Frati Domenicani “Beata colei che ha creduto nell’adempimento delle promesse di Dio”
IV Domenica di Avvento
“Beata colei che ha creduto nell’adempimento delle promesse di Dio”
Le omelie da una collaborazione di un gruppo di frati del convento di Santa Maria delle Grazie a Milano 23 Dicembre 2018
Letture: Michea 5,1 -4a; salmo 79; Ebrei 10,5- 10; Luca 1,39– 48a
Il profeta Michea annuncia che il Messia dominatore di Israele uscirà da Betlemme di Efrata, cioè dalla città di Davide, quasi a sottolineare la ripresa delle promesse divine relative al santo re e alla sua discendenza, nonostante le infedeltà nel corso della storia. Il figlio che verrà partorito eserciterà la regalità come un pastore, cioè in spirito di servizio, arrecando pace e sicurezza ai sudditi. Le lettera agli Ebrei dichiara invece, con la citazione del salmo 39, la piena umanità del Cristo (un corpo mi hai preparato) e che questi è chiamato a realizzare in forma assolutamente innovativa la vera azione cultuale, svolta in passato dalla liturgia del tempio. Questo sacrificio consiste essenzialmente nell’offerta della volontà del Cristo, totalmente proiettata a compiere quella del Padre. È solo grazie a questa offerta che una volta per sempre siamo santificati. Il vangelo, con la visitazione di Maria alla cugina Elisabetta, esalta il ruolo dei poveri di Dio nella realizzazione del progetto divino, pronti ad accogliere la chiamata in spirito di vera obbedienza; ma ancor più esprime gli effetti di grazia che l’incarnazione del Figlio di Dio arreca all’umanità, spronando Maria a donare il Figlio al mondo, oltre che ponendosi come modello di servizio e di vero discepolato.
Il viaggio compiuto dalla madre del Signore tra Nazareth e la montagna di Giuda, ben esprime la ventata di novità che l’incarnazione del Figlio di Dio realizza sin dal tempo della sua gestazione. Questa ragazza che affronta con coraggio e determinazione l’avventura del lungo percorso mostra già un anticipo delle meraviglie della grazia divina. Maria che credendo all’annuncio dell’angelo, ha accolto nel suo grembo il Figlio dell’Altissimo, ora con la temerarietà dei santi lascia la propria dimora, si reca presso la cugina, pone la sua esistenza al servizio della congiunta senza temere i fastidi della gravidanza, nell’entusiasmo di chi reca al mondo la gioia e la pace. Gli effetti della sua missione sono immediati; Elisabetta risulta invasa dello Spirito Santo, il bimbo le sobbalza di gioia nel grembo ed ella apre la bocca in una profezia carica di significato, “beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore”. La prima beatitudine espressa nel Nuovo Testamento è questa pronunziata da Elisabetta all’indirizzo di Maria. La felicità consiste nel credere che le promesse di vita e salvezza si compiranno, perché nulla è impossibile a Dio. La felicità sta nel vivere l’obbedienza, cioè in un ascolto performativo della Parola, che significa il pieno adeguamento della vita al messaggio ricevuto. La gioia nasce nel fondo del nostro cuore, quando con Maria si ha il coraggio di proclamare, “sono la serva del Signore, avvenga di me secondo la tua Parola”. Il servizio, così ben rappresentato nell’agire di Maria, costituisce la normale e obbligatoria conseguenza di tanta grazia effusa. Non è possibile trattenere ciò che è donato per essere elargito. Non è ammesso recare Gesù nel grembo ed essere chiusi sulle necessità dei fratelli. Il Figlio dell’Altissimo si è dislocato dal cielo alla terra, ha assunto la natura umana, senza mai abbandonare la comunione con il Padre e la Madre sua è la prima a dislocarsi dalla Galilea alla montagna della Giudea, per soccorrere chi ne ha bisogno. La fuga dall’egocentrismo per abbracciare l’eterocentrismo è quanto mostra il dispiegamento dell’economia divina.
Infine tutto ciò deve trasformarsi in liturgia e culto, come conferma Maria, la quale fa seguire alle bellissime parole di Elisabetta l’inno del Magnificat, la celebrazione delle grandi opere di Dio nella vita di Israele, ma soprattutto nell’esistenza sua.
Proprio l’idea della vita cristiana come vero culto spalanca le porte alla seconda parte della riflessione, in cui la lettera agli Ebrei sottolinea come l’incarnazione o assunzione di una carne mortale da parte dell’inviato di Dio rappresenti la celebrazione del vero sacrificio. Si tratta di una riflessione assolutamente audace e innovativa: Gesù non apparteneva a una famiglia sacerdotale, né si è proposto come uomo del culto, non ha educato i discepoli a svolgere questa funzione e la sua fine si è compiuta fuori delle mura di Gerusalemme, ossia al di fuori del perimetro del tempio. Eppure egli ha consegnato ai discepoli il memoriale della sua passione morte e risurrezione in cui il pane e il vino diventano le carni dell’agnello immolato e il sangue versato per la redenzione del mondo. La totalità della sua umanità diviene la vera offerta sacrificale, l’unica capace di santificare una volta per tutte, proprio perché s’è trattato di una offerta che ha coinvolto in pienezza la sua volontà, la sua libertà, il suo amore. Il nuovo culto che ha in Cristo il suo centro, è il sacrificio dell’uomo Dio, che dona se stesso in un atto di pieno adeguamento alla volontà del Padre e di totale obbedienza ad essa; non in un atto di forzata sottomissione, ma di libera e amorevole affidamento. Maria e Elisabetta, che hanno trasformato la loro gioia in liturgia, anticipano ciò che nella sua pienezza si realizza in Gesù; la sua vita, i suoi gesti, gli atti di misericordia, l’attenzione ai più umili, il dono della sua vita, come espressione suprema del vero culto.
Tutto questo è reso possibile, sempre in base alla testimonianza della lettera agli Ebrei, dalla assunzione di una vera e autentica umanità da parte dell’inviato di Dio. “Mi hai preparato un corpo”, proclama lo scritto, citando il salmo.
“O Padre mi hai fatto condividere in pieno la condizione umana, in tutto fuorché nel peccato, perché tutta la mia esistenza, fosse votata a Te e la mia volontà, la mia intelligenza, i miei affetti, la mia libertà fossero integralmente consacrati a te, divenendo in questo modo autentico sacrificio, carne divinizzata e trasfigurata nei tuoi pensieri dalla fiamma della carità ardente nel mio cuore di uomo”.
Che queste grandi verità si trasformino in preghiera. Nella domanda di essere anche noi portatori di Cristo al mondo come Maria. Di essere pronti a dislocarci nelle esigenze dei fratelli. Di fare della nostra vita una liturgia quotidiana. Di trasformare la nostra volontà in quella divina per fare della nostra persona il vero sacrificio di lode.
Fonte:http://www.domenicani.it
“Beata colei che ha creduto nell’adempimento delle promesse di Dio”
Le omelie da una collaborazione di un gruppo di frati del convento di Santa Maria delle Grazie a Milano 23 Dicembre 2018
Letture: Michea 5,1 -4a; salmo 79; Ebrei 10,5- 10; Luca 1,39– 48a
Il profeta Michea annuncia che il Messia dominatore di Israele uscirà da Betlemme di Efrata, cioè dalla città di Davide, quasi a sottolineare la ripresa delle promesse divine relative al santo re e alla sua discendenza, nonostante le infedeltà nel corso della storia. Il figlio che verrà partorito eserciterà la regalità come un pastore, cioè in spirito di servizio, arrecando pace e sicurezza ai sudditi. Le lettera agli Ebrei dichiara invece, con la citazione del salmo 39, la piena umanità del Cristo (un corpo mi hai preparato) e che questi è chiamato a realizzare in forma assolutamente innovativa la vera azione cultuale, svolta in passato dalla liturgia del tempio. Questo sacrificio consiste essenzialmente nell’offerta della volontà del Cristo, totalmente proiettata a compiere quella del Padre. È solo grazie a questa offerta che una volta per sempre siamo santificati. Il vangelo, con la visitazione di Maria alla cugina Elisabetta, esalta il ruolo dei poveri di Dio nella realizzazione del progetto divino, pronti ad accogliere la chiamata in spirito di vera obbedienza; ma ancor più esprime gli effetti di grazia che l’incarnazione del Figlio di Dio arreca all’umanità, spronando Maria a donare il Figlio al mondo, oltre che ponendosi come modello di servizio e di vero discepolato.
Il viaggio compiuto dalla madre del Signore tra Nazareth e la montagna di Giuda, ben esprime la ventata di novità che l’incarnazione del Figlio di Dio realizza sin dal tempo della sua gestazione. Questa ragazza che affronta con coraggio e determinazione l’avventura del lungo percorso mostra già un anticipo delle meraviglie della grazia divina. Maria che credendo all’annuncio dell’angelo, ha accolto nel suo grembo il Figlio dell’Altissimo, ora con la temerarietà dei santi lascia la propria dimora, si reca presso la cugina, pone la sua esistenza al servizio della congiunta senza temere i fastidi della gravidanza, nell’entusiasmo di chi reca al mondo la gioia e la pace. Gli effetti della sua missione sono immediati; Elisabetta risulta invasa dello Spirito Santo, il bimbo le sobbalza di gioia nel grembo ed ella apre la bocca in una profezia carica di significato, “beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore”. La prima beatitudine espressa nel Nuovo Testamento è questa pronunziata da Elisabetta all’indirizzo di Maria. La felicità consiste nel credere che le promesse di vita e salvezza si compiranno, perché nulla è impossibile a Dio. La felicità sta nel vivere l’obbedienza, cioè in un ascolto performativo della Parola, che significa il pieno adeguamento della vita al messaggio ricevuto. La gioia nasce nel fondo del nostro cuore, quando con Maria si ha il coraggio di proclamare, “sono la serva del Signore, avvenga di me secondo la tua Parola”. Il servizio, così ben rappresentato nell’agire di Maria, costituisce la normale e obbligatoria conseguenza di tanta grazia effusa. Non è possibile trattenere ciò che è donato per essere elargito. Non è ammesso recare Gesù nel grembo ed essere chiusi sulle necessità dei fratelli. Il Figlio dell’Altissimo si è dislocato dal cielo alla terra, ha assunto la natura umana, senza mai abbandonare la comunione con il Padre e la Madre sua è la prima a dislocarsi dalla Galilea alla montagna della Giudea, per soccorrere chi ne ha bisogno. La fuga dall’egocentrismo per abbracciare l’eterocentrismo è quanto mostra il dispiegamento dell’economia divina.
Infine tutto ciò deve trasformarsi in liturgia e culto, come conferma Maria, la quale fa seguire alle bellissime parole di Elisabetta l’inno del Magnificat, la celebrazione delle grandi opere di Dio nella vita di Israele, ma soprattutto nell’esistenza sua.
Proprio l’idea della vita cristiana come vero culto spalanca le porte alla seconda parte della riflessione, in cui la lettera agli Ebrei sottolinea come l’incarnazione o assunzione di una carne mortale da parte dell’inviato di Dio rappresenti la celebrazione del vero sacrificio. Si tratta di una riflessione assolutamente audace e innovativa: Gesù non apparteneva a una famiglia sacerdotale, né si è proposto come uomo del culto, non ha educato i discepoli a svolgere questa funzione e la sua fine si è compiuta fuori delle mura di Gerusalemme, ossia al di fuori del perimetro del tempio. Eppure egli ha consegnato ai discepoli il memoriale della sua passione morte e risurrezione in cui il pane e il vino diventano le carni dell’agnello immolato e il sangue versato per la redenzione del mondo. La totalità della sua umanità diviene la vera offerta sacrificale, l’unica capace di santificare una volta per tutte, proprio perché s’è trattato di una offerta che ha coinvolto in pienezza la sua volontà, la sua libertà, il suo amore. Il nuovo culto che ha in Cristo il suo centro, è il sacrificio dell’uomo Dio, che dona se stesso in un atto di pieno adeguamento alla volontà del Padre e di totale obbedienza ad essa; non in un atto di forzata sottomissione, ma di libera e amorevole affidamento. Maria e Elisabetta, che hanno trasformato la loro gioia in liturgia, anticipano ciò che nella sua pienezza si realizza in Gesù; la sua vita, i suoi gesti, gli atti di misericordia, l’attenzione ai più umili, il dono della sua vita, come espressione suprema del vero culto.
Tutto questo è reso possibile, sempre in base alla testimonianza della lettera agli Ebrei, dalla assunzione di una vera e autentica umanità da parte dell’inviato di Dio. “Mi hai preparato un corpo”, proclama lo scritto, citando il salmo.
“O Padre mi hai fatto condividere in pieno la condizione umana, in tutto fuorché nel peccato, perché tutta la mia esistenza, fosse votata a Te e la mia volontà, la mia intelligenza, i miei affetti, la mia libertà fossero integralmente consacrati a te, divenendo in questo modo autentico sacrificio, carne divinizzata e trasfigurata nei tuoi pensieri dalla fiamma della carità ardente nel mio cuore di uomo”.
Che queste grandi verità si trasformino in preghiera. Nella domanda di essere anche noi portatori di Cristo al mondo come Maria. Di essere pronti a dislocarci nelle esigenze dei fratelli. Di fare della nostra vita una liturgia quotidiana. Di trasformare la nostra volontà in quella divina per fare della nostra persona il vero sacrificio di lode.
Fonte:http://www.domenicani.it
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