FIGLIE DELLA CHIESA,Lectio “Passò in mezzo a loro e camminava”

IV Domenica del Tempo Ordinario
 Lun, 28 Gen 19  Lectio Divina - Anno C

Il tema guida di questa domenica è la Parola profetica, posta tra accoglienza e rifiuto. Essa, infatti, è offerta alla libertà delle persone che l’ascoltano ed è continuamente confrontata con la risposta umana, in termini ora di accoglienza, ora di rifiuto. Gesù, rifiutato dai suoi concittadini, recupera il tema veterotestamentario del profeta perseguitato. Durante la sua esistenza anche Geremia (prima lettura) ha dovuto confrontarsi e scontrarsi con i suoi connazionali, ogni qualvolta le sue parole risuonano come stridente opposizione alla politica della classe dirigente. Nonostante la crescente emarginazione e persecuzione, sarà la parola di Geremia a prevalere. Essa porterà luce e comprensione nelle tenebre di un’epoca drammatica per la storia di Israele.

v.21: Questo “oggi” è sorprendente, perché viene da dire: come, dove e che cosa sta succedendo? Dov’è questa novità che il profeta aveva annunciato? Come mai “oggi”? “Oggi”, semplicemente perché c’è l’annuncio del Regno nella Parola di Gesù. È ai nostri orecchi che si compie questa Parola. L’avverbio “oggi”, è importante in tutta l’opera lucana. Ricordiamo che l’annuncio della nascita di Gesù è stato dato dagli angeli con quelle parole: “Vi annuncio una grande gioia: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore” (Lc 2, 10-11). “Vi è nato”; non è nato, è nato per voi. Oggi è la vostra gioia. Oggi è la vostra salvezza. Verso la fine del vangelo, al capitolo 23, c’è ancora questo “oggi” nelle parole che Gesù dice a un condannato a morte: “Oggi sarai con me nel paradiso” (Lc 23,43); anche lì è il mistero di una salvezza che si apre a qualcuno che ne ha un bisogno immenso senza averne meriti e possibilità di raggiungerla. Succede anche nel ministero di Gesù, quando va a casa di Zaccheo: “Scendi Zaccheo, perché oggi devo fermarmi a casa tua” (Lc 19,5). Quando Gesù si è fermato in casa di Zaccheo può dire: “Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anche lui è figlio di Abramo” (Lc 19, 9). L’“oggi” vuole dire solo questo: che c’è Gesù e dove Gesù è presente, parla e agisce, tutte le promesse sono realizzate “oggi”; tutte le speranze sono anticipate “oggi”. Dove c’è la Parola di Gesù, “oggi” diventa il tempo, il luogo, il momento e la possibilità della salvezza. “Questa Scrittura si è compiuta ai vostri orecchi”, perché hanno ascoltato la Parola. S’intende che la Parola di Gesù non dice semplicemente delle cose, non trasmette solo informazioni; in quella Parola Gesù mette se stesso a disposizione degli uomini, mette la disponibilità grande del suo amore. In Gesù, è Dio stesso che apre il suo orecchio ad ascoltare il grido dell’uomo e che apre il suo cuore per rispondere alle necessità e al bisogno dell’uomo.

v.22: Non c’è dubbio, dove questa salvezza è donata, nasce e fiorisce nel cuore dell’uomo la gioia; e fiorisce lo stupore, la meraviglia. Ma nel leggere S. Luca ci si accorge che questa meraviglia ha qualche cosa d’ambiguo. Può essere buona, anzi è uno degli atteggiamenti fondamentali nella vita religiosa. Per vivere l’esperienza della fede bisogna sapere stupirsi; quando uno smette di stupirsi, smette di aprire il proprio cuore a quello che va di là delle cose, quindi perde la dimensione di trascendenza che nella fede è necessaria. Bisogna stupirsi. Ma lo stupore non sembra sufficiente perché qui la gente si stupisce ma non nel modo giusto, e Gesù la rimprovera con le parole che svelano il contenuto del cuore dell’uomo: “Di certo voi mi citerete il proverbio: Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fallo anche qui, nella tua patria!” (Lc 4,23). E vuol dire: in realtà quello stupore è per gli abitanti di Nazareth l’attesa del miracolo che diventa pretesa, la trasformazione della salvezza di Dio in un beneficio materiale; invece di attaccarci a Dio, ci attacchiamo ai doni di Dio. I segni ci sono certamente dati ma solo come segni, piccole trasformazioni che rendono possibile la fede, ma che rimangono tanto piccole da lasciare spazio alla libera scelta dell’uomo. In Gesù ci è data la salvezza abbastanza chiaramente perché noi nell’amore di Dio possiamo credere; ma ci è data abbastanza oscuramente perché noi non siamo costretti a credere nell’amore di Dio. Quello che ci viene chiesto è un’adesione libera del nostro cuore. La salvezza non qualcosa di precostituito, è il dono di poter vivere liberi, è la forza di potere rischiare l’atto dell’amore. Non vuol dire: siccome siamo salvati, allora l’atto dell’amore per il prossimo non è più rischioso, non ci costa più fatica, non è più impegnativo. No, rimane impegnativo e rischioso. Solo ci viene dato il coraggio di rischiare.

v.26: La sorte di Gesù, profeta messianico del regno, ripercorre le vicende dei profeti dell’Antico Testamento, indicandone il compimento e la compiutezza. Luca utilizza due esempi tratti dalle Scritture ebraiche quali testimonianza del fatto che i profeti risultano inaccettabili nei rispettivi paesi d’appartenenza: Elia inviato all’anonima vedova di Zarepta, Eliseo disposto a guarire dalla lebbra il siro Naaman. Si esprime così una realtà essenziale nell’esperienza della chiesa primitiva: benché esista la medesima necessità in Israele, Dio soccorre quanti si trovano nel bisogno semplicemente a motivo della loro condizione. L’iniziativa salvifica di Dio ha una portata universale.

v.28: Nella proposta di liberazione-salvezza proclamata dal profeta si annida una possibile risposta di incredulità e di opposizione. Nel caso di Gesù il rifiuto del suo annuncio culmina con la passione e la morte. La medesima sorte toccherà ai discepoli di Gesù, portavoce messianici di liberazione nel mondo. Il destino della missione di Gesù resta impresso su quello della missione dei suoi discepoli.

v.30: C’è però un elemento inquietante nel brano di Luca. Gesù dice queste cose nella sinagoga di Nazareth, ma alla conclusione del brano si dice: “Ma egli, passando in mezzo a loro se ne andava” (Lc 4,30); cioè è andato nella sua città di Nazareth, ha proclamato il Vangelo e l’anno del Giubileo, l’anno della misericordia, ma poi se n’è andato. Nazareth ha sperimentato in questo l’abbandono del Signore, del Messia; e perché? Nel contesto il perché è in una cosa sola: nella pretesa degli abitanti di Nazareth di possedere il Signore per sé. Perché dicono: “Non è il figlio di Giuseppe?” (Lc 4,22b); quindi non appartiene a noi? Gesù afferma, di fronte a quelli di Nazareth, la sua libertà e il fatto che loro non hanno nessun diritto, né possono accampare nessuna pretesa. Gli abitanti di Nazareth, di fronte a questa affermazione, reagiscono come se fosse un insulto. Loro ritengono di avere dei diritti su Gesù e sui segni, sui miracoli, che Gesù compie. Ebbene, proprio questo li rende incapaci di accogliere il Signore, perché “l’anno di misericordia” è un dono, non è un diritto. Nessuno può accampare delle pretese su Dio e sul suo perdono; neanche noi, per il fatto che siamo cristiani, abbiamo dei diritti, quindi dobbiamo tenere presente che blocchiamo la grazia di Dio quando la carpiamo come un nostro diritto.

v.30: Traduzione letterale: “Passò in mezzo a loro e camminava”. È l’annuncio di quello che avverrà più tardi, la profezia della passione. È strana questa espressione perché dice: non è ancora venuto il momento, non è ancora l’ora. Gesù è protetto dal mistero e dalla volontà del Padre che ha preparato per lui una strada e Gesù se ne va, cammina. Questo è solo l’inizio del cammino di Gesù: nel vangelo secondo Luca la vita di Gesù è descritta come un itinerario, un cammino. Verso dove? Verso Gerusalemme. Ma Gerusalemme significa la morte. Allora cosa c’è di nuovo nella vita di Gesù se la sua vita è un cammino verso Gerusalemme e quindi verso la morte? È sempre stata così la vita di ogni uomo. Lo sa molto bene la Bibbia qual è la fragilità della nostra condizione. Il vivere è questo camminare verso la morte. Lo è per noi e lo è per Gesù. “E se ne andava” contiene tuttavia questo mistero di speranza. È un cammino verso Gerusalemme, ma il termine del cammino non è Gerusalemme; non è vero che Gesù va verso la morte; il cammino del Cristo va al Padre, al cielo. Gesù passa attraverso la morte ma va verso la vita. Ed è questa la novità. Questo è il motivo per cui possiamo rischiare la vita e donarla e fare della nostra vita un cammino di libertà. Siamo chiamati all’incontro con Dio nella pienezza del compimento dell’amore e della libertà.

Fonte:/www.figliedellachiesa.org/it


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