Don Marco Ceccarelli, Commento XXVIII Domenica Tempo Ordinario “B” – 14 Ottobre 2018
XXVIII Domenica Tempo Ordinario “B” – 14 Ottobre 2018
I Lettura: Sap 7,7-11
II Lettura: Eb 4,12-13
Vangelo: Mc 10,17-30
- Testi di riferimento: Gen 18,14; 1Re 3,9-13; Sal 49,17-21; Pr 2,3-6; 4,7; 7,12; 16,16; 23,23; 8,2.5;
Qo 9,16-18; Ct 8,7; Sir 51,27; Mt 6,24.33; 13,44-46; Mc 2,7; 12,29-34; Lc 10,25-27.42; 12,33; Col
2,3; Fil 3,8; Gc 1,5; 2,10-11; 3,15-17
1. Prima lettura. Ancora una volta la prima lettura offre uno spunto per capire meglio il brano di
Vangelo odierno, per non fermarci alla superficie. Il suggerimento è quello di ascoltare le parole di
Gesù rivolte al suo interlocutore sullo sfondo del tema della ricerca della Sapienza. Scriviamo Sapienza
con la S maiuscola perché quella di cui si parla nella prima lettura non è una qualsiasi sapienza,
ma quella che viene dall’alto; quella che ci insegna l’arte del vivere e che solo Dio può donare.
Essa allora va ricercata, desiderata, perseguita con tutte le forze e a costo di qualsiasi cosa
(Sap 7,8); perché non c’è nulla che non meriti di essere disprezzato, di non essere venduto, al fine di
ottenerla. Persino la salute e la bellezza (v. 10) – valori “assoluti”, ieri come oggi – vanno messi in
secondo piano rispetto al conseguimento della Sapienza. E la cosa paradossale è che una volta conseguita,
a scapito anche di qualsiasi bene, insieme ad essa si ottengono anche quegli stessi beni a cui
si è stati disposti a rinunciare (v. 11). Ciò ricorda l’affermazione di Gesù: «Cercate prima il regno di
Dio … e tutto vi sarà dato» (Mt 6,33).
2. Il Vangelo.
- Tenendo in mente allora quanto sopra, la prima cosa che possiamo notare nel brano del Vangelo è
la diretta relazione con quanto precede, vale a dire il discorso, ascoltato domenica scorsa, relativo a
non impedire ai bambini di andare da Cristo: «Sinite parvulos venire ad me» (Mc 10,14). Il parvulus
è il “piccolo” che necessita di apprendimento, colui che per antonomasia ha bisogno di maestri.
Ma questo è vero per chiunque, perché tutti abbiamo bisogno di acquisire la vera Sapienza che
scende dall’alto. Anche in ciascuno di noi vive un bambino che necessita di andare da Cristo per essere
istruito nella fede. Occorre perciò togliere di mezzo gli ostacoli, ciò che impedisce a questo
bambino che è in noi di andare a Cristo.
- Così nel brano odierno c’è qualcuno che va a Cristo (addirittura “corre”); e si rivolge a lui chiamandolo
“maestro”. Ma come vedremo non sarà in grado di accogliere l’insegnamento del maestro
perché ha degli ostacoli che gli impediscono di seguirlo (“possedeva infatti molti beni”). Gesù aveva
appena detto che se non si è come bambini nell’accoglienza del regno non si entrerà in esso (Mc
10,15). “Ereditare la vita eterna” e “entrare nel regno” sono espressioni equivalenti, come risulta
chiaro dal v. 23. Se non si accoglie il regno come un bambino fiducioso in quello che gli si chiede,
non si può ereditare la vita eterna. Il rapporto del bambino con il padre implica da una parte
l’obbedienza fiduciosa e dall’altra l’attesa di ogni cosa dal padre. Il cristiano obbedisce al Padre
come un bambino, senza porre la sua ragione come ostacolo, e confida che il Padre non gli farà
mancare nulla. “Uno” solo è buono, Dio (v. 18) e quindi possiamo obbedire a Lui sicuri che quanto
ci chiede è sicuramente per il nostro bene. Il rapporto con Cristo, che è “buono” perché è Dio, implica
gli stessi aspetti (da notare che l’espressione del v. 18 [«se non Dio solo»] è identica a quella
che appare in Mc 2,7 in relazione al perdono dei peccati).
- Importanza dell’“Uno”. Nel v. 18 del nostro Vangelo si parla del Dio “uno”. Al v. 21 Gesù dice al
suo interlocutore «uno ti manca». È un implicito riferimento al primo e più grande di tutti i comandamenti:
Il Signore nostro Dio è Uno (Mc 12,29). La rinuncia ai beni diventa così una professione
di fede nell’unicità di Dio. Non rinunciare ai beni significa rimanere privi dell’“Uno”. Se “Uno ti
manca”, non significa che manca una cosa fra le tante, ma manca la cosa fondamentale, l’unica cosa
indispensabile, senza la quale tutto il resto non ha senso. La rinuncia ai beni è un segno della rinun-
cia alla propria volontà. Se Dio è uno solo allora solo Lui occorre ascoltare e obbedire; ma se non si
è disposti a rinunciare ai beni ciò significa che dietro alla presunta obbedienza ai comandamenti si
nasconde un inganno. Il tale afferma di avere osservato i comandamenti, ma gli manca il più grande:
amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. È tramite l’osservanza di
questo comandamento che si entra nel regno (Mc 12,34); diversamente si rimane tristi. Se si trasgredisce
un comandamento si diventa colpevoli di tutto (Gc 2,10-11). Si può osservare alcuni comandamenti
soltanto per convenienza o semplicemente perché non si è avuto occasione di trasgredirli;
ma ciò non significa che stiamo amando Dio obbedendo a Dio. Si obbedisce invece quando si
rinuncia alla propria volontà.
- Il parallelo con la Sapienza. La richiesta di Gesù di vendere tutto (richiesta singolare [il temine
“vendere” appare di nuovo soltanto in Mc 11,15 in tutt’altro contesto] non rivolta per esempio ai
suoi discepoli) e seguirlo, evoca chiaramente i testi dell’Antico Testamento in cui si invita il giovane
ad acquistare la sapienza anche a costo di tutto ciò che si possiede (vedi testi di riferimento). Gesù
è la Sapienza a cui occorre rivolgersi per trovare la via della vita, della felicità. Lui è «la Parola
di Dio viva» (seconda lettura). Tutto è secondario rispetto a questo bene fondamentale. Infatti, a che
serve guadagnare il mondo intero, se si perde la vita? (Mc 8,36). Per questo è meglio privarsi anche
delle cose buone pur di entrare nel regno di Dio (Mc 9,43-47). Quello che può apparire come un
comando insostenibile – vendere tutto – risulta invece addirittura desiderabile se si è trovato il bene
sommo (Mt 13,44), ciò che riempie totalmente l’esistenza umana, l’aspirazione di felicità che abita
in ogni uomo.
- «Impossibile per gli uomini ma non per Dio» (v. 27).
• Gesù ha detto che è molto difficile per chi ha ricchezze entrare nel regno di Dio. Ma perché è così
difficile? Tutti abbiamo ricchezze: la vita fisica, una certa quantità di salute, il tempo, ciò che serve
per sostentarci, ecc. Possiamo ritenere che queste cose siano la vera vita, la “vita eterna”, cioè ciò
che serve ad essere felici. E invece non è così. Però rinunciare a vedere le cose in questo modo non
è per nulla facile. Occorre “vendere” queste ricchezze per accogliere la Sapienza che ci istruisce su
cosa è la vera vita, quella che rimane per sempre. Ma l’uomo con le sue forze, con le sue capacità,
non riesce a fare questo passo. L’affermazione di Gesù «impossibile per gli uomini ma non per
Dio» sposta l’accento da ciò che l’uomo deve “fare” (vv.17-21) all’accoglienza del dono di Dio. Solo
chi diventa come un bambino (Mc 10,14-15), chi accoglie la “Parola di Dio vivente” senza porre
ostacoli, entrerà nel regno.
• Pietro, dichiarando a Gesù che lui e suoi compagni hanno lasciato tutto e lo hanno seguito, sembra
implicitamente chiedere: “Se le cose stanno così, significa che noi, che eravamo ricchi, possidenti
di tanti beni, e non abbiamo avuto difficoltà a lasciare tutto e seguirti, abbiamo dunque potuto farlo
soltanto per opera di Dio”? Infatti l’espressione “lasciare tutto e seguire” usata da Pietro riflette
quella di Gesù nei confronti del ricco. Inoltre l’enorme sbigottimento dei discepoli non si comprende
se non si tiene conto del fatto che quanto Gesù ha detto a proposito delle ricchezze (vv. 23-25)
riguarda non una piccola categoria di gente straricca, ma un gruppo molto più ampio, di cui loro si
sentono parte. Tanto è vero che chiedono “e chi mai si può salvare?”, lasciando intendere (non
smentiti da Gesù) che se le cose stanno così praticamente nessuno può entrare nel regno. In realtà,
le specificazioni dei beni da lasciare – casa, fratelli, sorelle, ecc. – sono cose che appartengono a
tutti, e che quindi tutti sono chiamati a rinunciare.
3. Alcune conclusioni. 1) L’insegnamento di Gesù sulla rinuncia ai beni riguarda tutti; tutti siamo
chiamati a lasciare tutto e a seguirlo. 2) Si eredita sì la vita eterna osservando i comandamenti, ma
non ad un livello umano, a quel livello in cui possono arrivare gli sforzi umani. 3) La vera osservanza
dei comandamenti, quella che fa entrare nel regno, è possibile solo per la grazia di Dio; ci si
salva per grazia e non per le opere. 4) Alla base di tutti i comandamenti c’è l’amore al Dio unico e
l’obbedienza a Lui solo. 5) Occorre lasciare tutto, liberarsi di tutto per seguire Cristo. Non si può
servire due padroni. 6) Questo è avvenuto per gli apostoli in forza della chiamata di Cristo. È la sua
parola, che è parola di Dio, che ha potere (vedi seconda lettura) di realizzare questo in coloro che la
accolgono. Il cento per uno è il frutto dell’ascolto e del fare la volontà di Dio (Mc 4,7.20). 7) La-
sciare i beni familiari – casa, fratelli, sorelle, ecc. – implica l’ingresso nella nuova, e abbondantemente
più ampia, famiglia costituita dai discepoli di Cristo.
Fonte:http://www.donmarcoceccarelli.it
I Lettura: Sap 7,7-11
II Lettura: Eb 4,12-13
Vangelo: Mc 10,17-30
- Testi di riferimento: Gen 18,14; 1Re 3,9-13; Sal 49,17-21; Pr 2,3-6; 4,7; 7,12; 16,16; 23,23; 8,2.5;
Qo 9,16-18; Ct 8,7; Sir 51,27; Mt 6,24.33; 13,44-46; Mc 2,7; 12,29-34; Lc 10,25-27.42; 12,33; Col
2,3; Fil 3,8; Gc 1,5; 2,10-11; 3,15-17
1. Prima lettura. Ancora una volta la prima lettura offre uno spunto per capire meglio il brano di
Vangelo odierno, per non fermarci alla superficie. Il suggerimento è quello di ascoltare le parole di
Gesù rivolte al suo interlocutore sullo sfondo del tema della ricerca della Sapienza. Scriviamo Sapienza
con la S maiuscola perché quella di cui si parla nella prima lettura non è una qualsiasi sapienza,
ma quella che viene dall’alto; quella che ci insegna l’arte del vivere e che solo Dio può donare.
Essa allora va ricercata, desiderata, perseguita con tutte le forze e a costo di qualsiasi cosa
(Sap 7,8); perché non c’è nulla che non meriti di essere disprezzato, di non essere venduto, al fine di
ottenerla. Persino la salute e la bellezza (v. 10) – valori “assoluti”, ieri come oggi – vanno messi in
secondo piano rispetto al conseguimento della Sapienza. E la cosa paradossale è che una volta conseguita,
a scapito anche di qualsiasi bene, insieme ad essa si ottengono anche quegli stessi beni a cui
si è stati disposti a rinunciare (v. 11). Ciò ricorda l’affermazione di Gesù: «Cercate prima il regno di
Dio … e tutto vi sarà dato» (Mt 6,33).
2. Il Vangelo.
- Tenendo in mente allora quanto sopra, la prima cosa che possiamo notare nel brano del Vangelo è
la diretta relazione con quanto precede, vale a dire il discorso, ascoltato domenica scorsa, relativo a
non impedire ai bambini di andare da Cristo: «Sinite parvulos venire ad me» (Mc 10,14). Il parvulus
è il “piccolo” che necessita di apprendimento, colui che per antonomasia ha bisogno di maestri.
Ma questo è vero per chiunque, perché tutti abbiamo bisogno di acquisire la vera Sapienza che
scende dall’alto. Anche in ciascuno di noi vive un bambino che necessita di andare da Cristo per essere
istruito nella fede. Occorre perciò togliere di mezzo gli ostacoli, ciò che impedisce a questo
bambino che è in noi di andare a Cristo.
- Così nel brano odierno c’è qualcuno che va a Cristo (addirittura “corre”); e si rivolge a lui chiamandolo
“maestro”. Ma come vedremo non sarà in grado di accogliere l’insegnamento del maestro
perché ha degli ostacoli che gli impediscono di seguirlo (“possedeva infatti molti beni”). Gesù aveva
appena detto che se non si è come bambini nell’accoglienza del regno non si entrerà in esso (Mc
10,15). “Ereditare la vita eterna” e “entrare nel regno” sono espressioni equivalenti, come risulta
chiaro dal v. 23. Se non si accoglie il regno come un bambino fiducioso in quello che gli si chiede,
non si può ereditare la vita eterna. Il rapporto del bambino con il padre implica da una parte
l’obbedienza fiduciosa e dall’altra l’attesa di ogni cosa dal padre. Il cristiano obbedisce al Padre
come un bambino, senza porre la sua ragione come ostacolo, e confida che il Padre non gli farà
mancare nulla. “Uno” solo è buono, Dio (v. 18) e quindi possiamo obbedire a Lui sicuri che quanto
ci chiede è sicuramente per il nostro bene. Il rapporto con Cristo, che è “buono” perché è Dio, implica
gli stessi aspetti (da notare che l’espressione del v. 18 [«se non Dio solo»] è identica a quella
che appare in Mc 2,7 in relazione al perdono dei peccati).
- Importanza dell’“Uno”. Nel v. 18 del nostro Vangelo si parla del Dio “uno”. Al v. 21 Gesù dice al
suo interlocutore «uno ti manca». È un implicito riferimento al primo e più grande di tutti i comandamenti:
Il Signore nostro Dio è Uno (Mc 12,29). La rinuncia ai beni diventa così una professione
di fede nell’unicità di Dio. Non rinunciare ai beni significa rimanere privi dell’“Uno”. Se “Uno ti
manca”, non significa che manca una cosa fra le tante, ma manca la cosa fondamentale, l’unica cosa
indispensabile, senza la quale tutto il resto non ha senso. La rinuncia ai beni è un segno della rinun-
cia alla propria volontà. Se Dio è uno solo allora solo Lui occorre ascoltare e obbedire; ma se non si
è disposti a rinunciare ai beni ciò significa che dietro alla presunta obbedienza ai comandamenti si
nasconde un inganno. Il tale afferma di avere osservato i comandamenti, ma gli manca il più grande:
amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. È tramite l’osservanza di
questo comandamento che si entra nel regno (Mc 12,34); diversamente si rimane tristi. Se si trasgredisce
un comandamento si diventa colpevoli di tutto (Gc 2,10-11). Si può osservare alcuni comandamenti
soltanto per convenienza o semplicemente perché non si è avuto occasione di trasgredirli;
ma ciò non significa che stiamo amando Dio obbedendo a Dio. Si obbedisce invece quando si
rinuncia alla propria volontà.
- Il parallelo con la Sapienza. La richiesta di Gesù di vendere tutto (richiesta singolare [il temine
“vendere” appare di nuovo soltanto in Mc 11,15 in tutt’altro contesto] non rivolta per esempio ai
suoi discepoli) e seguirlo, evoca chiaramente i testi dell’Antico Testamento in cui si invita il giovane
ad acquistare la sapienza anche a costo di tutto ciò che si possiede (vedi testi di riferimento). Gesù
è la Sapienza a cui occorre rivolgersi per trovare la via della vita, della felicità. Lui è «la Parola
di Dio viva» (seconda lettura). Tutto è secondario rispetto a questo bene fondamentale. Infatti, a che
serve guadagnare il mondo intero, se si perde la vita? (Mc 8,36). Per questo è meglio privarsi anche
delle cose buone pur di entrare nel regno di Dio (Mc 9,43-47). Quello che può apparire come un
comando insostenibile – vendere tutto – risulta invece addirittura desiderabile se si è trovato il bene
sommo (Mt 13,44), ciò che riempie totalmente l’esistenza umana, l’aspirazione di felicità che abita
in ogni uomo.
- «Impossibile per gli uomini ma non per Dio» (v. 27).
• Gesù ha detto che è molto difficile per chi ha ricchezze entrare nel regno di Dio. Ma perché è così
difficile? Tutti abbiamo ricchezze: la vita fisica, una certa quantità di salute, il tempo, ciò che serve
per sostentarci, ecc. Possiamo ritenere che queste cose siano la vera vita, la “vita eterna”, cioè ciò
che serve ad essere felici. E invece non è così. Però rinunciare a vedere le cose in questo modo non
è per nulla facile. Occorre “vendere” queste ricchezze per accogliere la Sapienza che ci istruisce su
cosa è la vera vita, quella che rimane per sempre. Ma l’uomo con le sue forze, con le sue capacità,
non riesce a fare questo passo. L’affermazione di Gesù «impossibile per gli uomini ma non per
Dio» sposta l’accento da ciò che l’uomo deve “fare” (vv.17-21) all’accoglienza del dono di Dio. Solo
chi diventa come un bambino (Mc 10,14-15), chi accoglie la “Parola di Dio vivente” senza porre
ostacoli, entrerà nel regno.
• Pietro, dichiarando a Gesù che lui e suoi compagni hanno lasciato tutto e lo hanno seguito, sembra
implicitamente chiedere: “Se le cose stanno così, significa che noi, che eravamo ricchi, possidenti
di tanti beni, e non abbiamo avuto difficoltà a lasciare tutto e seguirti, abbiamo dunque potuto farlo
soltanto per opera di Dio”? Infatti l’espressione “lasciare tutto e seguire” usata da Pietro riflette
quella di Gesù nei confronti del ricco. Inoltre l’enorme sbigottimento dei discepoli non si comprende
se non si tiene conto del fatto che quanto Gesù ha detto a proposito delle ricchezze (vv. 23-25)
riguarda non una piccola categoria di gente straricca, ma un gruppo molto più ampio, di cui loro si
sentono parte. Tanto è vero che chiedono “e chi mai si può salvare?”, lasciando intendere (non
smentiti da Gesù) che se le cose stanno così praticamente nessuno può entrare nel regno. In realtà,
le specificazioni dei beni da lasciare – casa, fratelli, sorelle, ecc. – sono cose che appartengono a
tutti, e che quindi tutti sono chiamati a rinunciare.
3. Alcune conclusioni. 1) L’insegnamento di Gesù sulla rinuncia ai beni riguarda tutti; tutti siamo
chiamati a lasciare tutto e a seguirlo. 2) Si eredita sì la vita eterna osservando i comandamenti, ma
non ad un livello umano, a quel livello in cui possono arrivare gli sforzi umani. 3) La vera osservanza
dei comandamenti, quella che fa entrare nel regno, è possibile solo per la grazia di Dio; ci si
salva per grazia e non per le opere. 4) Alla base di tutti i comandamenti c’è l’amore al Dio unico e
l’obbedienza a Lui solo. 5) Occorre lasciare tutto, liberarsi di tutto per seguire Cristo. Non si può
servire due padroni. 6) Questo è avvenuto per gli apostoli in forza della chiamata di Cristo. È la sua
parola, che è parola di Dio, che ha potere (vedi seconda lettura) di realizzare questo in coloro che la
accolgono. Il cento per uno è il frutto dell’ascolto e del fare la volontà di Dio (Mc 4,7.20). 7) La-
sciare i beni familiari – casa, fratelli, sorelle, ecc. – implica l’ingresso nella nuova, e abbondantemente
più ampia, famiglia costituita dai discepoli di Cristo.
Fonte:http://www.donmarcoceccarelli.it