Don Paolo Zamengo, "Le tavole della felicità "

Le tavole della felicità      Lc 6, 17.20-26
VI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)

Un mare di gente si assiepa attorno a Gesù. Affascinati dalla sua parola. C’erano i dodici e c’era una grande folla di amici e soprattutto una moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme, da Tiro e da Sidone. Non manca proprio nessuno. Anche i pagani sono rappresentati.

Molti arrivano con il loro carico di miserie e di ferite. Ognuno cerca uno sguardo, una parola, un contatto, una scintilla almeno. La vita attende una svolta e una speranza. E di fronte a quella umanità in miniatura, Gesù avvia la sua missione proclamando le beatitudini.

Le beatitudini sono le nuove mappe per raggiungere la gioia. Le tavole della felicità vengono proclamate e scritte sul navigatore dell’umanità. Dio c’è, e c’è per i poveri.

Gesù usa parole semplici e rassicuranti. Non aggiunge istruzioni per l’uso le renderebbero complicate. Le beatitudini sono un dono, vanno accolte. Abbracciate nella fiducia di chi le dona. 

Le beatitudini scommettono su quanti la storia pare escludere per la loro inconsistenza o per la pochezza della loro notorietà. Nella categoria dei fortunati Gesù pone gli sventurati che soltanto grazie a lui possono sperare nella vita.

Le beatitudini individuano pure la categoria degli illusi. “Guai a voi, ricchi”. Non è una minaccia ma una costatazione. Il mondo non migliora grazie a chi accumula e la terra non fiorisce per merito di chi è sazio. Chi è pieno non crea ma accantona e difende.

Chi gioca la partita della vita dalla parte del superfluo vivrà senza frutto perché non ha compreso che i beni non sono per il possesso ma per il dono.  Ma c’è un’altra malattia da curare, quella dei poveri che si prefiggono di diventare ricchi.

Gesù contrappone i poveri ai ricchi, gli affamati ai sazi, quelli che piangono a coloro che ridono. Gesù allarga questo fossato perché spesso le relazioni sociali sono guastate dall’ingordigia e dalla mancanza di solidarietà. Tristi quei ricchi che accumulano grazie allo sfruttamento dei poveri. 

Anche Gesù è stato rigettato e questa precarietà sarà la prova per i discepoli di Gesù che stanno compiendo davvero lo stesso cammino del loro Signore e Maestro.

 “Ha rovesciato i potenti dai troni e ha innalzato gli umili, ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandati i ricchi a mani vuote” (Lc 1, 52-53), Gesù lo ha imparato da Maria sua madre.  Ma la fede cristiana non è  la religione cupa del dovere ma la scelta della felicità. Bisogna solo eliminare dal cuore e dalla vita, ogni forma di ingiustizia e di avidità.

I poveri non sono migliori degli altri e non c’è condizione sociale che ci renda di per sé idonei al Regno. Il Regno è dono gratuito di Dio e non conquista. Il povero diventa beato perché ha le mani aperte nell’attesa.

Il ricco e superbo è infelice perché ha le mani chiuse e non aspetta nulla dall’alto. Crede di possedere tutto. Si crede sicuro ma non sa che la sua chiusura lo soffocherà, perché uno muore quando non attende e non spera più nulla.

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