FIGLIE DELLA CHIESA, Lectio XX Domenica del Tempo Ordinario
XX Domenica del Tempo Ordinario
Lun, 13 Ago 18 Lectio Divina - Anno B
La pagina odierna del lungo discorso sul pane di vita segna una svolta, o quanto meno un passaggio significativo e insieme difficile, nel linguaggio cifrato che Gesù usa. Fino a quel punto tutto il discorso gravitava intorno all’immagine del “pane vivo disceso dal cielo” e l’incredulità dei Giudei infieriva contro la presunta origine celeste di Gesù. Ora invece l’immagine centrale diventa quella della sua “carne per la vita del mondo”.
Lo scandalo dei Giudei sembra molto grossolano; “Come può costui darci la sua carne da mangiare?” Come intendere? Forse davvero i Giudei attribuiscono a Gesù l’intenzione di una sorta di pasto cannibalistico? Così sembra. Ma ammesso pure che questo sia il senso delle parole con cui essi esprimono il loro dubbio, non è questo il nocciolo più vero e consistente del dubbio. Nel vangelo di Giovanni ritorna spesso questo fenomeno: gli interlocutori di Gesù danno alle sue parole un senso grossolanamente materialistico, per potersene più agevolmente difendere. Un senso così grossolano non può essere che falso.
Essi sanno in realtà - ma è sempre difficile precisare quello che noi sappiamo in realtà – che Gesù allude ad altro. L’altro senso, quello solo alluso, solo vagamente avvertito come nascosto nelle parole un po’ enigmatiche del Maestro, fa paura. Non lo si comprende, ma neppure lo si vuole comprendere. Appunto per tenerlo lontano, ci si aggrappa saldamente al significato più superficiale ed assurdo.
È interessante notare come, nei primi secoli di storia del cristianesimo, effettivamente si siano diffuse tra i pagani insinuazioni infamanti e assolutamente gratuite a proposito della celebrazione eucaristica; a queste insinuazioni sembrava come offrire credito il grande riserbo di cui i cristiani circondavano il loro sacramento più importante. Ma le insinuazioni, il disprezzo e la derisione servivano in realtà ai pagani quasi come un esorcismo nei confronti di una religione troppo nuova e inquietante. Le favole antiche hanno trovato quasi una rinnovata attualità in certe speculazioni pseudo psicanalitiche del nostro tempo, che assegnano all’Eucaristia il senso di un pasto totemico. Ma qual è la verità difficile, che la caricatura cerca di ridicolizzare, e così rimuovere?
“Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. “Carne”, si sa, nel linguaggio biblico è un nome per dire l’uomo; non è solo, anzi non è soprattutto, il nome di una parte dell’uomo. “Carne” è l’uomo, quando consideriamo la sua tragica fragilità, la sua precaria consistenza. “Ogni carne è come l’erba, e tutta la sua gloria è come un fiore del campo. Secca l’erba, appassisce il fiore, ma la parola del nostro Dio dura per sempre” – così proclama il profeta (Is 40.6b.8a); la traduzione corrente dice: “Ogni uomo è come l’erba”; effettivamente è dell’uomo che si parla, ma l’uomo ha molti nomi, perché la sua verità sfugge. Il Salmo 56 (55) a sua volta proclama: “In Dio confido, non avrò timore; che cosa potrà farmi la carne?” (v.5). Anche qui la traduzione corrente dice: “Che cosa potrà farmi l’uomo?” Nel medesimo Salmo un successivo versetto (v.12), per il resto identico a quello citato, sostituisce carne con ‘adam, il nome del primo uomo che significa “di terra”. Un altro modo per dire la debolezza spaventosa di questa, che pure è la più grande delle creature di Dio.
Dunque potremmo tentare di parafrasare le parole di Gesù in questo modo: “Il pane che io darò è la mia incerta e minacciata esistenza, offerta perché il mondo abbia vita”. La verità latente e temuta, difficile da credere ma non assurda, è proprio questa: che Gesù possa dare la vita al mondo morendo oppresso dal peso del peccato del mondo, sconfitto dallo strapotere dell’incredulità e della menzogna.
Di fronte alla morte di Gesù i discepoli fuggiranno spaventati. Molto prima che quella uccisione sia consumata, le folle si accorgono di quanto debole e perdente sia la parola di Gesù, di fronte all’accumularsi dei sospetti e delle accuse contro di lui; le folle fuggono spaventate. E prima ancora delle folle, i capi intuiscono che contro l’acido corrosivo del loro sospetto Gesù non può opporre una resistenza sicura: la verità che egli proclama certo colpisce dentro, ma è improbabile che possa essere difesa in un pubblico dibattito; dunque, essi esasperano l’accusa.
Ecco, vedete – dice Gesù -, si sta stringendo l’assedio contro questo fragile fiore di campo. Appassirà in fretta, certo. Ma non fuggite inorriditi davanti al suo patire. La vita infatti non è dalla parte del potere. Il Padre dei cieli, che solo ha la vita, è tanto poco potente in questo mondo. Io vivo per il Padre, attingendo alla sorgente nascosta che senza interruzione da lui fluisce. Così anche voi potrete vivere attingendo alla sorgente nascosta che da me fluisce e che la morte non interrompe. Anzi, se crederete, anche conoscerete che proprio dalla mia debolezza fluirà la vita, che la morte non può togliere.
Mangiare della sua carne vuol dire proprio questo: rinnovare, nel segno della memoria credente della sua passione, la speranza in una vita che rimane per sempre.
Fonte:https://figliedellachiesa.org
Lun, 13 Ago 18 Lectio Divina - Anno B
La pagina odierna del lungo discorso sul pane di vita segna una svolta, o quanto meno un passaggio significativo e insieme difficile, nel linguaggio cifrato che Gesù usa. Fino a quel punto tutto il discorso gravitava intorno all’immagine del “pane vivo disceso dal cielo” e l’incredulità dei Giudei infieriva contro la presunta origine celeste di Gesù. Ora invece l’immagine centrale diventa quella della sua “carne per la vita del mondo”.
Lo scandalo dei Giudei sembra molto grossolano; “Come può costui darci la sua carne da mangiare?” Come intendere? Forse davvero i Giudei attribuiscono a Gesù l’intenzione di una sorta di pasto cannibalistico? Così sembra. Ma ammesso pure che questo sia il senso delle parole con cui essi esprimono il loro dubbio, non è questo il nocciolo più vero e consistente del dubbio. Nel vangelo di Giovanni ritorna spesso questo fenomeno: gli interlocutori di Gesù danno alle sue parole un senso grossolanamente materialistico, per potersene più agevolmente difendere. Un senso così grossolano non può essere che falso.
Essi sanno in realtà - ma è sempre difficile precisare quello che noi sappiamo in realtà – che Gesù allude ad altro. L’altro senso, quello solo alluso, solo vagamente avvertito come nascosto nelle parole un po’ enigmatiche del Maestro, fa paura. Non lo si comprende, ma neppure lo si vuole comprendere. Appunto per tenerlo lontano, ci si aggrappa saldamente al significato più superficiale ed assurdo.
È interessante notare come, nei primi secoli di storia del cristianesimo, effettivamente si siano diffuse tra i pagani insinuazioni infamanti e assolutamente gratuite a proposito della celebrazione eucaristica; a queste insinuazioni sembrava come offrire credito il grande riserbo di cui i cristiani circondavano il loro sacramento più importante. Ma le insinuazioni, il disprezzo e la derisione servivano in realtà ai pagani quasi come un esorcismo nei confronti di una religione troppo nuova e inquietante. Le favole antiche hanno trovato quasi una rinnovata attualità in certe speculazioni pseudo psicanalitiche del nostro tempo, che assegnano all’Eucaristia il senso di un pasto totemico. Ma qual è la verità difficile, che la caricatura cerca di ridicolizzare, e così rimuovere?
“Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. “Carne”, si sa, nel linguaggio biblico è un nome per dire l’uomo; non è solo, anzi non è soprattutto, il nome di una parte dell’uomo. “Carne” è l’uomo, quando consideriamo la sua tragica fragilità, la sua precaria consistenza. “Ogni carne è come l’erba, e tutta la sua gloria è come un fiore del campo. Secca l’erba, appassisce il fiore, ma la parola del nostro Dio dura per sempre” – così proclama il profeta (Is 40.6b.8a); la traduzione corrente dice: “Ogni uomo è come l’erba”; effettivamente è dell’uomo che si parla, ma l’uomo ha molti nomi, perché la sua verità sfugge. Il Salmo 56 (55) a sua volta proclama: “In Dio confido, non avrò timore; che cosa potrà farmi la carne?” (v.5). Anche qui la traduzione corrente dice: “Che cosa potrà farmi l’uomo?” Nel medesimo Salmo un successivo versetto (v.12), per il resto identico a quello citato, sostituisce carne con ‘adam, il nome del primo uomo che significa “di terra”. Un altro modo per dire la debolezza spaventosa di questa, che pure è la più grande delle creature di Dio.
Dunque potremmo tentare di parafrasare le parole di Gesù in questo modo: “Il pane che io darò è la mia incerta e minacciata esistenza, offerta perché il mondo abbia vita”. La verità latente e temuta, difficile da credere ma non assurda, è proprio questa: che Gesù possa dare la vita al mondo morendo oppresso dal peso del peccato del mondo, sconfitto dallo strapotere dell’incredulità e della menzogna.
Di fronte alla morte di Gesù i discepoli fuggiranno spaventati. Molto prima che quella uccisione sia consumata, le folle si accorgono di quanto debole e perdente sia la parola di Gesù, di fronte all’accumularsi dei sospetti e delle accuse contro di lui; le folle fuggono spaventate. E prima ancora delle folle, i capi intuiscono che contro l’acido corrosivo del loro sospetto Gesù non può opporre una resistenza sicura: la verità che egli proclama certo colpisce dentro, ma è improbabile che possa essere difesa in un pubblico dibattito; dunque, essi esasperano l’accusa.
Ecco, vedete – dice Gesù -, si sta stringendo l’assedio contro questo fragile fiore di campo. Appassirà in fretta, certo. Ma non fuggite inorriditi davanti al suo patire. La vita infatti non è dalla parte del potere. Il Padre dei cieli, che solo ha la vita, è tanto poco potente in questo mondo. Io vivo per il Padre, attingendo alla sorgente nascosta che senza interruzione da lui fluisce. Così anche voi potrete vivere attingendo alla sorgente nascosta che da me fluisce e che la morte non interrompe. Anzi, se crederete, anche conoscerete che proprio dalla mia debolezza fluirà la vita, che la morte non può togliere.
Mangiare della sua carne vuol dire proprio questo: rinnovare, nel segno della memoria credente della sua passione, la speranza in una vita che rimane per sempre.
Fonte:https://figliedellachiesa.org