Don Marco Ceccarelli, Festa di Cristo Re dell’universo

XXXIV Domenica del Tempo Ordinario “B”: Festa di Cristo Re dell’universo – 25 Novembre
2018
I Lettura: Dn 7,13-14
II Lettura: Ap 1,5-8
Vangelo: Gv 18,33-37
- Testi di riferimento: Dn 2,44; 7,27; Mt 9,6; 12,25-29; 16,19-20; 26,64; 28,18; Lc 1,33; 17,20-21;
Gv 6,15; 12,34; Rm 5,21; 6,12-14; 14,17; 1Cor 6,19-20; 15,24-28; Fil 3,20-21; Col 1,12-14; Eb
2,14; 12,28; 1Pt 2,9; Ap 2,26-27; 5,10; 11,15
1. La festa di Cristo Re.
- Questa festa è la logica conclusione dell’anno liturgico durante il quale abbiamo seguito, attraverso
la lettura continuata di un vangelo, il percorso che Cristo compie verso l’adempimento della sua
missione che è quella di instaurare il regno di Dio tramite il suo mistero pasquale. E tuttavia questa
festa si può comprendere meglio se la poniamo sullo sfondo della Ascensione, dell’evento in cui
Gesù risorto, vincitore della morte, viene assunto in cielo, intronizzato alla destra del Padre, e a cui
vengono sottoposti tutti i nemici. Gesù asceso in cielo è quel figlio dell’uomo di cui si parla nella
prima lettura, quella figura “celeste” a cui viene dato potere eterno e il cui regno non avrà fine.
- Ma in che senso Gesù, dopo il compimento del mistero pasquale, è divenuto re di un regno eterno
e universale? Non nel senso che prima non avesse una autorità in quanto Dio. Ovviamente il Figlio
di Dio, la seconda Persona della Trinità, aveva potere anche prima dell’incarnazione. Ma dal momento
in cui Gesù ha realizzato il mistero pasquale, è asceso in cielo e ha donato lo Spirito Santo,
appare sulla terra un regno costituito da persone il cui re è diventato Cristo, perché Cristo regna su
di loro e dentro di loro. Sono coloro che ascoltano la sua voce (Gv 18,37), cioè obbediscono a lui.
La regalità di Cristo si manifesta nel popolo che lui si acquistato con il suo sangue, facendo di essi
un regno (seconda lettura).
2. “Il mio regno non è di questo mondo” (Gv 18,36).
- Che Cristo possieda un regno e per di più universale, può sembrare per lo meno discutibile. È ovvio
che il suo regno, il suo dominio, il suo “governo”, è qualcosa di sostanzialmente diverso da
quelli umani. Di fatto il regno di Cristo non è di questo mondo, non è cioè secondo le categorie comuni.
Il regno di Dio non è di questo mondo perché non si impone con la coercizione, perché non
ricorre a strumenti di imposizione. Non esercita un dominio sugli uomini, ma sui nemici degli uomini.
Il regno di Dio non è qualcosa di visibile (cioè di esteriore), che si possa dire “Eccolo lì o
qui”, perché esso è in (mezzo a) voi (Lc 17,20-21), cioè esercita il suo effetto nella sfera interiore
dell’uomo, lì dove risiede la tirannia del demonio (cfr. Mc 7). Ciò non significa che non abbia niente
a che fare con l’esteriorità, perché ovviamente lì dove regna Cristo non ci saranno omicidi, furti,
violenze, ingiustizie, ecc., vale a dire tutto il male che viene causato dal peccato. La regalità di Cristo
ha senza dubbio una efficacia sociale. Però non dobbiamo confondere gli effetti con le cause.
Gesù non è venuto a mettere delle toppe agli effetti del male. Questo possiamo farlo noi uomini; ma
non dobbiamo pensare che è così che si risolve il problema del male. Gesù è venuto ad annullare la
causa del male, che risiede nel cuore dell’uomo (Mc 7,21-23). Se c’è il male nel mondo è perché
nel nostro cuore regna il peccato. Cristo è venuto a privare il demonio della sua regalità sugli uomini;
attraverso lo Spirito Santo che è stato riversato nei nostri cuori (Rm 5,5) il regno di Dio è entrato
dentro di noi, il forte è stato legato (Lc 11,22), e possiamo vivere liberi dal peccato (Eb 2,14-15).
Così che «non regni più il peccato … sì da sottomettervi ai suoi desideri» (Rm 6,12), ma «regni la
grazia con la giustizia … per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore» (Rm 5,21).
- Se il regno di Cristo “non è di questo mondo” non significa che non sia “in” questo mondo. Il regno
di Cristo, come i suoi discepoli (Gv 17,14-16), non è del mondo, ma è nel mondo, anche se avrà
il suo compimento e la sua piena manifestazione alla fine dei tempi. Il regno di Dio è e deve essere
nel mondo perché è in funzione degli uomini. È proprio questa collocazione del regno di Dio
all’interno dell’umanità che dà fastidio. Sarebbe tollerabile un regno di Dio trascendente, che non
toccasse nulla delle realtà umane così che le potessimo gestire a piacimento. Sarebbe tollerabile un
regno di Dio limitato geograficamente, perché almeno nel resto del pianeta non creerebbe disturbo.
Ma il regno di Dio sta in mezzo agli uomini perché si pone come vera e unica fonte di salvezza per
essi. Per questo appare un paradosso estremo: Cristo, re apparentemente innocuo e quasi ridicolo
agli occhi di Pilato come agli occhi di tanti dopo di lui, finisce per essere messo a morte come un
pericoloso pretendente al dominio; e finisce per essere continuamente perseguitato in tutti i tempi.
Ed è per questo che Cristo muore, proprio perché re, e re all’interno di questo mondo dove altri re
pretendono di governare. E tale paradosso sarà continuato sulla pelle dei cristiani con i quali Cristo
ha costituito il suo regno (cfr. seconda lettura). «Tutti i cristiani sono rivestiti di un carisma spirituale
e soprannaturale, che li rende partecipi della stirpe regale. Non è forse funzione regale il fatto che
un’anima, sottomessa a Dio, governi il suo corpo?» (San Leone Magno, discorso 4,12).
3. Il compimento del regno.
- Anche se siamo entrati a far parte del regno di Dio, esso non sarà compiuto definitivamente se non
alla fine dei tempi. Perciò rimane sempre, per il cristiano, un combattimento da affrontare, perché il
demonio vuole contrastare fino all’ultimo la regalità di Cristo. Per questo il regno soffre violenza e
se non si vuole che ci venga rapito occorre rapirlo con altrettanta violenza (Mt 11,12). Chi non entra
a far parte del regno di Cristo rimane inevitabilmente sotto il regno del peccato, dove comanda il
principe di questo mondo. Il segno che il regno di Dio è su di noi è che Cristo scaccia i demoni con
lo Spirito di Dio (Mt 12,28). Siccome l’appartenenza al regno di Dio non è garantita finché non ci
sarà detto “venite … ereditate il regno promesso” (Mt 25,34), occorre lottare per non tornare sotto il
potere del demonio (Ef 6,12).
- Come per il regno di Cristo, i cristiani vivono nel mondo senza essere del mondo. Chi ama il
mondo è nemico di Dio (Gc 4,4). Con l’avvento del regno di Dio Cristo ci invita a salire su di un
treno. Nel momento in cui io salgo su questo treno mi sono distaccato da quello che ho lasciato, e
sono orientato a quello che mi attende. Chi ha accolto il regno dei cieli vive orientato alle cose del
cielo, perché «se siete risorti con Cristo cercate le cose di lassù» (Col 3,1). Per questo è fondamentale
prepararsi al cielo, alla vita vera e definitiva, perché il tempo si è fatto breve. Anche se siamo
ancora su questa terra e dobbiamo fare uso delle realtà di questa terra, tuttavia lo facciamo non come
se queste fossero realtà assolute, ma con la chiara consapevolezza che esse sono del tutto transitorie,
e quindi non ci affanniamo nella preoccupazione di non perderle, o nella rabbia perché non
sono come vorremmo. Allo stesso modo per cui non mi angoscerei se i bagni del treno che mi sta
trasportando non sono di mio gradimento. Prepararsi al cielo ci libera dall’affanno per le cose della
terra, dalla follia di volerci imporre sulle realtà che non ci appartengono e che vanno usate e gestite
sapendo che non sono nostre e che non sono eterne. Chi ha questo atteggiamento fa uso delle realtà
terrene non per il proprio egoismo e tornaconto, ma le amministra secondo la volontà di Dio, proprio
perché sa che non gli appartengono. Far parte del regno significa essere saliti sul treno che ci
porta al cielo, sperimentando di appartenere già ad una nuova dimensione.

Fonte:donmarcoceccarelli.it


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