FIGLIE DELLA CHIESA, Commento XXII Domenica del Tempo Ordinario

XXII Domenica del Tempo Ordinario
 Lun, 27 Ago 18  Lectio Divina - Anno B

Il brano di Marco è tratto dal capitolo 7, che conclude la prima parte del suo Vangelo, dedicata al ministero di Gesù in Galilea. Riferisce un insegnamento di Gesù in tre puntate, a partire da una domanda di un gruppo di scribi e di farisei. Gesù risponde prima alla domanda rifacendosi ai Profeti, poi estende lo sguardo alla folla presente e racconta una breve parabola. Quindi, rientrato in casa e interrogato dai discepoli sul senso della parabola la spiega loro. Abbiamo così tre brevi discorsi di Gesù, agli scribi, alla folla, ai discepoli. La liturgia di questa domenica ce li offre omettendo alcuni versetti, dall’8 al 13, del primo discorso agli scribi, dove Gesù esplicita il suo insegnamento sul culto veramente gradito a Dio con un esempio e poi dal 16 al 20 dove l’evangelista raccoglie la domanda di chiarimento da parte dei discepoli. Una pagina di vita, che ci fa osservare Gesù in una giornata normale della sua itineranza missionaria.

Dietro a questa normalità si cominciano però a intravvedere i motivi che porteranno Gesù alla morte. L’evangelista Marco, che sempre ha a cuore di aiutarci a scoprire la vera identità di Gesù, ce lo presenta qui in sintonia con gli annunci degli antichi profeti, che richiamavano il popolo all’osservanza interiore della legge, alla purezza delle intenzioni del cuore.

La distanza tra l’insegnamento di Gesù e le tradizioni dei Farisei si rende più manifesta. E questo, si vedrà più avanti, negli annunci della passione (8,31; 9,31; 10,33) e nella parabola dei vignaioli omicidi (12,1-12), porterà Gesù a subire la stessa sorte degli antichi profeti: egli, il Figlio amato, sarà condannato e ucciso.

v.1 Gesù si trova con i discepoli in Galilea, attorno a lui ci sono alcuni farisei del luogo e alcuni scribi giunti da Gerusalemme, probabilmente proprio per sottoporlo ad una ispezione e così coglierlo in fallo, come cercheranno di fare altre volte (cf 3,2; 12,13) per poterlo accusare e condannare.

v.2 L’evangelista nota che anche i discepoli sono guardati e osservati per poter avere appigli contro Gesù, non è la prima volta (cf 2,18; 2,23): ciò è indicativo di una condivisione di vita e una partecipazione alla missione che fa intravvedere nel comportamento dei discepoli di Gesù, probabilmente ancora inconsapevoli, una via nuova. Scribi e farisei hanno qui trovato un capo di accusa. Se i discepoli di questo Maestro non osservano la tradizione rituale allora è il Maestro il vero colpevole. Marco spiega allora in cosa consista l’usanza giudaica a lettori che probabilmente non lo sanno, perché non sono giudei.

v.3-4 L’evangelista sottolinea l’espressione “per tradizione”, o “secondo la tradizione degli anziani” ripetuta due volte, volendo così preparare i lettori a capire quello che dirà Gesù al v. 7: tutte queste usanze sono precetti di “uomini”, distinguendo così le molteplici prescrizioni rabbiniche dalla Legge di Mosè, dal comandamento di Dio.

Le regole giudaiche erano a questo proposito molte e minuziose, bisognava lavarsi fino al gomito, veniva precisata la quantità d’acqua, il tipo di recipiente e così via. Tutto questo viene espresso dall’avverbio “accuratamente”. I farisei sapevano benissimo che non tutto il popolo osservava queste norme, ma qui il “caso” diventa un pretesto elegante contro il “Rabbi” di Galilea.

v.5 Dopo la spiegazione delle usanze degli antichi, ecco dunque la domanda degli scribi. Con la doppia accusa, il fatto che non rispettano la tradizione e il fatto che prendono cibo con mani impure. L’accento è posto sulle mani impure. La traduzione esatta sarebbe con mani comuni, cioè mani che vengono dal lavoro e che ora invece si accingono a compiere un gesto sacro, com’era il pranzo per gli ebrei. Il verbo/aggettivo usato più volte nel brano indica sia comune, che comunicare, e per estensione contaminare. L’impurità delle mani come ogni tipo di impurità rende impossibile la partecipazione al culto. Infatti le mani impure rendono impuri gli alimenti che toccano e quindi l’uomo che li mangia. Si tratta quindi di una questione non igienica ma religiosa.

vv.6-8 Nella sua risposta Gesù si richiama alla Parola dei Profeti. E va direttamente al cuore del problema, parlando del vero culto. Gli scribi si preoccupano di avere le mani pure, lavandole fino al gomito, per poter dar lode a Dio. Gesù dice loro che il vero culto è quello del cuore puro. Smaschera la loro ipocrisia, che nasconde dietro l’osservanza di parole e precetti esteriori un cuore lontano da Dio.

Il testo scelto per la liturgia della domenica non comprende i versetti seguenti 8-13 in cui Gesù, con un esempio concreto rincara la dose ripetendo per tre volte e sempre più forte in che modo scribi e farisei si sono allontanati dalla retta via. Dice prima “trascurando il comandamento di Dio voi osservate tradizioni di uomini” poi “siete veramente abili nell’eludere il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione”, e la terza dice addirittura “annullando così la Parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi”.

vv.14-15 È la parte centrale della pagina evangelica. Gesù ora si rivolge alla folla. Gesù ha smascherato la meschinità dell’insegnamento e del comportamento degli scribi e ora offre il suo insegnamento esprimendo un principio fondamentale di tutta la morale: ciò che contamina l’uomo non sono le cose, i cibi, ciò che si può toccare o ingerire, ma ciò che proviene dal cuore.

A questo punto però l’Evangelista ci offre un dettaglio interessante, lo si ritroverà altre volte nel Vangelo, e cioè il fatto che i discepoli, entrati in casa, chiedono a Gesù di spiegare loro ciò che ha detto alla folla. La liturgia omette questi versetti, infatti non interrompono il messaggio del testo, e tuttavia sono importanti per noi. Per due motivi: ci aiutano a comprendere come di fatto si comportava Gesù, che aveva a cuore soprattutto la formazione dei suoi discepoli, ai quali avrebbe poi affidato il compito di portare il suo lieto messaggio fino ai confini della terra, e in secondo luogo ci incoraggiano a chiedere noi stessi a Gesù spiegazione delle sue parole ogni qualvolta non le comprendiamo.

E infatti Gesù spiega ai discepoli perché gli alimenti non contaminano l’uomo: quello che alla folla è stato detto sotto forma di piccola parabola ora viene esplicitato. Poi però indica ciò che invece contamina l’uomo.

vv.21-23 È la radice del male, di ogni male. Il male colto cioè nella sua origine: il “proposito” che esce da un cuore inquinato. È il vertice del brano evangelico che la liturgia odierna ci offre per renderci attenti a non confondere il secondario con il fondamentale o lasciarsi distrarre dall’essenziale, pensando con le nostre piccole pratiche religiose o osservanze esteriori di essere “a posto” con Dio. Ciò che Dio ci chiede è la sincerità del cuore (Sal 51,8). E insieme ciò che Gesù ci offre è “la verità che ci fa liberi” (Gv 8,32). Riconoscere dove sta veramente il male significa poterlo contrastare e lottare contro di esso in modo efficace. Viene spontaneo allora pregare con il salmista: “Crea in me o Dio un cuore puro” (Sal 51,12) o chiedere che si attui per noi la parola del profeta: “Darò loro un cuore nuovo e uno spirito nuovo metterò in loro; toglierò dal loro petto il cuore di pietra e darò loro un cuore di carne, perché seguano i miei decreti e osservino le mie leggi e li mettano in pratica; saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio” (Ez 11,19-20).

Fonte:figliedellachiesa.org

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