padre Gian Franco Scarpitta "La croce e la gloria"

La croce e la gloria
padre Gian Franco Scarpitta  

XXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (16/09/2018)

  Visualizza Mc 8,27-35
La croce è lo strumento dell'estrema umiliazione, della sottomissione e dell'autoconsegna all'umanità, che diventa però la tappa necessaria all'innalzamento L'esaltazione della croce cade liturgicamente in questi giorni (14 Settembre) e non è fuori luogo oggi un riferimento allo strumento di supplizio sul quale Gesù, Figlio di Dio fattosi uomo per noi, ostenta il sacrificio del suo Corpo per guadagnarci tutti alla salvezza. Sempre la croce sarà conseguentemente la condizione per ottenere l'innalzamento e la glorificazione, poiché la croce e l'umiliazione si trasformano nella gloria definitiva e nell'Innalzamento.. E' il luogo del sacrificio dell'Agnello, che sulla scia di Isaia (capp 52 - 53) è “votato al macello”, esile vittima di carnefici efferati ai quali non oppone resistenza, ma dal Sangue di questo Agnello

scaturirà la gloria definitiva e nel frattempo sempre lo stesso sangue apporta per tutti la salvezza. Sulla croce Cristo è partecipe del Padre sia nella prospettiva sacrificale di salvezza sia in quella più esaltante della glorificazione: “La salvezza appartiene al nostro Dio assiso sul trono e all'Agnello”(Ap 7, 9); tuttavia “a Colui che siede sul trono e all'Agnello lode, onore, gloria, potenza nei secoli dei secoli”(5, 13) perché l'Agnello di Dio Gesù Cristo merita di essere innalzato ed esaltato (5, 10) e l'innalzamento e la gloria gli appartengono, come inevitabili per Lui sono stati immolazione e morte. Cristo infatti è l'Agnello vittima di espiazione dei nostri peccati e di quelli del mondo intero (1Gv 2, 2), che non si si sottrae all'immolazione e non fugge alla morte, ma accetta deliberatamente di soffrire nell'estrema umiltà e nell'abbassamento. Non ricorre alle prerogative di onnipotenza che la sua Divinità gli conferisce, combatte la tentazione di schiodarsi dalla croce peraltro foraggiata dagli scherni e dalle esecrazioni altrui, lesina su tutto ciò che possa comportare per lui sicurezza e vantaggio e fugge ogni soluzione di scongiurare il pericolo che lo attende. Vi si sottopone senza riserve, nonostante il parere contrario di Pietro che gli usa una benevolenza in fin dei conti solo filantropica, alla quale risponde con quelle fredde parole rivolte al vero artefice di questa amicizia labile e impertinente: il Maligno. “Vai dietro a me, Satana”; “non occupare il mio posto, non mi prevaricare e soprattutto non tentare di deviare il disegno di salvezza impostato dal Padre, per il quale il Figlio dell'Uomo non può sottrarsi alla morte. Risusciterà e sarà innalzato, dopo essersi addossato tutti i peccati dell'umanità e aver pagato egli stesso per le nostre colpe. Conseguirà la vittoria definitiva e la pace. La vera forza di Gesù consiste in tutto ciò che noi consideriamo debole e vulnerabile; la sua vera sapienza consiste in ciò che consideriamo stoltezza e aberrazione, e cosa può esservi di più stolto e scandaloso (umanamente parlando) della prospettiva della morte di croce? In essa Dio realizza l'assurdo e l'inimmaginabile per noi, per il solo motivo che l'uomo necessita di un amore inimmaginabile.

Se ne deduce che la croce e la risurrezione sono tappe irrinunciabili. Non solamente nel senso che per risorgere è necessario crocifiggersi, ma anche in quello più impegnativo per il quale la risurrezione spiega il fondamento della croce. In parole povere il conseguimento della gloria e i suoi benefici ci educano a saper cogliere il valore della sofferenza, a considerare questa come una tappa certamente assillante e opprimente e tuttavia valida, esaltante, foriera di benefici. Anche considerata in se stessa, la croce assume valore per la nostra formazione umana, per l'accrescimento della virtù e per la promozione dell'umiltà. Essa non soltanto è destinata a trasformarsi in gloria di resurrezione, ma contiene essa stessa il germe della gloria: ogni sofferenza è sempre un'opportunità per cogliere al di la' delle apparenze il seme della vittoria.

Il dolore del resto è un campanello d'allarme utilissimo a scongiurare possibili pericoli. Se fossimo esentati dal soffrire, in taluni casi non ci accorgeremmo delle fiamme che avvolgono i nostri abiti fino a consumare le nostre carni o di oggetti contundenti che ci hanno fatto sanguinare fino a debilitarci. In assenza di angoscia e di sofferenza, mancherebbero le disposizioni essenziali per crescere e precipiteremmo nell'appiattimento, perché tutto sarebbe fin troppo semplice e sbrigativo.

Assumere la croce per stessa alla maniera di masochismo non ha certamente utilità alcuna e anzi sarebbe asservimento gratuito a un piacere del tutto effimero. Assumerla invece nella prospettiva dell'edificazione di se stessi in vista di un nobile obiettivo è sempre edificante e raggiunge in ogni caso l'obiettivo quanto mai esaltante della resurrezione. Il criterio al quale conformarci è uno solo: Gesù Cristo crocifisso e risorto che continua a vivere in noi egli stesso l'esperienza della croce per risuscitare ogni volta con noi.

Fonte:www.qumran2.net

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