FIGLIE DELLA CHIESA, LECTIO VI Domenica del Tempo Ordinario

VI Domenica del Tempo Ordinario
 Lun, 11 Feb 19  Lectio Divina - Anno C

La redazione lucana delle beatitudini ha alcuni tratti caratteristici che la distinguono da quella, più nota, di Matteo. Anzitutto Luca conosce solo quattro beatitudini e le accompagna con altrettanti guai. Il significato di questa struttura è evidente: vengono capovolte le situazioni del mondo; quello che nel mondo è cercato, onorato, considerato prezioso viene privato di ogni valore; mentre quello che nel mondo è povero o disprezzato o rifiutato viene riscattato e messo in una posizione di eminenza. Forse non ci sarebbe da stupirsi troppo per questa proclamazione: già l’A.T. conosceva qualcosa di simile; si pensi al cantico di Anna ripreso poi dal Magnificat. La Bibbia sa bene che Dio è colui che fa vivere e fa morire, che rende povero e arricchisce. Il capovolgimento delle sorti mondane è piuttosto la manifestazione potente del regno di Dio che viene. La serie oppressiva dei guai vuole rendere gli ascoltatori del Vangelo consapevoli della vanità di ciò in cui mettono la propria fiducia. Alle beatitudini e ai guai di Luca fa eco il testo di Geremia. Egli condanna ogni forma di idolatria nella quale l’uomo diventa il dio dell’uomo e le realizzazioni umane diventano il rifugio in cui l’uomo cerca sicurezza. Dio solo è invece una roccia salda alla quale l’uomo possa aggrapparsi e dalla quale ricevere forza e vita.

v.20: I due versetti saltati sono decisivi per la comprensione della novità che Cristo manifesta. “(c’era gran folla) che erano venuti per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti immondi, venivano guariti”. Da questi poveri Gesù distoglie lo sguardo. Identificare i poveri come facciamo noi vuol dire avere bisogno di loro per fare opere buone. Gesù distoglie lo sguardo da loro e alzatolo verso i discepoli, dice loro: “beati voi poveri”. La presenza delle moltitudini, di quelli chinati per la propria povertà, riguarda essenzialmente la chiesa. Questo alzare lo sguardo indica il vero modo di intendere le folle: la povertà di quelli che voi chiamate poveri va risolta. Quello che Dio vuole è che “voi” diventiate poveri, che “noi” diventiamo poveri. Gesù non fa la scelta dei poveri come noi la intendiamo: è la prospettiva per cui non sarà più la chiesa che si occupa dei poveri, ma che condivide con i poveri, che si identificherà con la povera gente a cui appartiene il regno di Dio.

La versione più ampia che dà Matteo (poveri in spirito) si riferisce a chi sopporta consapevolmente la povertà riconoscendola conforme al volere di Dio e aspira a essere riempito dello Spirito Santo come vero e decisivo aiuto di Dio promesso da Gesù. In Luca le beatitudini sono più circoscritte al fatto della povertà. Per Luca si tratta soprattutto di coloro che sono poveri di beni terreni. Gesù ha spesso manifestato la sua predilezione per loro e Luca rivolge loro un interesse particolare. Con la forma diretta in seconda persona (beati voi poveri) Luca fa intendere che la beatitudine riguarda la povertà del discepolo.

Il termine greco “ptochòi” indica gli indigenti, quei poveri che mancano del necessario, i mendicanti, coloro che si rimettono al soccorso altrui. Mentre i poveri, anche se poco, hanno qualcosa, questi “poveri” non hanno niente e non possono che vivere di dipendenza e di sottomissione. La parola greca deriva da un verbo che significa “nascondersi”, “rannicchiarsi su se stessi per timore”. Sono poveri reali che hanno fame e piangono. La loro beatitudine consiste nel fatto che Dio interviene in loro favore.

Quello che Luca vuole annunciare, che il Signore vuole annunciare, proclamare è l’irruzione del regno di Dio nella storia degli uomini. Secondo il vangelo la povertà diventa un vantaggio. E non un vantaggio perché la povertà di cui parla il vangelo sarebbe una virtù; almeno il vangelo di Luca non parla della virtù della povertà, cioè di una povertà scelta, liberamente per amore di Dio o per servizio agli altri. No, parla della povertà, semplicemente come una condizione di privazione. Perché allora sono beati i poveri? Semplicemente perché Dio è il difensore dei poveri e dove trova una condizione di miseria, di bisogno, Dio non rimane indifferente. Dove c’è un uomo che ha bisogno di vita e di gioia e di perdono, Dio non rimane indifferente, ma risponde. Quindi beati voi che sperimentate la debolezza, il bisogno, perché Dio che viene a regnare vi risponderà.

v.21: L’ascolto delle beatitudini implica una convocazione dei discepoli. Coloro che sono chiamati poveri sono chiamati poveri perché discepoli. Da qui a dire che i poveri sono chiamati al discepolato il passo è brevissimo. L’investitura con cui Gesù si rivolge ai suoi discepoli è “beati voi poveri”. Poi la povertà la si esplicita nella fame, nel pianto, nel rifiuto, nell’essere messi al bando. Ma sostanzialmente il discepolo è colui che riconosce che al di fuori del Cristo non è nulla, e che senza Cristo tutto ciò che ha e che è non conta niente. Questo dice anche un modo di accostare i miseri, i poveri che dovrebbe cambiare. Sicuramente il privare i poveri dell’annuncio del vangelo, il privare le situazioni di maggiore disagio, miseria, povertà delle nostre comunità cristiane dell’evangelo non è perfettamente calzante con il brano che abbiamo ascoltato. Sembra strano, ma possiamo chiederci se non abbiamo mai pensato ad annunciare il vangelo veramente a tutte le persone delle nostre comunità. Forse non abbiamo il coraggio, in quanto chiesa, di dichiarare la beatitudine dei poveri. Dichiarare la beatitudine dei poveri è dirci beati per una condizione di povertà che viviamo.

v.24: C’è una contrapposizione esplicita. Le beatitudini sono seguite da quattro antitesi che proclamano sistematicamente la sventura dei beati di questo mondo. Matteo non le riporta e molti hanno pensato che Luca le abbia composte egli stesso per rafforzare la lezione delle beatitudini. Questa ipotesi non è certa poiché nell’A.T. si trovano coppie di beatitudini e di maledizioni.

Le quattro dichiarazioni seguenti non sono da comprendersi come maledizioni, né condanne irrevocabili, ma piuttosto come lamento di compianto, appelli vigorosi alla conversione. Si può tradurre anche: “ahimè per voi” o ancora “infelici voi”.

Fonte:www.figliedellachiesa.org/


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