Don Marco Ceccarelli, "Il compimento delle promesse."IV Avvento “C”

IV Avvento “C” – 23 Dicembre 2018
I Lettura: Mi 5,1-4
II Lettura: Eb 10,5-10
Vangelo: Lc 1,39-45
- Testi di riferimento: Gen 49,10.26; Es 12,11.33; Nm 24,17; Dt 16,3; Gdc 5,24; 1Sam 17,12; 1Cr
5,1-2; Gdt 13,18; Sal 72,7; 110,2; Is 9,5-6; Ger 30,21; Zc 6,13; 9,10; Mt 28,18; Lc 1,32-33; 2,16;
19,5-6; At 22,18; Rm 12,8.11; Ef 2,14-17; 5,18; Eb 6,11; 2Pt 1,5
1. Il compimento delle promesse.
- La tematica di questa quarta e ultima domenica di avvento è l’adempimento delle promesse messianiche riguardo al futuro re davidico. Siamo ormai in prossimità del Natale e lo sguardo liturgico
si volge non più in avanti verso la seconda venuta di Cristo, ma all’indietro per ricordarci come si è
realizzata la prima venuta del Messia; quel Messia annunciato da Dio attraverso i profeti (vedi prima lettura e testi di riferimento). Ciò che si vuole sottolineare è che Dio è fedele per sempre e mantiene la sua promessa al di là di ogni aspettativa umana, attraverso vie inaspettate. Anche quando la
discendenza davidica sembrerà irrimediabilmente perduta e il regno non più realizzabile, Israele deve credere che Dio è ancora in grado di realizzare quanto ha promesso. Al tempo di Gesù la possibilità umane dell’avvento di un re davidico erano pressoché nulle. Eppure, le vie di Dio non sono le
nostre; Egli ha realizzato le sue promesse di salvezza in una forma che non era contemplata negli
schemi di coloro che ne erano in attesa. Dio è sempre superiore alle aspettative umane; è sempre
fuori dai nostri schemi.
- La prima lettura va compresa sullo sfondo della promessa che il profeta Natan aveva fatto a Davide (2Sam 7), vale a dire che ci sarebbe stata una sua discendenza che avrebbe assicurato la pace
(shalom) al paese. Tale discendenza sarà innanzitutto Salomone, figlio e successore di Davide, che
libererà definitivamente la nazione dalla pressione dei nemici esterni, permettendo un tempo di Shalom, di benessere e tranquillità. Salomone era tuttavia una figura ancora imperfetta. Allora nella
prima lettura il profeta, con il riferimento al paese natale di Davide, rimanda ad un suo discendente
futuro che avrebbe instaurato un regno di pace (cfr. anche Is 9,6; Sal 72,7; Zc 9,10).
Nell’esclamazione di Elisabetta rivolta a Maria, che troviamo nel Vangelo odierno, si rivela che in
Gesù si compiono queste promesse. Egli sarà la nostra pace (Ef 2,14.15.17), il nostro “Shalom”.
Shalom significa una totalità di cose buone, di beni materiali e spirituali (vedi sotto). Ma la pace indica soprattutto la salvezza (Lc 8,48), il perdono dei peccati (Lc 7,48.50), la vittoria sul peccato e la
malattia, e quindi su tutto ciò che divide gli uomini. La pace dunque consiste in quel regno messianico dove non ci sarà più né uomo né donna, né schiavo né libero, né giudeo né greco, ma Cristo sarà tutto in tutti (Gal 3,28).
2. Il Vangelo.
- Occorre tenere presente che il brano odierno di Vangelo è legato a quanto precede (l’annuncio
dell’angelo a Maria) e a quanto segue (la proclamazione del Magnificat da parte di Maria). L’incontro fra Maria e Elisabetta costituisce le seconda parte di quello che possiamo considerare un
“trittico” che acquista significato completo se visto nell’insieme. Nella prima parte, l’angelo offre a
Maria un segno come prova di quanto le ha annunciato. Il segno è la gravidanza di Elisabetta. Perciò la prima cosa che Maria fa – e lo fa subito, “in fretta” (v. 39) – dopo la partenza dell’angelo è
quella di andare a vedere il segno. Non si tratta di un atteggiamento dubbioso di Maria; piuttosto
della consapevolezza che i segni che Dio dà bisogna vederli. Pretendere che Dio ci dia dei segni sarebbe un atteggiamento di poca fede. Ma se Dio stesso ce li vuole dare allora dobbiamo vederli.
Non volerli vedere rivelerebbe un rifiuto di accettare la Sua volontà (a questo proposito basti ricordare l’episodio descritto in Is 7,10-14).
- La fretta di Maria. Davanti all’opera di Dio tutto diventa secondario. La fretta di Maria manifesta
quella sollecitudine, quella premura, quell’assenza di indugio che nella Scrittura caratterizza la risposta all’opera e alla chiamata di Dio (vedi testi di riferimento). Maria ha ricevuto una rivelazione
riguardo la gravidanza di Elisabetta; e questa opera che Dio ha fatto con la parente è il segno per
Maria di quanto Dio farà in lei. Perciò deve andare a vedere il segno, e deve andare in fretta. Con la
stessa fretta i pastori andranno a Betlemme per vedere il segno indicato loro dagli angeli (Lc 2,10-
16).
- Il “saluto” di Maria. Benché il saluto di Maria ad Elisabetta sia tanto importante (il termine appare
tre volte) e così efficace da provocare l’esultanza del bambino nel seno della madre, non ci vengono
riportate le parole di tale saluto. Ciononostante sappiamo bene in cosa esso consista. Entrando nella
dimora di Elisabetta Maria avrà certamente esclamato: “Pace (Shalom) a questa casa” (Mt 10,12). È
questo saluto, cioè questo Shalom di Maria, che fa sussultare il bambino. Maria è colei che porta lo
Shalom perché porta in lei colui che è il compimento delle antiche promesse di Shalom; colui che è
lo Shalom stesso (Ef 2,14). Nel saluto di Maria e nei balzi del bambino c’è il segno della venuta del
Messia e del tempo della prosperità, della pace, dell’amore (cfr. 2Cor 13,12; 1Ts 5,26; 1Pt 5,14;
3Gv 1,15). Il bambino sussulta di gioia perché in Maria è presente colui che porta la salvezza che
genera la vera gioia.
- Le parole di Elisabetta. Elisabetta è il “segno” per Maria non soltanto per la sua gravidanza, ma
anche per la testimonianza che dà a lei. L’esultanza di Giovanni e le parole di Elisabetta a Maria testimoniano che Maria è veramente rimasta incinta per opera dello Spirito Santo. Possiamo pensare
che probabilmente in Maria non si erano ancora presentati i sintomi della gravidanza (Maria ha raggiunto in fretta la parente). È Elisabetta la prima testimone di quello che è avvenuto in Maria e
quindi della veracità delle parole dell’angelo. È lei che le attesta: “Tu sei la madre del Signore”. E
allo stesso tempo testimonia a noi della fede che Maria ha avuto nell’annuncio di Gabriele. Solo ora
Maria sa veramente di essere incinta; e per questo solo ora, dopo questa testimonianza di Elisabetta,
esprime la sua esultanza con il Magnificat. La presenza di Cristo in noi spesso non è avvertita se
non per l’effetto che provoca sugli altri.
- L’arca dell’alleanza. Nelle parole di Elisabetta risuona la consapevolezza che Maria è l’arca
dell’alleanza, quel “contenitore” che nell’antico Israele era considerato come il luogo della “presenza reale” di Dio. E come Davide si era meravigliato che l’arca potesse entrare nella sua casa (2Sam
6,9), così fa ora Elisabetta davanti a Maria. In Maria abita Dio. La profezia dell’Emmanuele, del
“Dio con noi” si è realizzata.
- Cristo è il frutto di tutti coloro che credono come Maria. Beata – disse – tu che hai creduto. Ma
beati anche voi che avete udito e creduto: ogni anima che crede concepisce e genera il Verbo di
Dio e riconosce le sue opere. Sia in ciascuno l’anima di Maria per magnificare il Signore; sia in
ciascuno lo spirito di Maria per esultare in Dio. Se c’è una sola madre di Cristo secondo la carne,
secondo la fede invece Cristo è il frutto di tutti, poiché ogni anima riceve il Verbo di Dio, purché,
immacolata e immune da vizi, custodisca la castità con intemerato pudore (sant’Ambrogio, Commento su S. Luca, 12,22-23).

Fonte:http://www.donmarcoceccarelli.it/


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