Paolo Curtaz, "Non è dei nostri"

XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno B

Non è dei nostri


Siamo pezzi unici, originali, amati.

Siamo abitati dalla presenza di Dio, dalla sua luce, dal suo Spirito.

E ognuno è/diventa tessera di un mosaico che Dio sta costruendo.

Questo ci rivela la Scrittura, la Parola.

Eppure, spesso, l’originalità, la diversità, l’unicità la viviamo come un fastidio, un peso. Amiamo definirci, contrapporci, raggrupparci in categorie.

Ideologiche, politiche, religiose, sportive…

Vorrei essere più unico degli altri. E, in qualche modo, a volte a qualsiasi costo, far valere le mie idee sugli altri. Anche nel nostro piccolo mondo, anche, purtroppo, nelle nostre comunità dove, come dicevamo le domeniche scorse, prevale il ragionamento mondano, la logica del mondo…



Vorrei esprimere con chiarezza la mia opinione: io penso che la diversità sia opportunità e ricchezza. Ma che sia difficile armonizzare le diverse opinioni. L’identità è preziosa, fino a quando non diventa corpo contundente per offendere e ferire gli altri.

La paura del diverso, dello straniero, dell’altro ci fanno perdere un’enorme possibilità di conoscenza e di arricchimento.

Ma un approccio superficiale ai grandi temi del nostro tempo, dai flussi migratori, alla globalizzazione che crea povertà, crea danni giganteschi. Lo stiamo vivendo in questi tempi difficili di egoismi e di paure, di parole violente e rapaci.

E la Parola, ancora una volta, illumina.



Nel tuo nome

I guaritori, al tempo di Gesù, praticavano alcuni gesti rituali sull’ammalato, su chi si pensava essere indemoniato (ricordo ancora una volta che le malattie di cui si ignorava l’origine erano attribuite al demonio), invocando, nel contempo, i grandi guaritori: il re Salomone, uno dei profeti e, segno della sua crescente notorietà, anche Gesù.

Così uno dei discepoli, Giovanni, dopo avere assistito alla scena, riferisce al Maestro, piuttosto preoccupato, l’episodio. Notate la sottigliezza di Marco evangelista: Giovanni non si lamenta col Maestro dicendo “non è tuo discepolo” ma: “non è dei nostri”.

Così come, nella prima lettura, lo Spirito scende su due israeliti che non erano stati prescelti per entrare a far parte del gruppo che avrebbe aiutato Mosè.

Gesù, come Mosè, rassicura i discepoli, e noi.

Di Spirito ce n’è in abbondanza, non scherziamo. La Chiesa fa parte del Regno, ma non lo esaurisce.

Se è normale identificarsi, riconoscersi, in questo caso in una comunità, in un percorso, in un progetto, è sconveniente, questo dice il Vangelo di oggi, definire chirurgicamente i confini di chi è dentro e di chi è fuori.

Soprattutto quando parliamo di fede, di interiorità, di spiritualità.

I discepoli del Signore hanno caratteristiche comuni, si riconoscono in una stessa fede, credono nel Dio che Gesù ha rivelato, praticano i consigli del Vangelo, certo. E, a partire da Gesù stesso, pongono dei segni per identificarsi: il battesimo segna l’ingresso nella comunità dei credenti.

Ma il rischio di fare della comunità un gruppo ristretto, una setta che si definisce in termini assoluti, non riconosce l’azione dello Spirito che, invece, soffia dove vuole e quando vuole.

Il Signore oggi, a noi discepoli, chiede ancora una volta di uscire dalla mentalità mondana che innalza steccati, per entrare in quella di fede che non pretende di insegnare allo Spirito come agire…


Un solo bicchiere d’acqua

E Gesù esemplifica: non c’è bisogno di avere fatto scelte definitive, di avere assunto comportamenti intransigenti per appartenere al Regno di Dio. Anche il solo gesto di offrire un bicchiere d’acqua a dei discepoli, perché discepoli, è degno di ricompensa.

Lo vediamo anche nelle nostre comunità: persone apparentemente distanti o critiche nei confronti della Chiesa e degli uomini di Chiesa (quasi sempre con qualche buona ragione per esserlo), sono capaci di grandi gesti di attenzione e di amicizia quando incontrano un prete generoso, un catechista accogliente, una suora simpatica.

Allora si rendono disponibili, offrono aiuto, ben più di un bicchiere d’acqua!, perché comunque affascinati dal Vangelo.

Chi è Chiesa? Chi fa parte della comunità?

Le persone che vengono a Messa magari tutti i giorni? Il parroco, le suore dell’asilo e pochi altri?

No, dice il Signore, a volte anche persone apparentemente distanti o che non ci aspetteremmo sono nella logica e nel cuore di Dio.



Okkio!

Ma, insiste Gesù, guai a scandalizzare uno di questi piccoli.

A chi si riferisce? Dal contesto è evidente che questa parola il Signore la indirizza a Giovanni e a noi, a chi crede di poter dare patenti di cattolicità, a chi critica e giudica.

I piccoli, in questo caso, mi sembra che siano proprio coloro che stanno ai margini, che non si sentono di appartenere alla fede, che esprimono perplessità ma che, comunque, sanno offrire un bicchiere d’acqua.

Mi inquieta questa pagina.

Vedo quanto scandalo stiamo dando, come cristiani, quando ci prendiamo a randellate su cose di Chiesa. Fatevi un giro sui social, o in Vaticano, per vedere quanta contrapposizione c’è fra i cristiani. Conservatori, progressisti, sedevacantisti, tradizionalisti… uno spettacolo imbarazzante che diamo al mondo.

Altro che testimonianza!

Gesù è molto duro in questa situazione. Se scandalizzi sei degno della Geenna, la valle a sud di Gerusalemme in cui si bruciavano le immondizie. Se allontani dal Vangelo chi cerca Dio sei un monnezza.



Nel nostro piccolo, in parrocchia, sui social, nel gruppo o nel movimento di appartenenza, lasciamo prevalere la logica evangelica di chi non giudica e critica ma di chi sa leggere l’intervento prodigioso di Dio ovunque.

Fonte:http://www.tiraccontolaparola.it/

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