fr. Massimo Rossi, “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna...”
fr. Massimo Rossi
XX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (19/08/2018)
Visualizza Gv 6,51-58
“Se non mangiate la carne del Figlio dell'Uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita.”...Dunque, l'Eucaristia è un atto di cannibalismo!
Di fronte a un'affermazione di questo genere, chiaramente provocatoria, che cosa risponderemmo? certamente di no! un bel NO secco! Ma il problema resta; e non è solo questione di parole!
Già in passato abbiamo avuto modo di riflettere sul costume di certe società preistoriche, ove il clan assumeva le ceneri dal capostipite, nella convinzione di impossessarsi dei suoi poteri.
“Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna...”: la persona di Gesù realizza nel suo corpo il prodigio di una nuova creazione; questo progetto divino non poteva essere compiuto in altro modo. Un intervento esterno di Dio non avrebbe prodotto gli stessi effetti; sarebbe stato come quando un vaso va in frantumi e il vasaio rimette insieme i cocci con un potente collante... resta sempre un vaso rotto.
Soltanto incarnandosi dentro, nascendo dentro, prendendo dimora tra noi, anzi, con noi, e diventando uno di noi, il Verbo di Dio poté ricreare il suo capolavoro andato in pezzi per il peccato dell'uomo, e ricostituirlo come prima, e forse, addirittura migliore di prima.
Con la sua omelia eucaristica - l'intero capitolo sesto -, Giovanni ha dovuto combattere su due fronti: contro coloro che erano alla ricerca di gesti materiali a scapito dell'unica opera della fede, e rappresentati dai giudei, e contro gli spirituali, tentati di svuotare di ogni valore il gesto, il sacramento, e in ultima analisi la stessa incarnazione.
Ai giudei, Giovanni ricorda che il sacramento sganciato dall'ascolto e dalla Parola, può essere interpretato in senso magico; se non avviene nel contesto di un incontro vivo e personale con Cristo, cioè all'interno di una celebrazione, così come è strutturata nella Messa, il sacramento non può essere compreso e vissuto nel modo suo proprio.
Contro gli spirituali, l'amico del Signore parla con un realismo financo estremo di “carne” e di “sangue” di “mangiare” e di “bere”.
Da questa analisi deduciamo alcuni aspetti particolari, di non poca importanza.
Chiedere di ricevere il corpo di Cristo fuori dalla Messa è un atto di devozione, non vietato dal Magistero, ma non certo favorito e caldeggiato! Precedo la vostra obbiezione più che lecita sulla questione della Comunione portata ai malati... Non bisogna avere una laurea in liturgia e anche in qualcos'altro, per capire che la presenza di situazioni limite, come l'età avanzata e la malattia grave, consente ciò che nell'ordinario, cioè in condizioni di normalità, è fortemente sconsigliato. Possiamo chiamarla l'eccezione che conferma la regola. Con tutto il rispetto, e a prescindere dalle statistiche sulla salute media della popolazione odierna, lo stato di anzianità elevata e di grave malattia, non possono costituire l'unità di misura sulla quale si organizza e si celebra la liturgia domenicale.
Non si può dimenticare che, ad incarnarsi fu il Verbo eterno del Padre: prima che corpo, prima che sangue, il Cristo è Parola di Dio.
All'interno di questa realtà complessa e semplice allo stesso tempo, si può intendere il sacramento dell'altare; il contesto resta quello di una Parola ascoltata, la quale si fa carne e sangue, senza tuttavia perdere la sua valenza principale, appunto, di Parola creante di Dio.
Quanto alla polemica con gli spirituali, direi più propriamente, con gli spiritualisti, l'insistenza di Giovanni sulla carne da mangiare e sul sangue da bere era volta a screditare coloro che, in nome di un presunto primato dello spirito sulla materia, riducevano gli atti umani e l'umano stesso a entità intrinsecamente disordinate, delle quali non si può fare a meno; in altre parole, poco più che un male necessario.
In finale di omelia, mi permetto di ritornare sull'affermazione iniziale; che cioè l'eucaristia sia, tutto sommato, un atto di cannibalismo: e ne approfitto per ribadire un principio cardine del Nuovo Testamento: non è sufficiente leggere un Vangelo soltanto; è necessario leggerli tutti.
Nel presente caso, il discorso sul pane di vita che stiamo leggendo in queste domeniche estive, va completato con il messaggio eucaristico contenuto negli altri tre Vangeli, chiamati sinottici - Matteo, Marco e Luca -: Gesù prese un pane, rese grazie, lo spezzò e lo distribuì, dicendo: “Questo è il mio corpo...”; poi prese un calice, rese grazie e lo passò, dicendo: “Questo è il mio sangue...”. È verosimile che il quarto Evangelista conoscesse questa tradizione scritta, che viaggiava tra le comunità cristiane del primo secolo.
Senza questo particolare, assolutamente non secondario del valore sacramentale del pane e del vino, l'Eucaristia rimane un mistero insolubile, un enigma oscuro.
Nel contempo, il contenuto del capitolo 6 del quarto Evangelo, e il gesto della lavanda dei piedi che nel racconto giovanneo dell'ultima cena, prende il posto dell'istituzione, illuminano il fine ultimo della nostra partecipazione al sacramento dell'altare; la pienezza della carità!
Mangiare Cristo per diventare Lui significa donarsi a Dio e al prossimo, come Cristo si è donato, in un legame di fedeltà a Dio e agli uomini che mai cede il passo all'egoismo, alla strumentalizzazione, al risentimento, alla sopraffazione ideologica e fisica dell'uomo sui suoi simili.
Manca ancora una puntata, l'ultima, di domenica prossima: gli effetti che il discorso di Gesù sul pane di vita produsse negli ascoltatori; li abbiamo peraltro già intuiti.
Ma c'è ancora qualcosa da dire...
E forse, qualcuno resterà spiazzato, dal finale, che vira bruscamente di rotta.
Lo vedremo insieme tra sette giorni. Restate con noi!
Fonte:www.qumran2.net/