P. Marko Ivan Rupnik, Commento XXVI Domenica del Tempo Ordinario - Anno B

XXVI Domenica del Tempo Ordinario - Anno B
Mc 9,38-43.45.47-48
Congregatio pro Clericis

Al centro del capitolo 9 di Marco c’è la guarigione – o salvezza – dell’epilettico indemoniato che il padre porta ai discepoli mentre Gesù sta scendendo dal monte della trasfigurazione. I discepoli non sono in grado di scacciare questo demonio muto, tuttavia impediscono a un altro di farlo perché “non li seguiva”.

Qui si inserisce il brano del vangelo di oggi. È curioso che i discepoli non colgano che se qualcuno scaccia i demoni nel nome di Cristo, non può che essere di Cristo. Il fatto che non li segua per loro è determinante e sufficiente a bloccarlo. Ma “in nome di” è un’espressione che significa essere mandato da qualcuno, agire in nome di qualcuno, o meglio ancora che tramite te agisce un altro, la sua forza.

Si rende evidente, di nuovo, che i discepoli in fondo non si sentono ancora identificati con Gesù e che la loro mentalità è ancora molto distante dal pensiero di Cristo (cf Mc 9,34). È per questo, infatti, che non possono scacciare i demoni: avendo compreso la missione “a modo loro”, non riescono a fare nulla perché solo un ragionamento di fede può essere il motore di tale azione. L’emorroissa del capitolo 5, la donna che va da Cristo con una fiducia assoluta, con la certezza che sarebbe bastato toccarlo per essere salvata (cf Mc 5,25-34), partecipa della forza di Gesù, rimette tutta la sua vita nelle sue mani sapendo che solo Cristo potrà sanarla. Gesù afferma: “Questa specie di demoni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera” (Mc 9,29). Solo, cioè, in comunione con il Padre. Infatti: “Chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato” (Mc 9,37). È la vita che scorre tra le persone la forza contro il male. L’unica potenza che si può opporre al male è quella di una vita comunionale, quella che scorre dal Padre al Figlio e si estende su di noi.

Perciò chi aderisce a Gesù non è solo, ha questa vita comunionale proprio perché aderisce a Cristo. Chi non aderisce rimane solo e facilmente può arrivare alla presunzione di poter gestire autonomamente le cose, anche il rapporto con Cristo, riducendolo ad una mera pratica religiosa dove è facile adottare criteri non evangelici: perciò i discepoli, a un certo punto, discutevano su chi fosse il più grande.

È un rischio molto presente, per noi cristiani, quello di non coltivare un vero rapporto con Cristo e d’altra parte imporre limiti e criteri agli altri. La nostra storia ci fa vedere che siamo bravi a operare divisioni e sottodivisioni dell’umanità, a emanare tante censure e a edificare tante dogane: chi può e chi non può aderire, chi può entrare e chi non può. Siamo grandi maestri nelle costruzioni di portoni e di porte, di recinti e di serrature.

Ai discepoli dà fastidio uno che agisca usando, anzi, appellandosi al nome di Cristo e che, a loro dispiacere, la sua forza agisca nello scacciare i demoni, perché partecipa alla forza di Cristo. Dà fastidio che quello non stia con loro!  Essi stanno ancora ragionando nei termini angusti della loro religione, cioè in termini di chiusure, di esclusivismi, di far parte e di non far parte, etc.  Fondamentalmente stanno ancora dentro la mentalità del mondo, la mentalità del più grande e del più piccolo. Gesù invece è già in un’altra dimensione.

Stare con Cristo e operare con una impostazione di pensiero mondana, cioè diversa dalla sua, significa far inciampare i deboli e i piccoli. Perciò il Signore interviene drasticamente a favore dei piccoli, scartati dal mondo. È brutta la fine di chi scandalizza uno di questi piccoli che credono in Lui (cf Mc 9,42). Micron è il piccolo che qui non indica semplicemente il bambino, ma piuttosto quelli che non hanno niente, che sono emarginati, indifesi al punto di essere in balia di tutti.  Chi scandalizza uno di questi – cioè fa da inciampo, ossi ostacola la loro adesione a Cristo – è meglio che sia buttato nel mare (Mc 9, 42) e, per essere sicuri che non torni a galla, è opportuno legarlo anche una macina da mulino. Alcune scuole rabbiniche, vicine alle correnti farisaiche, insegnavano che coloro che affondavano nel mare non ritornavano più e dunque non potevano essere sepolti, di conseguenza per loro non ci sarebbe stata risurrezione. Gesù, a scanso di equivici, dice che siano assicurati a una macina per essere certi che non torneranno davvero e specifica che sia quella da mulino, pesantissima, e non semplicemente quella che usavano le donne che preparavano il grano ed era piccola e più leggera.

Il Maestro poi prosegue: se qualche cosa in te è di ostacolo nell’adesione a Cristo tagliala subito. Qui, con i discepoli, Gesù è molto preciso: con l’esempio del corpo dice di buttare via la mano che è l’operare, il piede che è la condotta e l’occhio che è il criterio con cui si ragiona. Quando coloro che seguono il Signore scoprono in se stessi una mentalità che sta creando inciampo, prima che essa li faccia precipitare nella Geenna, conviene che essi provvedano a sradicarla, a tagliarla.

Nell’Antico Testamento due erano le possibilità di una fine assolutamente tragica: il verme, di cui si parla in Is 66, 24, che non muore perché ha sempre il cibo dei cadaveri e il fuoco della Geenna, un immondezzaio nel quale un fuoco sempre ardente bruciava i rifiuti.

Cristo rimanda a entrambi: il verme del cimitero sarà sempre vivo perché avrà sempre cibo, il fuoco non si spegnerà perché ci sarà sempre qualcuno che butterà qualcosa sopra. Gesù invita a vigilare perché ci si può ingannare o essere ingannati tanto da trovarsi, alla fine, gettati nella Geenna.

La questione è molto seria: o si ha un’adesione a Cristo, tale che si partecipa alla sua dynamis, alla sua forza, o con i nostri criteri umani e la nostra mentalità mondana ci illudiamo di essere “a lui vicini”, mentre facciamo solo i giudici e gestiamo il prossimo decidendo arbitrariamente “chi può, chi non può”, “come può e come non può”.

Al centro del discorso c’è il Padre che conosce l’anima di ogni uomo. Egli sa sempre trovare le strade che, come un fiume carsico, arrivano al cuore di ogni uomo.



P. Marko Ivan Rupnik

Fonte:http://www.clerus.va

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