Padre Paolo Berti“Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna...”
XXI Domenica del T.O.
Gv 6,60-69
“Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna...”
Omelia
La verità non é mai negoziabile. I pragmatici, i vili anche, volentieri negoziano la verità per prospettive tristi. Molti la mercanteggiano con la menzogna, quando costa difenderla. Giosuè di fronte al popolo non si pose in una posizione flessibile, addolcita, conciliante con le varie tendenze del popolo, ma presentò il dovere di una scelta o con Dio o contro. Dall'Egitto era partito un Israele privo di compattezza, pronto a dare spazio ai fomentatori del dissenso, pronti ad abbracciare il progetto di un ritorno in Egitto. Israele venne compattato con l'alleanza del Sinai, ma ancora emersero dissensi, prospettive divergenti da quelle di Dio, così che Israele venne purificato con quarant'anni di dura vita nelle steppe del deserto. Dopo le prime conquiste territoriali della terra promessa, ecco il pericolo dell'adesione agli idoli delle genti confinanti, serviva così una decisa scelta di Dio: "Se sembra male ai vostri occhi servire il Signore, sceglietevi oggi chi servire: se gli dèi che i vostri padri hanno servito oltre il Fiume oppure gli dèi degli Amorrèi, nel cui territorio abitate". Chiaro il discorso: o si sceglie di tornare agli dei mesopotamici, quelli oltre il fiume Eufrate, oppure si scelgono gli dei degli Amorrei. Giosuè è sapiente, vuole che la scelta del Signore non sia indotta da un suo discorso persuasivo che tradisca la paura di rimanere tagliato fuori dalla maggioranza, e per questo presenta che è disposto a rimanere solo con il suo casato: "Quanto a me e alla mia casa, serviremo il Signore". Giosuè è lontano dal trattare con il popolo per avere un risultato che vada bene a tutti, qua si tratta del valore supremo: l'alleanza con Dio, e questa non è negoziabile. Al proposito, la politica non può negoziare i valori: quando si tratta di questi bisogna prendere o lasciare; e chi abbraccia i valori deve essere pronto anche a rimanere minoranza, sapendo che essere con Dio è mantenersi nella massima delle maggioranze. Gesù non ebbe paura di rimanere solo di fronte allo scandalizzarsi di molti; a lui importò l'essere nella volontà del Padre; del resto arrivò ad essere solo nell'ora della morte: gli apostoli fuggirono, tranne Giovanni che fu accanto alla croce con Maria e alcune pie donne. "Volete andarvene anche voi?"; Gesù non indietreggia. Indietreggiare sarebbe stato fuggire dalla croce che lo aspettava, dal sacrificio annunciato nelle parole dette: "Se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui"; carne e sangue, dunque sacrificio, morte. Gesù non indietreggiò dal suo cammino verso la croce, fermo, senza patti con l'incredulità di tanti, anche tra i suoi discepoli, e presentò un dato capace di togliere tutto il retroterra del dissenso: "E se vedeste il Figlio dell'uomo salire là dov'era prima?". Parole queste relative alla sua risurrezione. Si mangerà la carne e berrà il sangue del Risorto, dell'eterno vivente. Le parole di Gesù pur nei grandi misteri che contenevano non erano rifiutabili; anche se non comprensibili non potevano scandalizzare, come se fossero assurde. Solo chi non credeva in lui, nella sua divinità poteva scandalizzarsi: "Ma ci sono alcuni tra voi che non credono". Chi ragionava basandosi sulla carne, cioè sulla sola esperienza umana, si tagliava fuori dal percepire che le parole di Gesù erano, anche se molto misteriose in quel momento, "parole di vita eterna". Pietro colse questo; Gesù aveva detto (Gv 6,53): "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna"; Pietro rispose: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu se il Santo di Dio". "La carne non giova a nulla" (Gv 6,63); infatti il riferirsi alla sola esperienza umana, il rifiutare di considerare la portata superiore delle parole di Gesù, come fece Nicodemo, che al discorso di Gesù oppose che un uomo non poteva ritornare nel grembo materno per rinascere, blocca l'incontro con Cristo. San Paolo presenta la sterilità di conoscere Gesù "secondo la carne" (2Cor 5,16), cioè secondo il solo lume umano, in una chiusura alla luce di Dio. "E' lo Spirito che dà la vita" (Gv 6,63); chi pensa secondo la carne è morto e, fin che vuole essere tale, non può cogliere la vita presente nelle parole di Gesù; rimane perciò nella materialità, come i farisei, vittime del loro gelido legalismo. Chi pensa secondo la carne guarda solo alle cose della terra, comprendendole in una visione distorta. La sapienza della carne (Cf. Gc 3,14) è triste; si muove considerando la debolezza altrui, la furbizia altrui; per superala, per usarla a proprio vantaggio. Non considera il bene che c'è nei fratelli; presuppone che vi sia sempre il male, il retropensiero, la doppiezza; ma ciò è quanto egli ha nel cuore. Giuste le parole di Gesù (Lc 16,8): "I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce". Sono più scaltri i figli delle tenebre per il fatto che dimorano nella scaltrezza, nella finzione, in un gioco a scacchi con gli altri; e il vincitore è ammirato dalla vittima, anche se maledetto dalla vittima. La scaltrezza dei figli della luce è riconducibile alla prudenza, ed è ben altra cosa da quella dei figli delle tenebre, riferendosi all'attenzione necessaria per non cadere nelle trappole degli uomini e far fallire così la missione affidata da Dio. Il mistero della reale presenza di Cristo nell'Eucaristia va sempre annunciato, spiegato. Molte sono le persone che vanno a Messa perché è un dovere. Sono presenti in maniera inerte, fuori da un'intima comunione con Cristo, e perciò distanti da ciò che si compie sull'altare; eppure ciò che si compie sull'altare è per annullare le distanze. Mistero la transustanziazione! Cristo presente nel cielo, è lo stesso che è presente sull'altare, sotto i veli del pane e del vino. Prodigio tutto celeste: non c'è distanza tra Cristo in cielo e Cristo presente sull'altare: è lo stesso Cristo, lo stesso unico Cristo. "Mistero della fede", e noi lo crediamo. Crediamo che nulla è impossibile a Dio. Crediamo che Cristo è morto per noi quale vittima di espiazione per i nostri peccati e ci ha lasciato il memoriale della suo sacrificio sulla croce, che è la Messa. Memoriale dove lui è realmente, sostanzialmente, presente sotto i veli del pane e del vino. La Messa rende presente nei secoli l'evento drammatico e glorioso della croce: non semplice ricordo, ma reale riattualizzazione; non nuovo sacrificio, ma l'unico sacrificio della croce. Il Verbo che si è fatto carne; il Verbo incarnato che si è fatto nostro cibo, che si fa continuamente, per la consacrazione eucaristica, nostro cibo. San Paolo parla del "mistero grande" dell'unione tra Cristo e la Chiesa, basandosi sull'unione sponsale dell'uomo e della donna che fa dei due una sola carne. Cristo lo Sposo, la Chiesa la Sposa. Il rito nuziale, quello della croce, che rimane sempre lo stesso anche se incruento sull'altare. Se si volesse sondare il “mistero grande" con la carne, cioè con il solo raziocinio umano si fallirebbe e si finirebbe per negarlo. Spesso ci si trova di fronte a delle esaltazioni della ragione pronte a rifiutare il mistero della vicinanza di Cristo con noi nell'Eucaristia, e anche il mistero dell'unione di Cristo con la Chiesa. In quei casi ci si sente per un attimo interdetti. Il dialogo che procedeva così bene fino a quel punto ha una battuta d'arresto, si sperimenta una distanza con l'interlocutore che sembra incolmabile. Verrebbe da cedere, da spiegare umanamente quello che umanamente non è spiegabile, e che si tradurrebbe soltanto in una negazione di quanto detto da Gesù. Non bisogna sentirsi in difficoltà se c'è chi si irrigidisce di fronte alla presentazione del mistero della presenza reale di Gesù nell'Eucaristia; la cosa non è altro che un ripetersi dello scandalizzarsi di molti discepoli di fronte al discorso di Gesù. La realtà della presenza reale nell’Eucaristia non è un assurdo e la ragione, nella sua speculazione, non può che fermarsi a debita distanza di fronte al fulgore del mistero. La dottrina della transustanziazione è certo un balbettio, ma un balbettio vero, coerente, altissimo. Nessun timore se i nostri interlocutori si allontanano, e noi, in virtù dell'Eucaristia, che ci sostiene, dobbiamo rimanere loro vicini con la preghiera e la testimonianza. Amen. Ave Maria. Vieni, Signore Gesù.
Fonte:http://www.perfettaletizia.it/
Gv 6,60-69
“Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna...”
Omelia
La verità non é mai negoziabile. I pragmatici, i vili anche, volentieri negoziano la verità per prospettive tristi. Molti la mercanteggiano con la menzogna, quando costa difenderla. Giosuè di fronte al popolo non si pose in una posizione flessibile, addolcita, conciliante con le varie tendenze del popolo, ma presentò il dovere di una scelta o con Dio o contro. Dall'Egitto era partito un Israele privo di compattezza, pronto a dare spazio ai fomentatori del dissenso, pronti ad abbracciare il progetto di un ritorno in Egitto. Israele venne compattato con l'alleanza del Sinai, ma ancora emersero dissensi, prospettive divergenti da quelle di Dio, così che Israele venne purificato con quarant'anni di dura vita nelle steppe del deserto. Dopo le prime conquiste territoriali della terra promessa, ecco il pericolo dell'adesione agli idoli delle genti confinanti, serviva così una decisa scelta di Dio: "Se sembra male ai vostri occhi servire il Signore, sceglietevi oggi chi servire: se gli dèi che i vostri padri hanno servito oltre il Fiume oppure gli dèi degli Amorrèi, nel cui territorio abitate". Chiaro il discorso: o si sceglie di tornare agli dei mesopotamici, quelli oltre il fiume Eufrate, oppure si scelgono gli dei degli Amorrei. Giosuè è sapiente, vuole che la scelta del Signore non sia indotta da un suo discorso persuasivo che tradisca la paura di rimanere tagliato fuori dalla maggioranza, e per questo presenta che è disposto a rimanere solo con il suo casato: "Quanto a me e alla mia casa, serviremo il Signore". Giosuè è lontano dal trattare con il popolo per avere un risultato che vada bene a tutti, qua si tratta del valore supremo: l'alleanza con Dio, e questa non è negoziabile. Al proposito, la politica non può negoziare i valori: quando si tratta di questi bisogna prendere o lasciare; e chi abbraccia i valori deve essere pronto anche a rimanere minoranza, sapendo che essere con Dio è mantenersi nella massima delle maggioranze. Gesù non ebbe paura di rimanere solo di fronte allo scandalizzarsi di molti; a lui importò l'essere nella volontà del Padre; del resto arrivò ad essere solo nell'ora della morte: gli apostoli fuggirono, tranne Giovanni che fu accanto alla croce con Maria e alcune pie donne. "Volete andarvene anche voi?"; Gesù non indietreggia. Indietreggiare sarebbe stato fuggire dalla croce che lo aspettava, dal sacrificio annunciato nelle parole dette: "Se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui"; carne e sangue, dunque sacrificio, morte. Gesù non indietreggiò dal suo cammino verso la croce, fermo, senza patti con l'incredulità di tanti, anche tra i suoi discepoli, e presentò un dato capace di togliere tutto il retroterra del dissenso: "E se vedeste il Figlio dell'uomo salire là dov'era prima?". Parole queste relative alla sua risurrezione. Si mangerà la carne e berrà il sangue del Risorto, dell'eterno vivente. Le parole di Gesù pur nei grandi misteri che contenevano non erano rifiutabili; anche se non comprensibili non potevano scandalizzare, come se fossero assurde. Solo chi non credeva in lui, nella sua divinità poteva scandalizzarsi: "Ma ci sono alcuni tra voi che non credono". Chi ragionava basandosi sulla carne, cioè sulla sola esperienza umana, si tagliava fuori dal percepire che le parole di Gesù erano, anche se molto misteriose in quel momento, "parole di vita eterna". Pietro colse questo; Gesù aveva detto (Gv 6,53): "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna"; Pietro rispose: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu se il Santo di Dio". "La carne non giova a nulla" (Gv 6,63); infatti il riferirsi alla sola esperienza umana, il rifiutare di considerare la portata superiore delle parole di Gesù, come fece Nicodemo, che al discorso di Gesù oppose che un uomo non poteva ritornare nel grembo materno per rinascere, blocca l'incontro con Cristo. San Paolo presenta la sterilità di conoscere Gesù "secondo la carne" (2Cor 5,16), cioè secondo il solo lume umano, in una chiusura alla luce di Dio. "E' lo Spirito che dà la vita" (Gv 6,63); chi pensa secondo la carne è morto e, fin che vuole essere tale, non può cogliere la vita presente nelle parole di Gesù; rimane perciò nella materialità, come i farisei, vittime del loro gelido legalismo. Chi pensa secondo la carne guarda solo alle cose della terra, comprendendole in una visione distorta. La sapienza della carne (Cf. Gc 3,14) è triste; si muove considerando la debolezza altrui, la furbizia altrui; per superala, per usarla a proprio vantaggio. Non considera il bene che c'è nei fratelli; presuppone che vi sia sempre il male, il retropensiero, la doppiezza; ma ciò è quanto egli ha nel cuore. Giuste le parole di Gesù (Lc 16,8): "I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce". Sono più scaltri i figli delle tenebre per il fatto che dimorano nella scaltrezza, nella finzione, in un gioco a scacchi con gli altri; e il vincitore è ammirato dalla vittima, anche se maledetto dalla vittima. La scaltrezza dei figli della luce è riconducibile alla prudenza, ed è ben altra cosa da quella dei figli delle tenebre, riferendosi all'attenzione necessaria per non cadere nelle trappole degli uomini e far fallire così la missione affidata da Dio. Il mistero della reale presenza di Cristo nell'Eucaristia va sempre annunciato, spiegato. Molte sono le persone che vanno a Messa perché è un dovere. Sono presenti in maniera inerte, fuori da un'intima comunione con Cristo, e perciò distanti da ciò che si compie sull'altare; eppure ciò che si compie sull'altare è per annullare le distanze. Mistero la transustanziazione! Cristo presente nel cielo, è lo stesso che è presente sull'altare, sotto i veli del pane e del vino. Prodigio tutto celeste: non c'è distanza tra Cristo in cielo e Cristo presente sull'altare: è lo stesso Cristo, lo stesso unico Cristo. "Mistero della fede", e noi lo crediamo. Crediamo che nulla è impossibile a Dio. Crediamo che Cristo è morto per noi quale vittima di espiazione per i nostri peccati e ci ha lasciato il memoriale della suo sacrificio sulla croce, che è la Messa. Memoriale dove lui è realmente, sostanzialmente, presente sotto i veli del pane e del vino. La Messa rende presente nei secoli l'evento drammatico e glorioso della croce: non semplice ricordo, ma reale riattualizzazione; non nuovo sacrificio, ma l'unico sacrificio della croce. Il Verbo che si è fatto carne; il Verbo incarnato che si è fatto nostro cibo, che si fa continuamente, per la consacrazione eucaristica, nostro cibo. San Paolo parla del "mistero grande" dell'unione tra Cristo e la Chiesa, basandosi sull'unione sponsale dell'uomo e della donna che fa dei due una sola carne. Cristo lo Sposo, la Chiesa la Sposa. Il rito nuziale, quello della croce, che rimane sempre lo stesso anche se incruento sull'altare. Se si volesse sondare il “mistero grande" con la carne, cioè con il solo raziocinio umano si fallirebbe e si finirebbe per negarlo. Spesso ci si trova di fronte a delle esaltazioni della ragione pronte a rifiutare il mistero della vicinanza di Cristo con noi nell'Eucaristia, e anche il mistero dell'unione di Cristo con la Chiesa. In quei casi ci si sente per un attimo interdetti. Il dialogo che procedeva così bene fino a quel punto ha una battuta d'arresto, si sperimenta una distanza con l'interlocutore che sembra incolmabile. Verrebbe da cedere, da spiegare umanamente quello che umanamente non è spiegabile, e che si tradurrebbe soltanto in una negazione di quanto detto da Gesù. Non bisogna sentirsi in difficoltà se c'è chi si irrigidisce di fronte alla presentazione del mistero della presenza reale di Gesù nell'Eucaristia; la cosa non è altro che un ripetersi dello scandalizzarsi di molti discepoli di fronte al discorso di Gesù. La realtà della presenza reale nell’Eucaristia non è un assurdo e la ragione, nella sua speculazione, non può che fermarsi a debita distanza di fronte al fulgore del mistero. La dottrina della transustanziazione è certo un balbettio, ma un balbettio vero, coerente, altissimo. Nessun timore se i nostri interlocutori si allontanano, e noi, in virtù dell'Eucaristia, che ci sostiene, dobbiamo rimanere loro vicini con la preghiera e la testimonianza. Amen. Ave Maria. Vieni, Signore Gesù.
Fonte:http://www.perfettaletizia.it/