FIGLIE DELLA CHIESA, Lectio "Signore, da chi andremo?”.

XXI Domenica del Tempo Ordinario
 Lun, 20 Ago 18  Lectio Divina - Anno B

Dinanzi all’iniziativa di Dio l’uomo e il popolo sono chiamati a prendere una posizione, a compiere una scelta. Le letture di questa domenica pongono la loro attenzione proprio su questa decisione che interpella l’uomo e lo pone davanti a un’opzione che è per la vita o la morte. Siamo alla conclusione del discorso sul pane di vita. Fino ad ora Gesù ha mantenuto l’iniziativa, rispondendo alle perplessità e alle mormorazioni dei Giudei. Ora sono gli stessi uditori che devono prendere una decisione. Avviene un importante cambiamento di soggetto: se prima erano i Giudei a manifestare incomprensione e ostilità, ora sono i discepoli ad avvertire la durezza di queste parole. Dai discepoli però sono distinti i dodici che, esposti alla medesima tentazione, rimangono fedeli. Essi sono legati alla persona di Gesù, anche se le parole sono ancora incomprensibili per loro.

Nella prima lettura Giosuè chiede una scelta decisa tra Jhwh e le divinità straniere, a cui Israele risponde con una professione di fede altrettanto ferma e decisa. Le esigenze della legge che il popolo deve osservare traggono la loro forza e autorità in ragione di un intervento gratuito e potente di Dio in favore d’Israele. Da qui nasce la necessità di ricordare quanto Dio ha fatto e compiuto, perché questo giustifica e fonda l’osservanza della legge. Il popolo d’Israele si trova davanti a uno di quei momenti in cui è invitato a riflettere sulla sua storia e sul dono di quella legge che implica una piena e totale appartenenza a Dio. L’adesione che Dio chiede attraverso le parole di Giosuè non ammette deroghe: Jhwh è infatti un Dio santo e geloso. L’alternativa dell’adesione a Dio non è la libertà, ma l’assoggettamento ad altri dei stranieri. L’uomo o il popolo che si allontana da Dio non sperimenta la libertà, ma la schiavitù dell’idolatria con l’illusione di aver trovato la strada della completa autonomia e libertà.

v.60: Sono i discepoli che dicono che il linguaggio di Gesù è duro. Sono coloro che hanno aderito alla proposta del Signore; questo linguaggio è duro: chi può intenderlo? Nelle parole di Gesù non c’è solo la risposta a una obiezione, ma c’è qualche cosa che ci dice ulteriormente cosa è l’Eucaristia. Notiamo che c’è sempre la connessione con la croce. Salire dov’era prima vuol dire salire al cielo, però si sale al cielo attraverso la croce, cioè l’innalzamento, come dice Giovanni. Il discorso del pane di vita, allora, è preludio, anticipazione e segno della croce che Gesù legge in questo modo. Gesù afferma che mediante l’Eucaristia noi veniamo resi partecipi, nel segno del pane e del vino, del mistero della croce che, per come si manifesta, dice la sussistenza di Gesù al Padre prima del mistero dell’incarnazione.

v.61: Gesù affronta lo scandalo, ma come accade spesso non ne riduce l’intensità ma l’amplifica: “E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima?”. Con questa affermazione Gesù vuole condurre i suoi ascoltatori a riflettere ancora una volta sulla sua persona. L’ascesa corrisponde alla discesa di cui si è parlato nel discorso sul pane di vita. Ciò che scandalizza anche i suoi discepoli è in fondo la stessa pretesa dei Giudei, quella di conoscerne l’identità. Se si riconosce Gesù come unico mediatore per la salvezza, allora le sue parole non sono più dure, ma sono “Spirito e vita”. A chi crede alla rivelazione e mangia questo pane viene comunicato quello Spirito che può donare la vita.

v.63: Molti vorrebbero leggere qui un disprezzo per l’uomo. La carne è la natura umana, l’uomo con la sua intelligenza, la creatura. Questo significa che la creatura, con i suoi ragionamenti, qui non serve. Non è un disprezzo dell’uomo, della creatura: sarebbe un fraintendere completamente. È un modo per dire: Non potete affidarvi alla carne, la carne non serve qui. È lo Spirito che serve. Prima aveva detto: bisogna lasciarsi trascinare dal Padre.
Se Gesù si è fatto carne, si è fatto ciò che non giova a nulla perché, dice: “la carne non giova a nulla”. Questa è la gratuità di Dio. È fondamentale per riassumere tutto ciò che non serve, perché in lui tutto è dono. Allora, questo ci può portare a dire che Gesù non è un illuso sulla bontà delle nostre azioni: Gesù sa della nostra condizione, la assume e noi ci cibiamo di ciò che lui ha assunto. Pensiamo allora alla considerazione che dobbiamo avere per ciò che non giova a nulla, per una vita diversa da quelle da cui si può trarre vantaggio.

Questo è un punto molto importante per la nostra fede. Dove lo prendiamo lo Spirito? Come facciamo ad affidarci allo Spirito? “Le parole che vi ho detto sono Spirito e vita”: affidatevi alle parole che vi ho dette. Le parole che io vi dico danno spirito e vita, danno la vita. Lasciarsi attrarre dal Padre, lasciarsi portare dallo Spirito vuol dire afferrarsi alle parole di Gesù. Afferrarsi a quelle parole, fondarsi su quelle.

Opponendo la carne allo Spirito, Giovanni non distingue due parti dell’uomo, ma descrive due modi di essere. La carne è l’uomo lasciato a se stesso e ai limiti delle sue possibilità: non può da sé percepire il senso profondo delle parole e dei segni di Gesù, né credere. Lo Spirito è la potenza di vita che rischiara l’uomo, gli apre gli occhi, gli permette di discernere la parola che si esprime in Gesù. Le parole di Gesù sul pane celeste rivelano una realtà divina che è sorgente di vita per l’uomo. Solo lo Spirito può darne l’intelligenza.

v.64: Non deve sfuggire che Gesù dinanzi alla reazione negativa di chi ascolta non modifica nulla di quanto detto o richiesto. Non è Dio che si adegua all’uomo, ma è l’uomo che deve conformarsi alla volontà e alle esigenze di Dio.

v.65: Davanti alla difficoltà Gesù ricorda quanto ha già affermato: per andare a lui bisogna essere attratti dal Padre. Questa affermazione apre lo spazio della preghiera, che coltiva in noi il senso della fiducia. La fede, la comprensione profonda di Gesù e del significato della sua vita va richiesta, ma la fede è anche una scelta; rispetto ai discepoli l’interrogativo si pone come un bivio davanti al quale occorre prendere una decisione.

v.68: La professione di fede di Pietro è strettamente legata alla domanda che pone: “Signore, da chi andremo?”. Non bisogna avere nessun altro per potere avere fede: Signore, da chi andremo? In fondo, il cammino che Gesù ha fatto fare ai suoi discepoli, è un cammino in cui ha fatto perdere progressivamente a loro ogni sicurezza, che non fosse Lui. Qui è presente il mistero della nostra stessa vita. È la fine di ogni idolatria. Non a caso, per diverse volte, Gesù in questo brano ha fatto riferimento alle vicende del deserto, perché fosse posta fine a ogni idolatria. In fondo, davanti a Dio, va affermata e dichiarata la nostra fede perché è vero, non sappiamo dove andare.

 Fonte:figliedellachiesa.org

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