io.

I miei sentimenti, le mie emozioni, sono solo mie: le posso condividere ma non sono quelle degli altri. Le mie scelte e la mia vita è solo mia: posso parlarne, chiedere, ma nessuno può fare le mie scelte e nessuno può vivere la mia vita. I miei fantasmi, le mie paure, i miei dolori e le mie ferite sono solo mie: gli altri hanno le loro. Devo imparare io a starci con loro, a fargli compagnia, a conoscerle e a capirle.

Cioè: io devo imparare a stare con me. Perché se io non sono il mio migliore amico, nessuno lo potrà essere. Se io non so stare con me perché lo dovrebbero fare gli altri? Perché chiedo agli altri di fare ciò che io non voglio fare? E come posso stare con gli altri se non so stare con me? Come posso ascoltare gli altri se non so ascoltare me? Come posso accogliere il dolore altrui se non accolgo il mio? Come posso amare se non so amare e accogliere quello che c'è dentro di me?

La solitudine non è qualcosa di negativo, è la realtà che la mia vita è solo mia, come anche la mia morte è solo mia. La solitudine è la realtà che c'è qualcosa che è "mio" e di nessun altro. Nessuno può fare questo, nessuno può vivere questo, nessuno può sentire o provare questo perché è solo mio. E se non lo faccio io allora sì che sono veramente solo, isolato, alienato.

Solitudine = autonomia. Posso stare con me se sono in grado di stare da solo, se non dipendo dagli altri, se non ho bisogno di qualcuno per essere felice.

Chi ha una personalità ancora bambina, non sviluppata, è terrorizzato dalla solitudine: non è che ama stare con gli altri, è che non può stare senza gli altri, perché non sa stare con sé.

Quando facciamo gli esercizi spirituali diciamo: "Domani, dal risveglio e per tutto il giorno, notte compresa, ciascuno starà da solo". Alcune volte diamo pranzo a sacco e ciascuno sta con sé in mezzo al bosco fino a sera. Per alcuni è fantastico, ma per molti è un dramma: nessuno con cui parlare, nessuna radio, nessuna tv, nessun chiacchiericcio!

Perché allora emergono tutti i mostri, le paure, i fantasmi che abbiamo dentro. Allora tutto ciò che è sepolto e che non ascoltiamo piano piano emerge e ci fa paura. Allora ci accorgiamo di quanto spesso stiamo con gli altri e siamo sempre in attività proprio per fuggirci.

Gesù allora mi dice: "Impara a stare con te e ad amarti. Impara a stare e a conoscere il tuo mondo interiore. Non fuggirti. Stai solo con te e fatti compagnia".

E poi, la mia strada è solo mia. Quindi nessuno può fare la mia strada, per questo sono solo. E' meraviglioso che io sia solo perché vuol dire che è solo "mia".

Il più grande dramma della vita è rinunciare alla propria missione per paura di rimanere da soli, di non essere capiti, di essere giudicati. E' inevitabile: essendo la tua "strada, missione" sei da solo! Ovvio! Il più grande dramma della vita è non fare ciò che il cuore ci comanda di fare solo perché non lo fa nessuno: "Ma sono solo! Ma solo io? Nessuno vuole farlo?". Il più grande dramma della vita è non fare ciò che la nostra coscienza ci richiama a fare perché tutti fan diversamente: "Ma solo io sono l'unico stupido che deve fare così? Fan tutti così!".

Gesù ha guardato i discepoli in faccia e ha detto: "Io ho la mia strada. Non venite? Pazienza! Io devo andare". La risposta dei discepoli è bella: "Ma dove vuoi che andiamo Signore! Tu sei la Vita" (6,68).

Per adesso lo seguono. Verso la fine della sua vita Gesù è sempre più solo: molti se ne sono già andati, altri se ne vanno dopo le parole dette da Gesù, questi ancora rimangono. Ma non per tanto: Gesù morirà solo. Solo con il Padre.


Pensiero della Settimana
Possono ogni porto
perché sono i capitani della loro nave.

Fonte:www.qumran2.net

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