padre Gian Franco Scarpitta, " Se è veramente Parola di Dio"


Se è veramente Parola di Dio
padre Gian Franco Scarpitta  

III Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (27/01/2019)

  Visualizza Lc 1,1-4; 4,14-21
Il popolo d'Israele è ritornato in patria dopo tanti anni di esilio a Babilonia ed Esdra e Neemia, rispettivamente scriba e sacerdote, si fanno latori delle tradizioni e delle leggi che Dio trasmette al popolo una volta insediatosi. Essi si premurano di far intendere al popolo che il messaggio che stanno ascoltando non è di matrice umana, non ha finalità effimere, secondarie o d'interesse, ma viene comunicato qual è veramente: Parola del Signore che accompagna gli Israeliti nel ristabilirsi nella loro terra di origine.

Perché il loro messaggio venga recepito come di scaturigine divina è necessario che sia diffuso senza storpiature o mistificazioni, in tutta onestà e sincerità; che abbia contenuti di speranza e di incoraggiamento e invito alla gioia, ma che non si esima dalle esortazioni agli impegni e alla fedeltà; che istruisca il popolo anche sui suoi impegni oltre che sui benefici. Colui che annuncia la parola di Dio non può non conformarsi ad essa e dev'essere con la sua stessa vita di orientamento a coloro che ascoltano, mostrandosi speculare ed esemplare. Chi annuncia la Parola deve mostrare di credere in essa lui per primo, sforzandosi di assimilarla e di attuarla attraverso una vita irreprensibile, facendosi modello del gregge (1Pt 5, 3).

Un'altra condizione è che il popolo vi corrisponda con fede, come si conviene all'atteggiamento di deferenza e di sottomissione a Qualcuno che sta al di sopra di noi. Che vi sia obbedienza e assenso fiducioso e disinvolto, come tutt'oggi richiede anche il documento conciliare della Dei Verbum: “A Dio che rivela è dovuta l'obbedienza della fede, con la quale l'uomo gli si abbandona tutto intero liberamente, prestandogli il pieno ossequio dell'intelletto e della volontà.” La fede è un dono dello Spirito Santo e quindi dello stresso Signore che infonde i suoi doni di grazia, ma è un esercizio continuo dell'uomo stesso, che ha come premessa l'umiltà e l'apertura del cuore e che si sintetizza nella semplicissima parola “Amen”. Che significa “è vero” oppure, in altri luoghi (il che non è poi tanto diverso) “accetto”, “accolgo”. Accettare un messaggio che si ritiene di verità e di profondità spirituale, per la salvezza della nostra anima e per l'elevazione interiore.

L'episodio del libro di Neemia tratteggia il carattere di filialità del popolo nei confronti della rivelazione di Dio, concepito non come sterile fautore di moniti e di imposizioni, ma come Padre di misericordia che ha provveduto a liberare il suo popolo da una schiavitù opprimente e come Provvidenza che lo assisterà in tutti gli anni che seguiranno in patria. Sempre come Padre sollecito, Dio si premura di indirizzare agli Israeliti la sua parola nei comandamenti e nelle esortazioni per mezzo di uno scriba e di un sacerdote e il popolo non ha motivo di dubitare del suo messaggio. Ha tutte le ragioni per credere e per aderire con disinvoltura. E tale è il suo atteggiamento, che ispira anche a noi quali debbano essere le prerogative della vera fede. Non aderire a un Dio avulso e distaccato, ma accogliere per vero ed eseguire quanto egli ci indica come Padre di misericordia.

Cristo è la Parola fatta carne che ci fa conoscere la Verità che ci fa liberi (Gv 8, 32) e tale si presenta quando si rivolge agli attoniti ascoltatori che, a Nazaret, parla loro nella sinagoga come sua consuetudine. Ecco perché Luca, evangelista della misericordia, comunica a Teofilo di essersi premurato di fare ricerche accurate intorno alla veridicità di quanto sta per esporre. Luca infatti non ha conosciuto direttamente Gesù a differenza di Matteo e di Giovanni poiché era stato discepolo di Paolo e ha dovuto allora elaborare le varie fonti della tradizione orale e scritta sul Signore per raccogliere tutto il materiale puro e veritiero che lo riguardasse per redarre il suo Vangelo nella fedeltà assoluta alla verità (E' molto probabile che parecchie informazioni le abbia assunte in seguito da Maria, madre del Signore). E' quindi interessato a comunicare nient'altro che la parola del Signore spuria da elementi fantasiosi, esaltandone il contenuto di verità e di salvezza innanzitutto con il ritorno di Gesù in Galilea dove a Nazaret parla nella sinagoga mentre gli occhi di tutti sono puntanti su di lui.

Gesù è il rivelatore o meglio la rivelazione piena della volontà del Padre e così si presenta ai suoi interlocutori; il suo messaggio è franco e diretto, non teme confronti o rivalità ma si premura di parlare con estrema sincerità e trasparenza e si aspetta la corrispondenza della fede da parte di coloro che ascoltano. Ma come lo stesso Gesù affermerà in seguito “nessun profeta è disprezzato se non a casa propria” e accogliere la Parola di Dio quale è veramente (Parola di Dio e non di uomini 1Ts 2, 13) non sempre è facile soprattutto quando chi ha ascolta è vittima di pregiudizi e gratuite illazioni o quando il cuore a cui essa viene diretta è del tutto chiuso, apatico e ostile.

Come si diceva, a Dio che si rivela occorre rispondere nient'altro che con fede e libertà incondizionata, ma ciò non scongiura che tante volte a fare opposizione sia la reticenza umana e l'indifferenza verso la Parola stessa.

Non è affatto semplice la missione di chi annuncia un messaggio di provenienza divina o svolge un ministero con la forza ricevuta da Dio (1Pt 4, 10 - 11). Certo è però che la Parola non si arrende e non deroga al fatto di dover comunicare se stessa: alla fine trionferà su tutto e apporterà i suoi frutti tanto attesi e sospirati. Vale la pena allora di trovare sostegno nelle parole che Dio rivolge al suo profeta Ezechiele: "Ascoltino o non ascoltino, sapranno che un profeta è in mezzo a loro.”

Fonte:www.qumran2.net


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