Don Marco Ceccarelli, “Effathà”

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XXIII Domenica Tempo Ordinario “B” – 9 Settembre 2018
I Lettura: Is 35,4-7
II Lettura: Gc 2,1-5
Vangelo: Mc 7,31-37
- Testi di riferimento: Gen 1,31; Es 4,10-12; Dt 10,16; 30,6; 1Sam 15,22; 1Re 3,9; Gb 36,15; Sal
40,7-9; Is 6,10; 32,3-4; 42,20; 50,4-5; 52,2; 61,1; Ger 4,3-4; 5,21; 6,10; Os 10,12; Mc 4,4.15;
8,12.17-18.23; Gv 11,33; 12,49-50; At 7,51; Rm 2,28-29; 8,23.26; Gc 1,21

1. Nel brano di Vangelo odierno si presenta un miracolo di Gesù – era da qualche tempo che non ne
ascoltavamo – che non appare negli altri Vangeli. Il simbolismo di questo miracolo (come anche di
quello analogo che Gesù compie poco dopo in 8,22-26) svolge un ruolo importante in Mc dove i discepoli
sono continuamente provocati a vedere, ascoltare, capire chi sia veramente Gesù e quale
missione deve compiere; e tuttavia non ci riescono. In questo miracolo vediamo Gesù operare qualcosa
di apparentemente anomalo, cioè una serie di gesti curiosi come quello di mettere le dita nelle
orecchie del malato e con la saliva toccargli la lingua. Ma soprattutto Gesù pronuncia una parola
fondamentale, una parola così importante che Mc ce la riporta nella sua forma originale. Tale parola
è la chiave per capire i gesti che compie e il senso del miracolo.
2. La simbologia del miracolo.
- L’incirconcisione. Sappiamo ormai bene come i miracoli di Gesù siano carichi di simbolismo. Qui
Gesù ha a che fare con un uomo sordo e che “parla male” (v. 32), che parla con difficoltà (non “muto”!).
Il secondo handicap è conseguenza del primo. Non ha imparato a “parlare correttamente” (vedi
v. 35) a causa della sua sordità. Il personaggio ha un orecchio “chiuso”, incapace di sentire.
Nell’Antico Testamento si parla di chiusura dell’udito in riferimento al popolo d’Israele; e per indicare
questa situazione si ricorre alla metafora della incirconcisione: «Essi hanno un orecchio incirconciso,
non possono ascoltare» (Ger 6,10). La circoncisione era la prima, e una delle più importanti,
delle opere di carattere religioso compiute da ogni israelita. Chi non è circonciso è un pagano, un
non appartenente al popolo e alla fede di Israele (dato il contesto geografico dell’episodio, è possibile
che il sordo fosse proprio un pagano; ma non è questa la cosa più importante). Siccome la non
circoncisione implica una “chiusura”, la metafora dell’orecchio incirconciso sta a dire che è chiuso
all’ascolto. A quale ascolto? A quello della parola di Dio. È quella chiusura all’ascolto di Dio di cui
spesso è stato rimproverato Israele (vedi testi di riferimento). Il malato del brano rappresenta perciò
questa situazione. L’incirconcisione indica una chiusura verso l’altro, una incapacità di entrare in
relazione. Le facoltà di ascoltare e di parlare sono le forme fondamentali della relazione con gli altri,
dell’apertura agli altri. Ma la relazione più importante è quella dell’amore. Per questo
l’incapacità ad amare è indicata ugualmente come una incirconcisione, quella del cuore (Dt 10,16;
Ger 4,4).
- Se non si è capaci di ascoltare inevitabilmente non si è in grado di parlare correttamente. Si “parla
male” quando si dicono le cose sbagliate; quando per esempio interpretiamo in modo sbagliato, con
le nostre parole, la realtà che ci circonda e la nostra vita. Parlare bene significa vedere le cose come
le vede Dio, sapere riconoscere Dio nella nostra vita e “dire bene” di Lui, e dire che “ha fatto bene
ogni cosa” (v. 37). Ma questo non è possibile se si ha un orecchio chiuso, se non si è imparato ad
ascoltare. L’ascolto e il parlare vanno insieme per indicare colui che viene istruito (Is 50,4-5). Si
può parlare correttamente solo se si ascolta correttamente. Per poter ascoltare Dio occorre che Egli
stesso ci apra l’orecchio, rompa cioè quegli schemi mentali che ci impediscono di ascoltare.
L’incapacità radicale del popolo di ascoltare il Signore può essere vinta soltanto dal Signore stesso;
Dio stesso deve intervenire per aprire le orecchie dei sordi (prima lettura), perché solo Lui ha questo
potere (cfr. Es 4,11).
- “Effathà” (v. 34). Possiamo così capire il senso della parola pronunciata da Gesù e che
l’evangelista ha lasciato nella sua forma originale. Se Gesù dice effathà, cioè “apriti!”, non è per
pronunciare una formula magica, ma per indicare ciò che si deve realizzare nell’orecchio del sordo.
Se non si può ascoltare perché l’orecchio è chiuso, allora occorre una apertura. Se il terreno non si
apre, se non viene arato, cioè aperto, affinché il seme possa entrare dentro, la seminagione è vana.
Se il seme della parola di Dio non entra dentro il cuore dell’uomo perché quel terreno non è stato
aperto, perché il suo ascolto è chiuso, la parola di Dio non può portare il suo effetto in quell’uomo.
E l’effetto che porta la parola di Dio è sempre quello della salvezza: «Accogliete la parola seminata
che può salvare le vostre anime» (Gc 1,21); perché in definitiva la Parola è Cristo stesso. Per questo
Dio dice: «Arate per voi il terreno incolto e non seminate fra le spine. Circoncidetevi per il Signore
…» (Ger 4,3-4). Cristo è venuto ad aprire l’orecchio perché il seme della parola di Dio possa entrare
e portare frutto. Quando Pietro predica a Gerusalemme si dice che «alle sue parole si sentirono
trafiggere il cuore» (At 2,37) e per questo si convertirono. Se la parola non entra dentro, se rimane
soltanto in superficie come il seme caduto sul terreno battuto, non porterà alcun frutto (Mc 4,4.15).
Possiamo ascoltare tutta la vita, ma senza fare entrare nulla in noi della parola di Dio. Per questo
rimaniamo sterili, incapaci di relazionarci correttamente con gli altri e di fare la volontà di Dio. Perché
soltanto chi ha accolto il seme della parola potrà compiere la Sua volontà. (Sal 40,7-9; Is 50,4-
5). La parola di Dio ha il potere di portare frutto nella nostra vita soltanto nella misura in cui essa
entra dentro, come il seme, o come l’acqua che deve penetrare la terra per fecondarla (Is 55,10-11).
Ma se si apre l’ombrello e si impedisce all’acqua di entrare, non succede nulla. C’è infatti spesso
una scorza, una corteccia che impedisce alla parola di entrare dentro e portare frutto. Questa deve
essere rotta, tagliata, come un terreno arido, compatto, deve essere arato perché il seme possa penetrare.
3. Cristo risorto, presente nella Chiesa, ha il potere di aprire l’udito ai sordi attraverso la sua parola
che interpreta il mistero pasquale e l’eucarestia che lo attualizza. Non si è in grado di ascoltare Cristo
se prima egli non ci ha aperto l’orecchio. L’ostacolo fondamentale all’azione di Cristo riguardo
il nostro orecchio è la presunzione di sentire bene; il che significa ritenere di sapere già tutto, di conoscere
la verità, di ostinarsi nel regolarsi secondo le proprie idee. La facilità con cui il sordo muto
acquista le facoltà di ascoltare e parlare fa da contrasto – in Mc – con la difficoltà dei discepoli a
comprendere quello che vedono e ascoltano (Mc 8,17-18). Il “tappo” che ci ostruisce l’orecchio,
che ce lo rende incirconciso, è spesso questa presunzione di sapere già tutto. Il mistero pasquale di
Cristo ci mostra che la salvezza di Dio passa per vie che non sono le nostre vie; per comprendere
questo occorre che Cristo rompa i nostri schemi, attraverso la sua parola e lo spezzare del pane. Gesù
è il didascalo, che insegna la verità di Dio, la Sua volontà, che interpreta le Scritture e con esse la
nostra vita. Come ai discepoli di Emmaus (Lc 24,25ss.), Gesù apre i nostri occhi; non prima però di
avere aperto anche le orecchie che erano incapaci di comprendere le Scritture. E grazie a ciò, anche
noi come loro, usciamo da quella situazione in cui si dicono cose “stolte” (Lc 24,25), e diventiamo
capaci di parlare correttamente di Dio perché si è riconosciuto la bontà del suo agire nella storia.

Fonte:http://www.donmarcoceccarelli.it

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